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Poche parole


di Sciahriar
26.01.2024    |    18    |    0 8.0
"Ma ella non fece motto, e, spogliatala immediatamente per meglio godere delle sue grazie, tuttavia quasi di comune accordo decidemmo di non violare subito i..."
A m.re de G ...
Mio amico,
la mia coscienza mi ha imposto di scriverti, affinché insieme cercassimo di tacitare I dubbi che sono insorti nel mio animo o, altrimenti, insieme tentassimo di addentrarci in territori a tutt'oggi sconosciuti alle Scienze, che rischiano di sconvolgere le nostre così a lungo coltivate credenze circa la realtà che ci circonda.
Già prevedo, mio buon G., che al leggere questo inizio, invero assai piu degno di un melodramma da palcoscenico di provincia, un prevedibile dubbio abbia sfioralo la tua mente, ossia che io rischi di diventare forzato ospite del nostro manicomio di Charenton, dopo esserne stato a lungo il direttore.
Prima di saltare a codesta conclusione, ritengo di doverti delle spiegazioni sullo scritto che ti mando, unito a queste poche righe. Esso è opera di uno dei miei pazienti, quel conte di S. di cui già altre volte ti parlai, persona di alto lignaggio e cultura, cui è stata però nefasta l'intemperanza sfrenata, e la febbre cerebrale.
In altre occasioni ti ho detto di come questo mio nobile assistito verghi le sue oscene fantasie su fogli di carta, arrivando invero ad eccessi che giustificano ampiamente il suo ricovero; già ti dissi delle sue visioni di morte, sangue, torture, che nel suo regno di inchiostro ama infliggere ad "oggetti di piacere", per usare una espressione a lui cara, in una cupio dissolvi che invero, con l'occhio distaccato del medico, deve parerci mirabile e foriera di nuovi sviluppi per quella scienza dell'animo umano nella quale io, come te e forse chiunque altro, stiamo ora muovendo i primi passi.
Lo scritto, dicevo, ch'io ti mando ha invero qualcosa di singolare. Permeato di quella frenesia, di quel dispregio della morale, di quell’amore per le cupe atmosfere che vanno ora tanto di moda al di là della Manica, presenta però al mio occhio avvezzo ai parti della penna di questo singolare malato, caratteristiche non comuni alle altre sue creazioni. Tu sai come il cercare di carpire il filo di Arianna delle labirintiche menti dei miei pazienti, ancor più sconvolte di quelle di noi "normali" delle loro creazioni letterarie (attività frequentissima, lo scrivere, in codesti poveri frenetici), costituisca una parte nuova invero della mia attività di seguace di Esculapio, da me perseguita con tenacia degna forse di miglior causa. Col passare degli anni ho acquisito una abilità la quale fa si che non mi sia possibile il descriverti in che cosa questi particolari fogli si distinguano dalle centinaia di altri scritti del mio paziente.
Un preciso fatto voglio farti notare: il conte, il quale fa spesso abuso di un linguaggio oltremodo scurrile, in questa particolare occasione limita al minimo il turpiloquio, quasi egli considerasse TROPPO IMPORTANTI i fatti che egli descrive per usare espressioni triviali. Tu potrai dirmi come io non possa applicare ad un pazzo i criteri con cui sono soldo giudicare gli uomini di senno; e tuttavia fra le righe di questi fogli, nello sguardo del conte - quando gli intimai di consegnarmi queste pagine, ch'egli mi affidò a malincuore e più in virtù del rapporto quasi di amicizia venutosi a creare fra noi col tempo che della mia posizione di uomo che, entro certi limiti, può decidere del suo destino - io lessi un che di inquietante, che perseguita da allora le fibre più riposte del mio essere e che mi fa sospettare come dette pagine siano più che l'ennesimo parto della fantasia malata di S. È un resoconto di un qualcosa che, accaduto non so quanto tempo fa, può assumere le vertiginose e terribili apparenze del vero.
Non sono io spirito che possa cedere alle superstizioni con le quali i potenti tengono in schiavitù i popoli, né il mio fortissimo sentire lascia adito al dubbio che gli avvenimenti che sto per narrare siano frutto della mia immaginazione.
Sola ipotesi che mi rimane è che la Natura impassibile mi abbia messo di fronte ad una delle terribili dimostrazioni che usa per convincere i superiori intelletti che l’unica via da seguire è quella del crimine e del vizio, e che mai si potrà raggiungere efferatezza in queste arti che non sia pallido ed insoddisfacente fantasma di ciò che ancora si potrebbe fare.

Mentre dunque erano miei ospiti il conte di P. e m re de D . con i quali condividevo i miei lascivi gusti ed insieme ai quali, in quei giorni, mi abbandonavo ad ogni sorta di nefandezza che le mie ricchezze, la mia immaginazione e l'ampia disponibilità di oggetti di piacere che in quel momento mi favoriva potessero concedermi, uno dei villici che risiedono nel mio dominio, cui era giunta voce delle mie passioni, mi recò la fanciulla che fu protagonista degli straordinari avvenimenti che sto per narrarvi.
Congedato l'inaspettato mezzano con una manciata di monete d'oro, che per passate esperienze sapevo in procinto di essere sperperate in bagordi e stravizi, io ed i miei compagni chiamammo dei servi, ed ordinammo loro di sprangare le porte della sala in cui ci trovavamo. Sola, indifesa, esposta ai nostri lubrici sguardi, la pulzella aveva tutte le attrattive che accendevano in noi nefaste passioni: carnagione d'avorio, le più belle natiche del mondo, neri i capelli e gli occhi, che costituivano la piu gran parte del suo leggiadro sembiante. E tuttavia, cosa straordinaria a dirsi, non subito ci buttammo su di lei per soddisfare le bestiali voglie che sapevo ella aveva destato in tutti noi. Sebbene la sua condizione sembrasse sin dall'inizio disperata, essa aveva un regale portamento che non doveva mai abbandonarla, come il mutismo ch'ella mantenne finché stette con noi.
«Siete nelle nostre mani, giovane, nelle mani di gente che non avrà rispetto dei vostri vent'anni, né pietà dei vostri lamenti» subito le dissi col mio tono più duro.
Ma ella non fece motto, e, spogliatala immediatamente per meglio godere delle sue grazie, tuttavia quasi di comune accordo decidemmo di non violare subito i suoi pulzellaggi, e di violare il tempio sì maraviglioso che la Natura aveva voluto creare solo quando l'animo suo, piegato dagli orrori cui si accingeva ad assistere, avesse col terrore e con le implorazioni di misericordia otferto maggior alimento alla fiamma delle nostre omicide fantasie. Incatenatala dunque, e fattala oggetto delle nostre più lascive attenzioni, subito toccata da mani che la frugavano senza alcuno dei pudori degli sciocchi, e le sue carni strette con violenza che nulla lasciava presagire di buono, la conducemmo nelle sale dei miei sotterranei, dove un tempo l'inquisizione aveva una delle sue sedi più segrete e dove il passare dei secoli e veri filosofi, dotati delle mie stesse inclinazioni, avevano raccolto quegli strumenti che sono indispensabile mezzo per la sofferenza di coloro che alle volte ardiscono chiamarsi nostri simili ed il cui annientamento solo, oramai, risvegliava in me e nei miei amici sensi che decenni di libertinaggio, praticato fin dalla più tenera età e nelle sue manifestazioni più violente, ottundevano.
Lì, quella che credevamo essere solo una fra le migliaia delle vittime nostre, dovette assistere a scene che piegano gli spiriti deboli, e che noi solo consideravamo essere il più naturale mezzo per soddisfare quegli istinti che nel modo più naturale sorgono nell'uomo che si trovi ad avere potere di vita e di morte sul suo simile, e a cui la superiore cultura, le enormi ricchezze, l'altissimo lignaggio garantiscono l'impunità. Eccitati oltre ogni dire dalla presenza della singolare fanciulla, con ogni mezzo m nostro potere cercammo di annientare le carni degli uomini e delle donne che componevano il mio serraglio, spezzando le ossa di quelle creature, frustandole senza pietà, facendo scorrere 3 fiumi il loro sangue e penetrando nei templi che Venere volle creare, affinché in essi i nostri non comuni membri officiassero litanie di sperma.
Ma ella, incurante di tutto ciò, solo ci osservava con quegli occhi che in P. specialmente accendevano infuocate passioni, e la sua altera immobilità, il suo silenzio ci facevano rizzare come mai, nelle nostre camere di libertini, innocente vittima ci aveva fatto rizzare.
Spesso ci chiedemmo, in quello e negli altri giorni in cui ella era là, inerme e pronta a soddisfare i più disumani desideri nostri, se la sua impassibilità non fosse dovuta alla appartenenza alla eletta schiera della quale io ed i miei compagni facevamo parte, ma mai avemmo un segnale in tal senso, né a tult'oggi credo che di ciò si trattasse. Ella manteneva il suo altero portamento anche quando, preda delle nostre fantasie, era ridotta a nostro pitale e, tempestata di schiaffi, pugni, calci che noi tuttavia badavamo non le procurassero lesioni che avrebbero pregiudicato futuri e più funesti piaceri, la sentivamo, con nostra somma soddisfazione, preda nostra e sicuro ricettacolo delle nostre più ardite passioni. Spesso la frustavo, nuda, i polsi appesi a fasce pendenti dal soffitto, e non un gemito veniva a placare la mia sete di terrore, mentre con la lingua assaporavo il sangue che colava dalle sue ferite, desiderando di divorare le sue carni e di inventare nuove e più atroci torture per quello che appariva al miei sensi sovraeccitati come il più nero dei sogni di Satana.
Nulla pareva turbarla, i più crudeli supplizi divenivano cosa di tutti i giorni nel tentativo di smuovere quella creatura dal suo silenzio, mentre ella osservava tutto senza mai distogliere quegli occhi che erano diventati la nostra ossessione, l'animo pervaso, come la nostra esperienza ci suggeriva, da un intimo appagamento per quei corpi che venivano arsi vivi, macellati nell'arco di giorni, bagnati nel vetriolo, scuoiati. Di certo non poteva sussistere in lei alcun dubbio circa la sorte che l'aspettava, né era da credersi in una apatica follia che non la facesse rendere conto della situazione in cui si trovava. Lontana miglia e miglia dal resto dell'umanità, le nostre persone tutelate da leggi che venivano interpretate da esponenti della nostra stessa genia, celata a Dio ed agli uomini, i nostri animi inclini a tutto fuor che a risparmiarle orrori che mai Febo o Selene avevano visto, giungemmo a credere che in lei fosse la volontà perversa di essere annullata dall'esistente in un modo che nessuna persona di senno poteva mai nemmeno augurare all’awersario più acerrimo, al nemico più odiato.
Finché una sera, dopo che forti liquori, in abbondanza trangugiati, avevano esasperato al massimo la nostra lubricità, la mandammo a chiamare, e ci serrammo con lei, soli come il giorno in cui uno sciocco contadino, preferendo poche monete agli infiniti piaceri che quelle carni potevano riservare, l'aveva recata a noi. Subito fu oggetto dei nostri più volgari bisogni, e picchiata con nuova violenza, la fissavo mentre abbondanti cacciagioni e vini squisiti ci rinvigorivano per quelle che dovevano essere le sue ultime ore di vita, ed insozzata a guisa di letamaio, la carnagione violata dai numerosi lividi, un rivolo di sangue che le colava dall'angolo della bocca, i capelli scarmigliati, impastati dei nostri escrementi, e tuttavia il portamento eretto pur se il suo corpo era stretto dai ceppi, e lo sguardo fiero, ella mi appariva come l'essere più desiderabile del creato, quello che avrebbe dato ai miei umori il più piacevole degli sfoghi.
Dello stesso parere era sicuramente P., il quale, alzatosi repentinamente da tavola in preda ad una crisi di furore, l'aspetto che aveva assai più del ferino che dell'umano, già protendeva le unghie adunche verso quelle carni di ventenne, proferendo orribili bestemmie e giurandole patimenti che l'avrebbero condotta alla tomba nel più irriferile dei modi. Allora, ma forse fu effetto dei miei sensi alterati che in pieno condividevano le aspettative di P., mi parve di vedere nel suo sguardo di regina come un turbamento nuovo, ma non di terrore come avevo sperato bensì, cosa invero troppo strana a riferirsi, di rimpianto e come di un desiderio che stesse per essere troncato.
Le terribili mani di P., cui stavano per unirsi le mie, già stavano per straziare quel corpo che mai Amore avrebbe potuto eguagliare, quando ciò che meno potevamo aspettarci a quel punto si verificò.
Ella parlò, disse poche parole, che da allora come uno spettro perseguitano i miei pensieri ad ogni ora del giorno e della notte, e poi ciò che nessuno poteva immaginare, ciò che le nostre esperienze di uomini ancora non contemplavano accadde.
Il suo corpo, che io solo dopo alcuni istanti compresi stava per sfuggire alle mie brame, fu circondato da un'aura come quella che la paure degli sciocchi fanno sì che circondi le ingenue raffigurazioni del Dio degli Ebrei, ed ella disparve.
Se in noi ben presto il furore per un desiderio inappagato prevalse sulla superstiziosa meraviglia che, mi vergogno nel dirlo, aveva per un attimo sfiorato le nostre menti filosofiche, come ho già detto le parole che quella nera regina pronunciò da allora sembrano marchiate a fuoco nel mio cervello, ed avendone io chiesto spiegazione più e più volte a varie menti che io sapevo ragionare fuori dagli schemi di quella che gli uomini comuni pomposamente chiamano Scienza, avendo io in particolare sottoposto quello al cui confronto tutti gli enigmi della Sfinge mi paiono giochi per fanciulli, mi fu risposto da un saggio particolarmente versato nello studio degli idiomi delle genti che le parole ch'io avevo sentito, e che sapevo ripetere come se fossero pronunciate li, in quell'istante, davanti a me, molto ricordassero la favella degli uomini che abitano l'isola di Britannia, da noi cittadini di Francia in questi giorni tanto esecrata, ed m base a non so quali criteri egli credette di potervi riconoscere una frase di senso compiuto, che io qui di seguito riporto e che io non posso che interpretare come l'invocazione al proprio padrone di quello che - oggi ne sono certo - era il più bel sogno ed il più terribile incubo di quel signore degli Inferi, che da quel giorno sempre, con i miei pensieri, con le mie azioni e con i miei scritti, cerco di degnamente servire:

«Qui time-runner 45/3400. Preparare il tempocanale e richiamatemi alla Base».
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