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Lui & Lei

Noi cattive ragazze


di Xilia
02.02.2022    |    1.701    |    9 9.6
"Le labbra iniziarono a mimare insulti e improperi mentre noi le sorridevamo facendole ciao con la manina..."
Erika dormiva profondamente sulla sdraio dopo una nottata di eccessi anche quando notte non era ormai più da parecchie ore.
La spiaggia infuocata da un sole implacabile brulicava di turisti domenicali che si arrostivano procurandosi futuri melanomi, molti con i piedi affondati in quella brodaglia maleodorante che gli abitanti della riviera si ostinano a chiamare mare.
S’era messa quel suo bellissimo costume con i laccetti. Sarebbe stato bene a una cozza, figuriamoci a lei, con il suo fisico plasmato da anni di dieta, demoralizzanti sforzi fisici e un DNA da metterci la firma.
La tentazione fu invincibile. Dopotutto se lo meritava. Sara la pizzicò più volte per tastarne la fase di sonno. “È su un altro pianeta” sentenziò. Qualcuno già cominciò a interessarsi.
Le slacciò lentamente il costume tra i seni e poi lo dischiuse aprendolo ai lati. Le meravigliose tette di Erika si riempirono di sole e di sguardi divertiti.
Passò poi al pezzo inferiore; lo slacciò prima a sinistra, poi a destra e senza esitazioni glielo sfilò tirandolo delicatamente. Io, contemporaneamente a molti altri, trattenevo il fiato.
Sarebbe bastato il suo seno a dir poco perfetto - e parlo con una certa invidia - a turbare quei portatori sani di testosterone che ci circondavano, ma la vista del suo pube rasato fu davvero troppo. Un bel po’ di boxer si rigonfiarono sul davanti; lo notammo sia io che Sara e ne ridemmo entrambe.
Ci allontanammo, mentre i cellulari, sempre più numerosi, venivano puntati indiscreti verso la nostra amica, lasciata magnificamente nuda e sola sotto l’ombrellone.
Fu la mano di un vigile a svegliarla, dopo quasi un’ora, in cui le era ronzato attorno praticamente ogni specie di variante umana.
Noi ci stavamo godendo la scena da una decina di metri di distanza, sorseggiando amabilmente due granite corroboranti.
Erika aprì gli occhi senza vedere alcunché – noi che ne conosciamo pregi e difetti sappiamo quanto sia rincoglionita e scorbutica al risveglio – e si girò sul fianco bofonchiando un “Vaffanculo”. I presenti furono quindi omaggiati anche della visione del suo bel posteriore, ché tanti ne ha fatti impazzire. Fischi e maschi ululati sottolinearono lo spettacolo.
Il vigile la scosse ancora, sforzandosi di guardarla solo al di sopra del collo.
“Signorina!”, ma avrebbe volentieri usato ben altro epiteto.
Dal gruppo di donnelle frigide e represse che si tenevano alle spalle dei due vigili - e che li avevano prima chiamati dopo aver occultato la vista ai loro figlioli per una volta più interessati a qualcosa di diverso dal proprio squillante videogioco - si levarono degli spassosi “È scandaloso”, “Ma che svergognata” e perfino un percettibilissimo “Puttana schifosa”.
Erika riaprì gli occhi, si voltò verso il vigile nella sua annebbiata inconsapevolezza. “Ma che cazzo...?”
“Si può ricoprire, per favore?” Ipocrita. Figuriamoci se anche lui non la preferiva così.
“Ma...” si sollevò sui gomiti, “neanche in spiaggia posso...” poi, in un attimo, focalizzò il suo pube esposto. “Merda!” e cercò di coprirsi con le mani ciò che ormai tutti avevano già a lungo ammirato. Si tirò a sedere e serrò le gambe diventando paonazza.
Ci saremmo aspettate che qualche gentiluomo a quel punto le allungasse un telo o qualcos’altro con cui proteggersi, invece tutti rimasero a fissarla in attesa che si alzasse per raggiungere i suoi indumenti (che ovviamente avevamo noi).
Furono un paio di squisiti imbarazzanti minuti in cui tutta la spiaggia lì radunatasi continuava a rimirarla e lei si guardava intorno come una preda quando i fronti di predatori le si chiudono intorno.
Poi ci vide.
Mise su la sua faccia cattiva, fosse stata Supergirl ci avrebbe incenerito. Le labbra iniziarono a mimare insulti e improperi mentre noi le sorridevamo facendole ciao con la manina. Il suo splendido corpo balzò in piedi e partì correndo verso di noi, subito in precipitosa fuga. Le nostre granite, nella fulmineità del nostro scatto, volarono nell’aria afosa disegnando due archi, come due arcobaleni, uno verde e uno rosso, che si intersecarono ed esistettero per un secondo soltanto, ma nessuno - tutti troppo concentrati sulla rotondità sobbalzanti di Erika - si curò di quest’immagine poetica.



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