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Ti ho portato un regalo


di Astri
31.12.2020    |    7.805    |    4 9.9
"Levai la mano da sotto le mutandine e la iniziai a masturbare da sopra di esse, immergendo la stoffa fra le labbra..."
“Ti ho portato un regalo…”
Sdraiata sul divano Doriana alzò gli occhi dal libro e mi guardò incuriosita; indossava una vestaglia di seta corta e nera, i lembi appena dischiusi, niente altro.
Soddisfai il suo sorriso interrogativo porgendo l’indumento perla, appena estratto dalla tasca.
Lei lo prese fra le mani, lo scrutò con interesse e capì. Quindi lo distese con cura, lo soppesò, chiuse gli occhi e accompagnando il gesto con un sospiro se lo mise in viso e ne aspirò l’aroma, con le narici, con la bocca, con la pelle del volto. Poi immerse il naso nella taschina del cavallo, annusando percettibilmente, apri le labbra e piccoli accennati baci misurarono i pochi centimetri di tessuto, con la punta della lingua divennero presto leggeri assaggi.
Aprì gli occhi, li puntò dritti nei miei e con ammirata complicità e seducente lascivia constatò: “Sono ancora bagnate.”
Socchiuse le palpebre e reclinò la testa, offrendomi la vista del collo bianco su cui fece scorrere sensualmente le mutandine, ne avvolse un seno fino a stringere il capezzolo eretto. L’altra mano accompagnava simmetricamente il movimento; lasciati i seni si incontrarono sull’ombelico, si allontanarono in direzione delle cosce e si trovarono nuovamente sul pube glabro. Accompagnava le carezze con afflati armoniosi, che in quel momento mi parvero una melodia soffusa e remota. Dal Monte di Venere, la mano che brandiva le mutandine scivolò sulle labbra prive di peli, quindi con un altro sospiro, mi chiese: “Cosa le hai fatto?”

Lorenzini mi presentò la sua assistente, a lei avrei dovuto spiegare come utilizzare il portale per richiedere i servizi che avevano appena comprato. “Whow, che fortuna!” Pensai. Marisa aveva una cinquantina d’anni, sei o sette più di me, una donna dal corpo tornito, il seno era piccolo, compensato da un fisico snello e un sedere rotondo e procace, un bel viso su cui spiccavano due occhi da cerbiatta completavano il ritratto della mia nuova referente.
Già dal primo incontro, da soli, chiusi nella saletta adibita a piccole riunioni, percepii quel senso di intimità che una donna sa trasmettere quando si rende disponibile, o almeno quando vuole giocare a farti capire di esserlo. Volevo scoprire quanto fosse reale la sua disponibilità, le ridotte dimensioni del mio portatile ci obbligavano a stare incollati e approfittai di tale costrizione per sfiorarle le cosce mentre, in modo informale e ammiccante, illustravo la procedura operativa. I contatti, dapprima stentati accenni, divennero audaci carezze che si azzardarono a percorrere tutta la coscia.
Marisa mi lasciava fare, ed io sentivo vampate calde in viso che mi levavano il fiato.
La camicetta aperta lasciava vedere il push up, il piccolo seno non lo riempiva, tanto che ne intravedevo il capezzolo scuro, di un marrone tendente al violaceo.
La sera raccontai a Doriana della mia nuova referente, senza indugiare sui dettagli che avevano reso particolarmente interessante l’incontro di formazione.
Fu lei a chiedermi: “E… com’è?”
“Mah, certamente una bella donna, ma le tette sono piccole e come sai non sono molto attirato.”
“Non so, forse ci sono cose che possono sopperire tale carenza…”
Chiudemmo la nostra chiacchierata con una breve sorriso, il mio colpevole, quello di Doriana indagatore.
Fu a sera, mentre nudi a letto ci accingevamo a fare l’amore che mi sentii di confessare: ”Sai… in effetti, Marisa mi ha un po’ turbato…”.
“Ah sì? Cioè?”
Iniziai a raccontarle con fare distaccato le prime fasi dell’incontro, rendendo naturale quel minimo di intimità che la vicinanza fisica aveva reso inevitabile.
Doriana mi ascoltava in silenzio e anziché risentirsi, percepivo in lei un certo eccitamento; le accarezzai il pube, allargando le gambe mi invitò a scendere, feci scivolare le dita fra le grandi labbra scoprendola abbondantemente bagnata. Il mugolio che emise mi incoraggiò a titillarle il clitoride e soprattutto a continuare nel racconto, esasperando alcuni momenti dell’accaduto. Ebbe molti convulsivi orgasmi e facemmo l’amore con gusto e trasporto.
Smaniavo dalla voglia di incontrare nuovamente Marisa. Masturbandomi, mi perdevo in peregrinazioni fantasiose nelle quali l’appuntamento professionale virava in schermaglie di gioco e seduzione, immaginavo di baciarla e di succhiarle i capezzoli, di baciarla tra le cosce e di possederla ardentemente, con indosso i vestiti.
Non passò un mese che ci fu una nuova occasione. Proposi a Marisa di concludere il successivo training formativo con un pranzo e lei accettò senza alcuna remora.
Eravamo due persone completamente estranee, per cui i nostri furono dialoghi improntati alla conoscenza reciproca; raccontai di me, della relazione più che ventennale con Doriana, del mio lavoro; poi raccontò lei: aveva appena ottenuto la separazione dopo anni di matrimonio; una figlia ventenne, un figlio di diciassette anni, la passione per il ballo eredità delle sue origini romagnole.
Durante il pranzo, ripercorrendo un’abitudine adolescenziale le cercai le mani, in modo da stabilire un contatto che da occasionale e distratto sarebbe diventato d’intesa, complice, intimo. Marisa non levò la mano al mio contatto, si lasciava accarezzare, ma la sua era una partecipazione piuttosto passiva, non ricambiava il mio approccio, lasciandomi nella zona grigia dell’incertezza, del dubbio.
Saliti in macchina, fermi nel parcheggio, continuai quel corteggiamento fisico, quel dialogo accennato ed esitante che indugiava in contatti ripetuti. Marisa continuava a non farmi capire. Provai con argomenti a doppio senso, con riferimenti più o meno espliciti a come si sarebbe potuto evolvere il nostro pranzo. Arrivati ad un punto di svolta Marisa mi diede ad intendere che non era disponibile ad avere un’avventura.
La portai davanti all’ufficio, ci salutammo e lei scese dalla macchina. Rientrai a casa un po’confuso, ciò che avevo sognato per settimane non si era minimamente avverato, mi sentivo uno stupido, mi era completamente svanita quella trepidazione nervosa che mi aveva accompagnato durante il viaggio d’andata. Tutto fini lì. Non ne parlai più con Doriana.
Trascorsero due o tre mesi e, con la scusa di nuovi servizi, ci fu l’occasione di un successivo incontro.
Una volta una ragazza mi disse che per noi maschi, quando ci facciamo una tipa, è come se fosse nostra per sempre, anche a distanza di tempo, anche se non c’è più stato nulla e tutto si è chiuso. Quando la rivediamo e capita l’occasione di poterci riprovare, lo facciamo. Penso che abbia ragione, nella nostra visione eternamente immatura se non infantile, una donna che abbiamo avuto è nostra, per sempre.
Fu forse per questo motivo, o forse per quella necessità intrinseca che mi obbliga a portare a termine le cose incompiute, o semplicemente per la mia condizione di maschio voglioso ed arrapato, che dopo il lavoro le proposi di berci un aperitivo.
Ci fermammo in un pub a bere un drink. Questa volta ebbi la sensazione che qualcosa era cambiato. Più tardi capii che l’aver ottenuto il divorzio, l’aver concluso una vicenda che probabilmente le aveva procurato ansie e dolori, l’aveva finalmente resa libera.
Usciti dal locale ci accomodammo su una panchina di un parchetto, le toccai ancora le mani cercando quell’intesa che mi avrebbe permesso di osare di più. Questa volta rispose con disponibilità e con coraggio mi avvicinai per darle un bacio. Lei si scostò appena, così da lasciare le labbra vicino alle mie, poggiate sulla guancia. L’avevo baciata delicatamente, facendole sentire l’umido delle labbra, in quel modo leggero che ti permette di sentire il calore del tuo stesso fiato, sentivo la fine ed invisibile peluria del viso e continuando a sfiorarle la pelle mi avvicinai alla bocca, ne lambii l’angolo e compresi che oramai era cosa fatta. Mi sistemai meglio sulla panchina per abbracciarla, le presi il viso con una mano in modo che non poté più sottrarsi e la baciai. Lei oppose un finto e flebile diniego, aprendo appena la bocca, ma una volta che vi introdussi la lingua la allargò, partecipando attivamente a quel bacio tanto atteso.
Ci furono altri incontri ed altri baci, tutti nel frammento di tempo che faticosamente trova spazio tra gli impegni di lavoro e quelli personali, senza alcuna possibilità di progredire in altro, in qualcosa di conclusivo, e forse di definitivo.

AMANTI
Baci rubati al tempo,
alla realtà, al dovere;
baci di primavera,
al vociare del sole;
baci verso il futuro
che rimangono fermi.

Lingue che si parlano
In lingue sconosciute.
Baci di panchine malferme,
Come zattere al largo
Nell’oceano della vita.

Ricordo un episodio in particolare: ci incontrammo fugacemente in una stazione metropolitana e infischiandoci completamente di tutto ciò che ci circondava, limonammo come due ragazzini. La bocca nella bocca e le lingue attorcigliate in una danza vertiginosa ed inebriante. Con i corpi attaccati l’uno all’altro le tastavo le natiche spingendo il pube contro il mio, facendole sentire il mio sesso duro. Lei assecondava la mia presa con piccoli movimenti del bacino che in sincronia con le mie spinte perfezionavamo quella prova d’ amplesso.
Con dovizia di particolari, mentre facevamo l’amore, raccontavo ogni incontro a Doriana e lei ricambiava con orgasmi che non avevano soluzione di continuità. Le bisbigliavo i dettagli all’orecchio, mentre la prendevo da dietro, nella posizione del cucchiaio; si eccitava tantissimo commentando i miei racconti con sospirati gridolini, spingendo con forza l’uccello dentro e riempendomelo del suo caldo e copioso godimento.
“Vuoi che ti dica cosa le ho fatto?” Le risposi. "Allora mettiti le mutandine!" Non se lo fece ripetere, piegò le ginocchia, infilò un piede e poi un altro, le fece scorrere fino alle cosce, poi si inarcò a ponte per farle sfilare sotto il sedere e posizionarle bene sul sesso. Non coprivano completamente le grandi labbra, il cotone bagnato era ovviamente freddo e il contatto con la sua vulva calda le fece avere un sussulto, come mi fece capire dal suo gemito strozzato.
Dunque iniziai a raccontarle dell’incontro che ebbi con Marisa quello stesso pomeriggio
“Ho lasciato la macchina nel parcheggio sotterraneo della metropolitana, cercando un angolo fuori dalla vista delle telecamere. Ho spinto i sedili anteriori in avanti, in modo da avere più spazio per sederci e pomiciare agevolmente. Lei è arrivata nel piano interrato del parcheggio, le sono andato incontro e ci siamo dati un primo appassionato e lungo bacio, strusciando eccitati i nostri corpi. Ci siamo seduti in macchina, e dopo qualche chiacchiera abbiamo iniziato a baciarci con trasporto e voluttà.
Slinguavamo mangiandoci le bocche, la saliva fuoriusciva dalle labbra bagnandoci il viso, ci staccavamo di tanto in tanto per prendere fiato. Presi una mano e gliela misi sull’uccello. Lei fu esitante, non lo strinse, sembrava che non sapesse bene come fare, ma immaginai che semplicemente teneva la parte, allora la accompagnai, facendole capire come doveva accarezzarmelo. Quando prese il giusto ritmo, gliela scostai dolcemente e feci scendere la cerniera dei pantaloni, alzai l’elastico degli slip e tirai fuori l’uccello. Marisa lo sfiorò timida e la aiutai nuovamente nel movimento che avrebbe dovuto fare.
“Hai voglia di baciarlo?” le chiesi.
“Oddio, non so se sono capace”
“In che senso scusa, vuoi dire che in vent’anni di matrimonio non lo hai mai succhiato?”
“Beh, qualche volta forse è capitato, ma francamente non è che il sesso tra di noi fosse tanto coinvolgente, sinceramente non ricordo di preciso se l’ho fatto”.
“E non lo hai mai fatto a nessun altro?”
“Prima di lui sicuramente a nessuno, non che abbia avuto molte storie, ma poi sono sempre stata fedele”.
Ero piuttosto incredulo, non mi capacitavo di come fosse possibile che una donna a cinquant’anni non avesse mai fatto un pompino.
“Ti va di provare?”
Marisa acconsentì, mi scostai per lasciarle lo spazio fisico di scendere verso di me. Lo prese in bocca timorosamente, con titubanza, dapprima si fermò alla cappella, poi le spiegai che doveva scendere più in giù, doveva aprire bene la bocca e farlo scivolare dentro, per poi tornare in su e replicare il movimento in modo ritmico. Quando scese oltre il glande provai piacere nel sentire la saliva calda; i suoi movimenti lenti ed incerti mi provocarono inoltre un sentimento tenero che si confuse con il godimento fisico.
Quando si sollevò riprendemmo a baciarci, le misi una mano tra le cosce, le alzai le mutandine e trovai una vagina fresca di rasatura, liscia al punto tale che pensai si fosse depilata per l’occasione. Le dita cercarono la fessura tra le labbra, era molto bagnata.
Le pigiai il clitoride e lo solleticai con gesti rapidi e decisi. Lei diventò rossa e gonfiando le gote face uscire uno sbuffo d’aria dalle labbra, si tratteneva dal non urlare.
“Non riesco a farti venire?” Le domandai.
Riprendendo fiato rispose: “No, guarda, non è proprio possibile, se vengo adesso ci arrestano”. Nella foga dell’eccitamento avevo perso di vista che il luogo dove stavamo facendo sesso non era certo discreto e tanto meno riservato. Detti un’occhiata intorno, ma la posizione dove avevo parcheggiato era quanto mai ideale, ci avrebbero potuto vedere solo se girando l’angolo e sbagliando manovra avessero puntato dritti verso di noi, ma li avremmo intercettati molto prima.
Fui risoluto a proseguire nella mia azione e come speravo, Marisa non riuscì a trattenersi e la seconda ondata la travolse, facendola urlare di piacere. Fu talmente forte che mi spaventai e pensando di averle fatto male le chiesi: “Tutto bene?” Lei ripose ansimando:” Oh, sì… te l’avevo detto…”. Levai la mano da sotto le mutandine e la iniziai a masturbare da sopra di esse, immergendo la stoffa fra le labbra. Un secondo forte orgasmo le bagnò”."
Doriana, eccitatissima dal racconto stava facendo la stessa cosa, con due dita si penetrava infilando le mutandine dentro la vagina, mischiando il suo umore a quello di Marisa.
“Così Teo? Le hai fatto così? L’hai masturbata come sto facendo io?” Era preda di orgasmi che la facevano contorcere. “Sì, così Amore, l’ho fatta godere così.”
Proseguii nel racconto: “Poi le ho fatto avere un terzo orgasmo che le ha bagnate completamente, allora le ho impregnate bene del suo umore caldo e baciandola gliele ho sfilate.
“Queste le prendo io”, le dissi. “Cosa? Neanche per idea” Rispose lei paonazza ed ancora boccheggiante.
“Ti spiego, ci sono almeno due validi motivi perché io le prenda”, “Ah sì? E quali sono?” mi chiese. “Il primo è che andare a casa priva di questo indumento intimo ti farà sentire scoperta, profanata, conquistata, sia fisicamente che mentalmente. Il secondo è che Doriana si merita un regalo, non credi?”"
Le avevo raccontato che Doriana era al corrente dei nostri incontri amorosi e pur dimostrandosi inizialmente sconcertata si era resa disponibile ad assecondare quel gioco, unico scotto da pagare per avermi.
Tornai a raccontare a Doriana: "Le motivazioni furono sufficienti e Marisa mi concedette quella piccola stravagante penitenza.
I nostri discorsi furono interrotti da una macchina che si diresse verso noi. Fu sufficiente per decretare la fine di quell’incontro fugace e torrido. Ci ricomponemmo rapidamente e osservando l’orologio decidemmo che era tempo di rientrare. L’accompagnai in superficie; appena congedata la chiamai: “Cosa stai provando?” Mi eccitava terribilmente il pensiero di sapere che camminava con il sesso di fuori. “E’ ancora bagnata” mi disse “Sento l’aria fresca che me la asciuga, è una sensazione inebriante, provo ancora dei sottili e continui orgasmi.” Era quello che volevo, l’aria fresca della sera che raffreddava e congelava le gocce del suo umore, mentre camminava sul marciapiede, mentre veniva trasportata dalla metropolitana in mezzo ad altre persone e infine quando avrebbe aperto la porta di casa e si sarebbe trovate di fronte i suoi figli e l’umido gelato tra le cosce le avrebbe rammentato che cosa aveva appena fatto, in un continuo circolo di piacere fisico e cerebrale."
Doriana venne ancora, spalancò le gambe, scostò di lato le mutandine e mi invitò: “Entra, ti prego”.
Le infilai il cazzo duro e bollente; dentro fluttuavo in un oceano caldo e avvolgente. Lei chiuse le gambe sopra la mia schiena, nella classica posizione del missionario, così che potei possederla tutta, penetrandola in profondità.
“Teo…”
“Cosa Amore… dimmi...”
E venendo mi ordinò:“ Voglio che te la chiavi”.
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