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Costretto a farle da padrone (2)


di FaustoConsolo
16.03.2022    |    95    |    0 6.0
"E’ stata dura, molto dura, e quel tipo ha interpretato alla lettera le sue parole..."
Erano le 9,30 quando le inviai un messaggio: “Spogliati restando con le sole scarpe e le autoreggenti. Spero tu sia stata convincente e lui arrivi”. Mi rispose solo con una foto: aveva fatto come richiesto. Era giovane, Elisa, ma si capiva che conosceva già benissimo questo mondo, che qualcun altro l’aveva guidata e, poi, probabilmente abbandonata, ma ci sarebbe stato il tempo per chiederle ogni cosa. Ora, invece, era il momento di giocare, di sentirsi con lo spirito dei bambini dentro un gioco che è da grandi. “Quando arriverà – le risposi – dovrai inviarmi un messaggio e io, con una scusa, lascerò questa riunione per richiamarti. Dovrà essere direttamente lui a rispondermi”.

Non passarono più di cinque minuti oltre le dieci che il mio telefono si illuminò. Era lei. Dissi ai colleghi che dovevo assentarmi per una chiamata urgente e lasciai la sala riunioni per raggiungere un angolo appartato e lontano da orecchie indiscrete. E chiamai.

Uno squillo e subito la risposta. All’altro capo un respiro affannato che lasciava percepire incredulità e fui direttamente io a parlare: “Salve, sono il compagno (master è un termine che non tutti possono capire e “padrone” è una parola pericolosa per chi è avulso a certi giochi) della ninfomane che è ai suoi piedi. Le chiedo di utilizzarla a suo piacimento, per qualsiasi fantasia che voglia venirle in mente, con l’unica regola di non provare a scattare foto o filmati perché mi accorgerei (baravo, ma ci avrebbe creduto). Non so se le interesserà anche farla godere o se preferisce limitarsi al suo godimento, ma se volesse farla godere sappia che le piace il dolore e che le maniere molto forti sono l’unico modo per ringraziare questa donna dei servizi che le rende e che le renderà nei giorni della sua permanenza nel vostro hotel”. Ero riuscito a sentire il gelo nel respiro di Elisa, che era ai piedi del io interlocutore, pronunciando queste parole, l’avevo messa in una situazione che non poteva aspettarsi, ma dopo una pausa per gustarmi quel silenzio, andai avanti: “potrà fare quello che vuole con lei, ma ovviamente le chiedo riservatezza. La meretrice resterà in stanza fino alle 18 di questa sera, lei entri ed esca quando e come vuole, sarà sempre a sua disposizione”. Poi riagganciai e inviai un messaggio a Elisa: “Buon lavoro, puttana! Aggiornami con dovizia di particolari non appena avrà lasciato la stanza. Ricordati di ringraziarlo per averti usata, prima che esca, e di lasciargli una buona mancia”.

Erano quasi le undici quando il mio smartphone tornò a illuminarsi, era lei e mi aveva inviato un vocale lunghissimo. Eccolo: “Non so se avrei dovuto e me ne scuso, ma scelgo il vocale piuttosto che il testo perché vorrei farle sentire che sto piangendo. Di dolore e di commozione. E’ stata dura, molto dura, e quel tipo ha interpretato alla lettera le sue parole. Ho dei segni sul corpo e dolori diffusi, ma sono commossa perché penso di essere stata brava. Appena chiusa la telefonata con lei mi ha infilato due dita dentro, ero un lago e questo lo ha probabilmente convinto che fosse per lui. In verità non mi piaceva e avevo un senso di schifo, ma anche la consapevolezza che quell’uomo era mandato da lei per la mia crescita di slave. Ho anche pensato che se lo avessi incitato, che se mi fossi mostrata partecipativa e coinvolta, probabilmente il tutto sarebbe durato poco. Ero comunque bagnatissima, ma, tolte le dita, mi ha infilato la lingua in bocca mentre armeggiava con i suoi pantaloni. Quando ho potuto abbassare gli occhi ho visto che si era tolto la cinta. E l’ha usata, con una violenza che ho trovato assurda per un essere umano dal viso così mite. Ha smesso solo quando le mie grida e il mio pianto sono diventati un pericolo per la quiete dell’hotel. E’ a quel punto che, rimproverandomi per aver frignato troppo, mi ha fatta inginocchiare davanti a lui schiaffeggiandomi con il pene. L’ha infilato nella mia bocca, senza permettermi di succhiarlo, mentre con le mani straziava i miei capelli.

Ammetto di aver avuto paura. Poi mi ha portata davanti alla finestra della stanza, ha spalancato tutto e ha voluto che ballassi esponendomi alla vista degli edifici davanti, prima di chiudere di nuovo la tenda e baciarmi in preda a un delirio di parole in cui diceva che ero stata mandata da Dio per permettergli di scaricare tutte le frustrazioni di una vita, di una moglie che non lo ha mai fatto sentire amato, di figli che lo hanno fatto sentire un bancomat e di un lavoro fatto di continui signor sì. Sembrava invasato e avevo paura, continuavo a piangere e di questo mi scuso. Poi mi ha fatta girare e con il pene ha immediatamente cercato l’orifizio anale, ignorando completamente il davanti. C’è stato a lungo per essere un uomo di quell’età, mentre dalla sua bocca uscivano parole che mi ferivano e allo stesso tempo mi eccitavano. E’ uscito di colpo e ho sentito il suo sperma sulla schiena e sui glutei, prima che mi venisse davanti e mi chiedesse di ripulire tutto. L’ho fatto con la bocca, fino a sentire la consistenza di quel pene perdere sempre più vigore, e poi mi ha trascinata in bagno, imponendomi di lavarlo. Mentre lo facevo sembrava quasi volersi scusare e così è stato anche quando l’ho rivestito da capo a piedi. S’è avviato alla porta e, come ordinato, l’ho ringraziato baciandolo languidamente e mettendogli in mano una banconota. Ha chiuso la porta dicendo che sarebbe tornato e di restare così, senza lavarmi. Ora guardo i miei segni: con la cinta ci è andato pesante, dovrò fare attenzione agli abiti da indossare questa sera e domani, e sono un po’ rossa sulla parte sinistra del viso. Ho voglia di lei, padrone, e spero di essere stata brava”.

Sì, era stata bravissima, ma non mi andava di dirglielo. Volevo vedere dove volesse arrivare e nella risposta, nonostante facessi fatica a contenere l’erezione, fui lapidario: “Bene. Fa quello che ha detto e aspettalo. Devi solo aspettarlo, non puoi fare niente di niente, neanche andare in bagno e sulle cose di lavoro da portare avanti non preoccuparti, ci penserò io. Nella tua testa, ora, deve esserci solo il ripercorrere di ciò che hai appena fatto e la consapevolezza di esserti a tutti gli effetti prostituita”. Poi inoltrai quel vocale alla mia compagna e bloccai di nuovo lo schermo, aspettando con un’ansia che era incredibile e che di certo non potevo confessare per non esibire una debolezza, che tornasse a illuminarsi di nuovo.
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