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Gay & Bisex

Il buon neocatecumenale e la cappella


di ArchieCooper
09.03.2023    |    10.843    |    10 9.5
"Il giorno dopo ci rechiamo al porticciolo e facciamo la conoscenza di Peppe..."
Avevo quattordici anni quando la mia famiglia decise di unirsi ai neocatecumenali e fu lì che conobbi Teresa. A posteriori molti mi dissero di essersi accorti da subito delle attenzioni particolari che la ragazza mostrava per me. Io inizialmente la consideravo solo un’amica, niente di più. Piano piano i miei genitori però riuscirono a convincermi e così fra una passeggiata e l’altra ci fidanzammo e nel caldo di inizio agosto compiuti vent’anni io e diciotto lei ci sposammo. Fu una cerimonia improvvisata da una settimana all’altra. Voi credereste che siamo stati avventati, ma il nostro amore è forte e avremmo così potuto rompere il voto di castità. E a questo punto ci crederete anche sciocchi, ma sappiate che la castità è un dono incredibile che due amati possono farsi. Lasciando da parte i piaceri della carne che la nostra società tanto valorizza si sceglie di far crescere il legame spirituale, così da sentirsi un tutt’uno con la persona amata a un livello superiore, il livello divino. Certo comporta anche momenti difficili, più volte nel corso degli anni mi hanno risvegliato polluzioni notturne e una volta successe un episodio fuori dall’ordinario con uno degli altri catecumenali che non vi sto a dire, non ebbi neanche il coraggio di parlarne al confessore.
Sta di fatto che il Signore ha vie misteriose che non vanno come previsto da noi, che ci crediamo tanto illusi di conoscerne la volontà. La prima notte di nozze si siamo ebbri per aver bevuto un po’ troppo. Teresa è irriconoscibile per quanto mi brama, ma purtroppo il mio corpo non risponde. Niente, non c’è verso. Così passo la notte a carezzarla e dormiamo abbracciati, fiduciosi che la mattina dopo sarebbe andata meglio, ma anche il giorno successivo il mio corpo non riesce a collaborare. Dopo averne parlato, io tranquillo e lei in lacrime decidiamo di parlare con un esperto ma prima vogliamo allontanarci dalle montagne aostane e prenderci la nostra luna di miele. Fortuna vuole che riusciamo a trovare un volo low cost per un’isola del mediterraneo in Sicilia e facciamo i bagagli arrivando così sull’isola per la settimana di Ferragosto. Fummo un po’ sprovveduti. Trovammo a malapena una piccola casetta dove letto, cucina e tavola da pranzo erano tutti nello stesso ambiente; per di più fu impossibile trovare da prendere in affitto un mezzo per spostarsi che fosse anche un motorino. E inoltre le barche per fare escursioni intorno all’isola erano tutte ormai al pieno, sennonchè la nostra gentile locandiera Concetta ci dice che suo nipote è un pescatore. Ha una piccola barchetta, ma sarebbe disponibile a farci fare le escursioni marittime per una somma modesta.
Il giorno dopo ci rechiamo al porticciolo e facciamo la conoscenza di Peppe. Il siciliano è più basso di me, supera di poco il metro e settanta. Ha una barba incolta e nera con qualche peletto bianco. I capelli mossi e scuri gli arrivano fino alle spalle. Nonostante non superasse i quarant’anni il suo volto presentava delle rughe dovute all’abbondante esposizione al sole e il suo incarnato abbronzato lo rendeva completamente marrone come un’oliva.
A interdire sia me che Teresa fu il suo abbigliamento. Portava un costume da bagno a pantaloncino troppo corto e sbiadito dal quale s’intuivano prepotenti forme e dal quale sbucavano gambe nere secche e pelose; la sua maglietta bianca era piena di macchie, probabilmente di sangue di pesce raggrumato e anche il suo olezzo era fortemente intriso di pesce.
La prima parte del viaggio siamo fortemente in imbarazzo. Il mozzo non proferisce parola, conduce la barca guardando dritto davanti a sè. Fuma sigarette di tabacco e il fumo arriva in faccia a noi che siamo seduti dietro e ci guardiamo spesso infastiditi. Ma come ci porta nella prima grotta... Che spettacolo! Giochi di luce tinteggiano di azzurro le pareti dell’insenatura. Io e Teresa ci mettiamo la maschera ed esploriamo i bellissimi fondali rocciosi dove i pesci si avvicinano a tanto dal tuo viso.
Peppe non fa il bagno, rimane sulla barca a fumare e ci guarda come due creature aliene. La smorfia sul suo muso sembra leggermente distorta dal disprezzo, ma ubbidiente non ci fa pressioni per ripartire finchè non lo decidiamo noi. Ci conduce poi a un’altra splendida cala fra faraglioni dalle forme più improbabili. Rientrando io e Teresa ci teniamo per mano pregustandoci la prossima giornata. Ceniamo con un gelato e riproviamo a fare l’amore, ma anche stavolta non ci sono risposte in me. Paziente lei mie accoglie fra le sue braccia e stiamo così finchè il caldo della notte siciliana non ci costringe a separarci e ci addormentiamo di schiena l’uno contro l’altra.
Il giorno dopo Peppe sempre con la stessa maglietta lercia ci porta in barca su un’isola lì vicino. È piccolissima, totalmente isolata e priva di turisti.
“Qui gli altri naviganti dei giri dell’isola non ci vengono.” spiega.
Siamo incantati nell’essere circondati dal mare, vediamo l’isola da cui siamo arrivati in lontananza all’orizzonte. Peppe ci prepara il pranzo. Con le sue mani piene di piccoli taglietti scuri affetta del pane e lo condisce con pomodoro, formaggio fresco e pesci arrostiti. Quando mi passa il pane condito di mi sorride ed è la prima volta che lo fa. Sento qualcosa di strano nel mio petto, come se il respiro si bloccasse per un secondo, come se il cuore si dimenticasse di battere, per poi ripartire al doppio della velocità.
Ripenso a quell’episodio col neocatecumenale accaduto anni prima. Lui era più grande di mio padre. È notte, arriviamo in auto ai confini del bosco. Spegne la macchina e si spengono anche i fari. Sento il suo sguardo nel buio che mi fissa. Scaccio il pensiero dalla mia mente.
“Peppe, ma tu non te lo fai il bagno?” chiede Teresa a bocca piena.
Il pescatore tira una boccata di sigaretta. “No, fa troppu caudo.” Risponde in dialetto.
“E l’ho capito” fa lei ridendo. “Proprio per questo non ti devi squagliare, ti vergogni di noi?”
Il volto di Peppe diventa vulnerabile, come quello di un cane a cui il padrone sta dando i croccantini dalla mano. “Vabbò forse un bagno mu pozzu fare” dice e si sfila la sozza maglietta. Il suo corpo è completamente bruno di abbronzatura, i peli neri si arrampicano da sotto l’ombelico fino a riempire il petto. Sono lunghi, ma non ruvidi, sembrano fatti di seta. Priva di peli è invece la secca schiena dal quale emergono le ossa delle scapole come due piccole ali. Nonostante il suo corpo magro le braccia presentano due bicipiti piccoli e definiti. E di nuovo quella emozione strana col cuore che si ferma, in più le mie gambe si mettono a fremere leggermente e una sensazione di freddo mi arriva nelle parti basse. Un brivido improvviso mi scuote tutto e fa passare quelle impressioni estranee.
Quando ci riaccompagna a casa il silenzio non è più imbarazzato. Siamo felici di stare insieme a quell’uomo così diverso da noi. Arrivati al porticciolo ci chiede se possiamo anticipargli parte del pagamento, giusto per mettere la nafta per il giorno dopo. Purtroppo non abbiamo prelevato, gli diciamo che non ci sarebbe stato problema nel fare un giro più breve domani.
Tornati a casa Teresa non trova più i suoi occhiali da vista. Ci ripromettiamo di tornare sull’isolotto il giorno dopo e di recuperarli. Ceniamo in un piccolo ristorantino sulla riva, vestiti tutti e due di bianco. Abbiamo preso un po’ di colore, Teresa ha le guance di un bel rosso e pure io in particolare sulla fronte e sugli zigomi. Io mi concedo un’insalatina, Teresa degli spaghetti con le vongole. E fu così che passò tutta la notte a vomitare.
La mattina seguente sembrava aver perso tutta l’abbronzatura per quanto era pallida. Mi chiese di andare comunque, lei sarebbe stata un po’ a casa per riprendersi. Io ero stravolto per la nottata passata, avrei solo voluto dormire, ma lei mi diede cinquanta euro per la nafta di Peppe e mi pregò di tornare a cercare i suoi occhiali.
Peppe era torvo in volto quando glielo annunciai. Disse che non avendo potuto fare nafta rischiavamo di rimanere in mare. Proposi di andare a farla adesso, ma rise sprezzante dicendo che ora che le altre barche si preparavano a uscire avremmo trovato almeno un’ora di fila. Ci dirigemmo così verso l’isolotto nonostante lui fosse contrario... e per fortuna fu solo arrivati nei pressi che la nafta finì.
“E adesso che facciamo?” chiesi nel panico. I cellulari non prendevano, la barca non era dotata di remi d’emergenza, le temperature sfioravano i quaranta gradi.
“Spittamo chi passa n’atra varca e iemo a pigghiare a nafta” fa Peppe tranquillo e si sdraia con la testa poggiata contro una roccia. Si mette a leggere un libricino che non conoscevo dal titolo “Torrenti di Primavera” di un tale Ernest Hemingway.
Mi accascio per terra con gli occhiali di Teresa in mano. Almeno avessi avuto il Vangelo da leggere! Saranno passate almeno due ore e il pescatore non si è staccato dal suo libro se non per rollarsi qualche sigaretta di tabacco. Io ho fatto un bagno ogni mezz’ora e comincio ad avere fame. Di un’altra barca neanche l’ombra se non troppo lontana. Per di più ogni tanto mi viene in mente quella notte. La zip che si abbassa, la mano che nel buio si allunga sulla mia gamba.
Scaccio il pensiero. Mi metto per gioco gli occhiali di Teresa. Sembra tutto più grande del solito. I piedi incrociati di Peppe sembrano enormi. I palmi sembrano elegantissimi, sono massicci e callosi, eppure sembrano fatti di velluto. Sento l’acquolina in bocca, non capisco cosa stia succedendo.
“Ora di pranzo.” Fa Peppe alzandosi di scatto e facendomi saltare in aria. Si ferma a guardarmi con indosso gli occhiali di Teresa sempre col suo sguardo perplesso. Me li tolgo imbarazzato. Mangiamo il pane cunzato in silenzio, seduti vicini a guardare l’isola nel lontano orizzonte. Si sente solo il rumore del mare, sarà il caldo ma sono parecchio innervosito dal suo non proferire parola. Frasi mi si bloccano in gola per la paura che gli possa dare fastidio avviare una qualsiasi conversazione. Lui invece sembra sereno. Dev’essere passato mezzo giorno che un po’ d’ombra si va disegnando sulla barca.
“Iè mi mittisse un coccio a dormere” mi annuncia e si toglie la maglietta (sempre la stessa) mettendosela a turbante sulla testa. Si dirige verso la barca.
“Eh, quasi quasi pure io” gli faccio.
Si gira di me. “E vene nta a varca, ni mittemo testa e peri cussì ci stamo in due.”
Ci metto un attimo a tradurre. Lo seguo. Le palpebre si abbassano da sole tanto il sonno, ma il cuore stranamente inizia a picchiarmi nel petto quasi sfondando il torace. Mentre mi dirigo alla barca mi tremano le gambe.
Davanti ai miei occhi torna veloce il flash dell’uomo che in macchina mi chiede di farmi una sega con lui, mentre tiene la mano sulla mia gamba. La costringo ad andare via dai miei pensieri. Mi ci vuole mezz’ora abbondante per prendere sonno. Peppe invece inizia a russare dopo qualche minuto. Osservo la sua bocca aperta e le sue labbra secche che inspirano e fanno riuscire l’aria. Il mio ginocchio è a un millimetro dalla protuberanza nel costume. Fremo, mi sento come il Signore nel deserto, vorrei poggiare il ginocchio su quel gonfiore. Un peccato che non conosco mi sta tentando. Mi concentro sui suoi piedi. Sono belli e lunghi, le unghie perfettamente curate e bianche contrastano la pelle scura, qualche peletto sulle falangi e sul corpo del piede, ma non troppi. Mi addormento. Quando riapro gli occhi non sento più russare e sento qualcosa di duro premere contro il mio ginocchio. Furtivamente con la coda dell’occhio lancio uno sguardo a Peppe. Ha ancora gli occhi chiusi. Nonostante il caldo e il sudore mi sento un pezzo di ghiaccio, sono terrorizzato. Spingo impercettibilmente col ginocchio su quella durezza, subito dopo lo strofinio viene ricambiato. E va così per tre volte. Non vorrei, ma l’istinto è più forte di me e ho paura. Con la punta della lingua lecco la peluria al centro del suo piede. Lo annuso. Peppe apre gli occhi. Tutto serio si mette a sedere e strofina col polpaccio contro il mio costume. Mi accorgo di avercelo duro anch’io. Si slaccia il pantaloncino e tira fuori un arnese olivastro che sarà stata lungo venti centimetri e largo quanto il mio braccio.
“Vene ca’” mi fa e si accende una sigaretta di tabacco.
A quattro zampe mi dirigo verso il pescatore. Gli tiro giù il costume e poggio le mani sulle sue cosce pelose accarezzandole. Qualsiasi pensiero mi sparisce dalla testa, non esiste più neanche Teresa. Sento delle goccioline calde venire fuori dal mio pene, rivoli di saliva colano insieme al sudore dalla mia bocca. Non sopporto più neanche il mio costume e lo tolgo.
Lecco partendo da basso quel meraviglioso randello di carne a occhi chiusi e m’inebrio del suo odore salmastro. Chiudo le labbra su quel ben di Dio e non capisco più niente. La mia bocca fa parecchio rumore mentre pompo su e giù, chiaramente riuscendo ad arrivare solo a metà cazzo. Il pescatore mi mette una mano fra i capelli tenendomeli leggermente sollevati. Sento solo il rumore della mia bocca che pompa veloce, il suo tirare la sigaretta e qualche flebile e ansimato “oh,sì”. Prendo a masturbarmi, cosa che non facevo da almeno un anno e constato che il mio cazzo sta già colando abbondante broda di sborra. La mia bocca si muove a velocità supersonica, mi lavoro il randello finchè la pelle della sua cappella non sembra farsi più tesa, come se stesse crescendo ancora a dismisura. È un velluto sotto la mia lingua che lavora beandosene il sensibile rigonfiarsi dell’uccello. E all’improvviso esplode. Un getto caldo e bollente mi parte in gola, seguito da un secondo e da un terzo che scivola fuori dalla mia bocca e lungo la sua asta. L’emozione è troppa. Mi alzo e con tre colpi veloci faccio per sborrare in mare. Il pescatore allarmato mi afferra il cazzo e salva dalle acque la mia eiaculazione. Se lo dirige sul petto mentre già sto venendo e continua a menarmelo. Si guarda soddisfatto i peli del petto venire inondati dal mio seme. Mi vergogno di goderne, vorrei sparire, ma sono finalmente sollevato come mai e tutti i muscoli del mio corpo si rilassano. Più di quindici schizzi esplodono su di lui, quando ha finito di mungermi sul suo corpo c’è più sperma che peli. Ne ho fatta così tanta che gli è arrivata fino al pube e gli scivola sui coglioni. Si porta il mio cazzo in bocca e grufola come un maiale mentre succhia via le ultime gocce.
Se già trovavo difficoltà nel confessare le sporadiche volte in cui mi masturbavo come farò a spiegare questo al prete adesso?
Poco dopo aver fatto il bagno per lavarsi Peppe si mise a saltare in aria. Un mezzo stava passando poco lontano da noi. Si trattava di un piccolo yacht di turisti milanesi. Ci soccorsero, riportarono me e Peppe sull’isola e dopo aver preso la nafta lo avrebbero riaccompagnato alla barca. Mentre le turiste affascinante riempivano Peppe di domande e stentavano a capire le sue risposte in dialetto, io stavo seduto tutto gobbo in un angoletto rigirandomi gli occhiali di Teresa fra le mani. Sarei voluto scoppiare a piangere, mi sentivo tutto sporco per quello che avevo fatto.
Quando arrivammo sulla costa raccolsi le mie cose e mi avviai verso casa. Peppe mi salutò con un cenno del capo senza alzare lo sguardo. Durante il tragitto scoppiai a piangere, cercai di nascondere le lacrime ai passanti, ma ero come un vaso rotto.
Arrivato a casa trovai Teresa tutta agitata. Le raccontai la nostra avventura omettendo il mio peccato. Quantomeno ne rise. Volle uscire a comprare un ciambellone per scusarsi con Peppe il giorno dopo.
Faticai a dormire. Quando ci riuscivo sognavo quella notte in auto vicino al bosco. Il giorno dopo provai a fingere di stare male per non uscire. Teresa aveva già indossato un bel vestitino prendisole e un vistoso cappello con fiocco. Per niente al mondo si sarebbe persa un altro giorno di mare.
Arrivati alla barca di Peppe ci fermammo nello stesso momento. Peppe si era finalmente cambiato la maglietta e ne indossava una rossa. Sulla barca con lui c’era un energumeno di quasi due metri, probabilmente suo coetaneo. Biondo, con gli occhi azzurri e un’ispida barbetta. Indossava una canottiera azzurra, un costume a slip nero molto aderente e nient’altro. Le gambe erano dei tronchi ricoperti di pelo, i bicipiti possenti e la protuberanza sotto il suo costume a dir poco oscena. Vedendoci impietriti Peppe si avvicinò a noi con un sorriso che mostrava tutto il biancore dei suoi denti. Non l’avevamo mai visto con quell’espressione in viso.
“Iddro è u me amico Michele” e porse il braccio a Teresa per aiutarla a salire sulla barca. Lei mi diede uno sguardo preoccupato.
“Oggi vene cu niatri, chi po’ m’ava aiutare a fare un travagghio.” spiegò poi Peppe.
Teresa gli porse il ciambellone spiegandogli che era un ringraziamento per il giorno prima e delle scuse per non aver fatto in tempo a pagargli la nafta.
“Ah, Pè, ca rici, nu manciamo chiù tardu u’ ciambellone?” esordì Michele rivelando un vocione rauco e fastidioso. I due uomini scoppiarono a ridere, non capivamo.
Durante il viaggio in barca ci allontanammo parecchio dalla costa. I due mozzi parlavano fra di loro in dialetto dicendosi cose che non riuscivamo a capire e spesso scoppiavano in fragorose risate mettendoci a disagio. A un certo punto iniziarono a fumare una lunga sigaretta di tabacco dall’odore molto strano e a scambiarsela. Doveva essere un tabacco particolare, dopo tempo quell’odore iniziò a rintronarmi. Teresa si mise a tossire e chiese se potevano smettere di fumare.
“Certo signora, ci mancherebbe” rispose Michele alzando le mani in segno di resa. Eravamo praticamente in mezzo al mare. Ci guardammo intorno cercando di capire dove stessimo andando.
Michele si avvicinò a Teresa. “Ma che bello cappellino che avete.” fece piegandosi di fronte a lei. Sembrava uno straniero che prova a parlare italiano. La barca si fermò.
In cuor mio iniziai a pregare un Padre Nostro.
Teresa chiese a Peppe dove fossimo destinati. Lui non rispose e si avvicinò a noi.
Quel maleducato di Michele le provò a toccare un seno, lei si difese mollandogli uno schiaffo sulla mano.
“Ma cosa fa brutto porco?”
“In Valle D’Aosta non fate le mele?” fece Michele mettendosi poi a ridere. Anche Peppe sorrideva, con quella stessa malizia con cui ci aveva invitato a salire sulla barca.
I due siciliani erano attorno a noi. Michele allungò di nuovo una mano verso Teresa, Peppe verso di me.
Lei scattò in piedi e diede colpi alla rinfusa cercando di beccare i due uomini. Una manata arrivò sulla bocca di Peppe che divenne subito scuro in viso.
“Michè” ordinò all’amico. “Pigghia a sta scema e ieccula a mare.” I due afferrano mia moglie per le braccia, a me sta per venire un attacco di panico. Mentre sono bloccato in quello stato i siciliani la sollevano di forza. Lei urla mentre la lanciano a mare.
Peppe prende il ciambellone. “E pigghite puru u’ ciambellone, bottana!” e molla un calcio alla torta facendola volare in acqua.
Intanto Michele si è messo ai comandi e fa ripartire la barca a tutta velocità.
“Teresaaaaaaaaaaa!” urlo mentre ci allontaniamo e lei diventa solo un punto all’orizzonte. Peppe si piega su di me e mi lega le mani dietro la schiena con una grossa fune. Svengo.
Quando apro gli occhi siamo in una grotta. Riconosco i riflessi del mare che giocano sulla roccia.
“Si risbigghiò” sento dire e metto a fuoco la sagoma di Michele in piedi di fronte a me. Peppe è al suo fianco. Sono entrambi nudi. Gli spaventosi cazzi olivastri dei due siciliani sono davanti alla mia faccia ancora mosci. Il corpo di Michele è completamente ricoperto di peli, tanto sull’addome scolpito quanto sull’ampio petto. Seppur ancora a riposo il suo arnese supera i venti centimetri ed è largo quanto il fondo di una bottiglia d’olio. Provo a divincolarmi e mi accorgo che mi sono stati legati anche i piedi. Per di più sono nudo. Riesco a mettermi in ginocchio
“Aiuto!” provo a urlare. “Aiuto!”
“Oooh, è inutile ca iecce vuce” mi fa Peppe. “Un ci sta nuddru supra a st’isola.”
“Che volete fare?” chiedo e scoppio in lacrime.
Michele prende a menarselo. Peppe fa il giro e viene dietro di me.
“Nenti ti vulemo fare, tu un ti movere” mi prova a rassicurare.
Mi spinge per la schiena in avanti, poi sento le sue mani appoggiarsi sulle mie chiappe e massaggiarle. La sua lingua entra con fatica per intero nel mio buco e sobbalzo. Il pescatore procede silenzioso e devoto facendo schioccare la sua lingua nel mio ano mentre le sue mani tengono dilatate le mie chiappe. La sua barba mi struscia sopra. Cerco di evitarlo in ogni modo, ma mi viene un erezione. Anche quello di Michele è duro adesso. Sarà lungo quasi trenta centimetri.
“U vò u cannolo?” mi chiede.
Lo guardo con gli occhi lucidi cercando di ispirare pietà a quell’energumeno che intanto avvicina il suo cazzo alla mia bocca. Me la tappa col suo cobra, ho paura che le mie mascelle possano spezzarsi quando comincia a scoparmi la bocca. Peppe intanto ha inserito due dita dentro di me e io inizio a fremere. Sborro un pochettino, lui se ne accorge perchè gli sento dire: “Minchia, cauda a troia è!”
“Ah, sì?” gli fa Michele. “Allora nfiliccillo in culo, cussì so mugghiere sape chi tu manciaste u' ciambellone” e ride. Sento Peppe sputare. Poi con fatica il suo arnese gradualmente perfora il mio intestino. Cerco di urlare, ma il cazzo di Michele in bocca non me lo permette. Provo a stringere il culo, ma mi faccio ancora più male e sento Peppe fare un verso di godimento.
“Ah beddru stu culo, ora ti fazzo videre iè” mi dice. Con le mani strette alle chiappe penetra piano avanti e indietro il mio culo. Già dopo i primi colpi che mi stimolano la prostata prendo a sborrare un paio di fiotti e con la bocca ormai adattata al cazzone di Michele ansimo di piacere.
“Talè ci piace” fa quest’ultimo. “Allora tò mugghiere unnò sape chi si garruso?”
Le mani di Peppe passano dal mio culo a strizzarmi con forza i capezzoli. Quegli uomini che credevo volessero farmi del male mi stanno dando un infinito piacere. Riesco a prendere controllo sul cazzo di Michele per quanto è possibile date le sue dimensioni e mi concentro con la lingua sulla grossa cappella. Il sapore è celestiale nonostante l’olezzo di pesce dell’uomo sia il triplo rispetto a quello di Peppe. Ogni volta che compio giro con la lingua su quella carne pulsante il siciliano ansima e tira indietro la testa facendo vibrare i pelosi addominali. A un certo punto la mia lingua comincia a vorticare velocemente, lui si è fatto tutto rosso in volto e il suo respiro sempre più corto, così mi godo lo spettacolo di questi muscoli che si sgonfiano e si rigonfiano. Peppe intanto ha cominciato a darmelo con forza. Si tiene ancorato alle mie spalle. Gli scrosci del suo bacino contro le mie natiche fanno eco all’interno della grotta.
“Oh Pè cià vogghio mettere ‘nculo pure iè” urla Michele togliendomelo dalla bocca. Mi si drizzano le orecchie e fisso bene quell’immenso cazzo che ho davanti sicuro di morire.
“Aspè prima ci vogghio sborrare rintra” gli risponde Peppe col fiatone.
“No, amunì ciù vogghio iccare”
“Buttana Eva Michè!”
“Amunì!” strilla l’altro.
Peppe esce da me. Si danno il cambio guardandosi male. Peppe si siede di fronte a me si accende un tiro di quella sigaretta odorosa. Poi me la mette in bocca.
Non ho mai fumato, neanche a scuola. Faccio un tiro di quello strano tabacco e tossisco almeno dieci volte, mi viene da vomitare, ma allo stesso tempo inizio subito a sentirmi leggero leggero, quasi anestetizzato. Intanto Michele mi sputa rumorosamente più volte nel buco del culo e poi ci infila le dita. Saggiamente decide di mettere dentro di me solo la sua capocchia e di scoparmi con quella. La cosa mi fa impazzire perchè ne vorrei di più. Peppe fa un tiro, poi me ne fa fare un altro. Le mani di Michele stringono forte i miei fianchi. Peppe fa un altro tiro. Ci guardiamo negli occhi quando me lo mette in bocca e rimango sempre a fissarlo quando glielo succhio. Le sue mani sulle mie guance mi sorreggono il mento aiutandomi nell’operazione. Con dolore graduale e crescente Michele me lo infila sempre più dentro e i suoi colpi diventano molto furiosi, più di quelli di Peppe.
Io sempre con gli occhi fissi sul mio bel pescatore stantuffo di bocca il suo cazzo arrivando fino alla base. Una paio di volte lo lecco dalla base fino in punta e vortico con la lingua intorno alla sua cappella. Sulla mia schiena piovono abbondanti le gocce del sudore di Michele, probabilmente da tutto quel pelo che ha sul sul corpo e dalla fronte. Con un possente urlo fa entrare tutto il suo membro dentro di me e sento tre spruzzi di calore inondarmi l’intestino. Non riesco a concentrarmi sul dolore perchè la pressione del cazzo sulla prostata ha preso a farmi sborrare come se stessi urinando. Peppe me lo tira fuori dalla bocca e prende a menarselo. Io vado alle sue palle e le succhio, lui chiude gli occhi e mi sborra sul viso. Gli schizzi mi arrivano anche sulla schiena e sul collo. Non riuscendomi a staccare dalle sue palle strofina il suo uccello asciugandoselo lungo il mio viso, dalla tempia giù fino al mento.
Teresa è stata soccorsa per fortuna. È partita la sera stessa in lacrime, io sono rimasto.
Il Signore ha vie misteriose. Proprio quando pensiamo di conoscere i suoi progetti ci sorprende. Pensavo che la mia strada fosse quella della fede, del matrimonio e della famiglia, non quella della troia. Mi piace quando i due siciliani nudi e con i loro cazzi duri litigano per chi deve scoparmi per primo. Mi piace quando mi fanno fumare e quasi svenuto mi penetrano contemporaneamente.

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