Lui & Lei
La prima volta con Sonia
di juda_s
13.12.2017 |
15.767 |
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"Le chiesi “rischio di metterti incinta?”
“no”, rispose, “non sono mica una bambina…”
sorrisi, la baciai, intensificai le spinte, la sentivo sempre più..."
Sonia è una collega.Lavoro come sistemista-programmatore per un’azienda che ha filiali su tutto il territorio nazionale, seguo la fascia che comprende lombardia-veneto-friuli.
Praticamente vivo tra macchina, hotel, uffici.
Conosco molte persone, ovviamente, ed inevitabilmente si sviluppano antipatie e simpatie.
Quella per Sonia è stata automatica, è scattata immediatamente.
Di Bergamo, vent’anni meno di me, piccolina, sportiva, molto intelligente e simpatica, ci conoscemmo proprio nella sede della provincia di Bergamo in cui lavorava, con contratto a termine, ed entrammo subito in sintonia: in poche parole, era l’unica cui potessi chiedere di fare qualche operazione sulla macchina che la facesse senza sbuffare e, soprattutto, in modo corretto.
Per me fu naturale cominciare ad utilizzare vezzeggiativi come “cara”, o “tesoro”, durante le – peraltro rare – chiamate di assistenza.
A termine contratto fu lasciata a casa, con mio sommo dispiacere; tuttavia, alcuni mesi più tardi, venne assunta in una sede del bresciano e ci ritrovammo. Il direttore di filiale, saputo che già ci conoscevamo, conscio delle capacità organizzative e relazionali di Sonia e scoperto che in passato già mi ero avvalso della sua collaborazione, non esitò un attimo a “nominarla sul campo” mia “assistente” per le magagne tecnologiche dell’ufficio. Ciò, ovviamente, incrementò notevolmente i nostri contatti, per lo più telefonici o epistolari e ci porto, in qualche modo, ad approfondire la conoscenza, partendo da piccole confidenze per arrivare a torrenziali chat notturne.
D’altra parte, le mie serate in albergo erano lunghe e noiose e la sua vita da mamma single – cosa che scoprii solo dopo un bel po’ di tempo – piuttosto piatta.
In comune avevamo un certo modo di intendere il lavoro, un certo impegno sociale e la passione per la corsa, l’unico sport che un trasfertista come me può praticare più o meno ovunque. Dunque, in breve si passò a confidenze più intime, ad un vero e proprio confronto, in cerca di supporto per le problematiche varie della vita.
Mi sfogavo con lei per i problemi con mia moglie, mi chiedeva come affrontare l’adolescenza del figlio e via discorrendo.
Ma qualcosa, tra di noi, stava cambiando: per quanto nessuno dei due volesse ammetterlo, si stava creando della tensione, un’attrazione, quella cosa che ti fa dire “sei già qui? Che bello!” o “bene, domani vado a Brescia, così ci vediamo e facciamo due chiacchiere…” invece di “madonna che palle, di nuovo in quel postaccio…”.
Le poche volte che ci incontravamo erano abbracci sempre più lunghi e stretti, baci sempre più di labbra e meno di guance, mi accorgevo di volerla non solo vedere, mi rendevo conto che mentre l’abbracciavo e sentivo che premeva il suo corpo contro il mio in un modo del tutto inadatto ad un saluto tra colleghi mi veniva duro, e mi premevo contro di lei più a lungo possibile.
I nostri messaggi, peraltro, sempre più spesso chiudevano con una piega maliziosa, così come i discorsi e le inevitabili battute sugli hotel che frequentavo. Sovente, per questioni economiche (ho un contratto libero professionale che non prevede rimborsi, tutto rientra nella tariffa pattuita per la trasferta: km, hotel, ristoranti…) sceglievo bed and breakfast o motel un po’ defilati e dozzinali, decisamente più economici di quelli in centro ma, spesso, un po’… equivoci, e le celie a riguardo cominciavano ad essere insistenti.
Poi c’era la corsa e la promessa, ancora non mantenuta, di andare a correre insieme, prima o poi.
Dopo due anni di abbracci, chat, scherzi, battute e desideri, finalmente riuscimmo ad organizzare la cosa.
Presi una camera in un motel molto comodo a Bergamo, dove sarei stato alcuni giorni per lavoro, piuttosto vicino a casa sua ed alla pista ciclabile dove era solita andare a correre e ci accordammo per vederci lì alle 7 di sera per una corsa e, successivamente, andare a mangiare una pizza insieme, per fare due parole.
Dato che non è bello arrivare in pizzeria in shorts da running e maglietta sudata, le offrii la doccia della mia camera di motel, con la promessa di… stare fuori, ovviamente. Sonia accettò senza controbattere.
Raccontai a mia moglie che quella sera sarei stato a cena col responsabile di zona, così da evitare telefonate o messaggi inopportuni e… aspettai che i giorni passassero, fantasticando, spesso tenendomelo in mano, anche mentre ero alla guida dell’auto.
E finalmente, il giorno arrivò.
Alle 18 uscii dall’ufficio, dichiarando tutta la mia stanchezza per una giornata particolarmente impegnativa iniziata, peraltro, molto presto, e mi fiondai al motel.
Check-in, camera, con parcheggio davanti alla stessa, letto king size con specchio sopra e sulla testiera, bagno con vetrata sulla camera.
Perfetto!
Aprii la valigia e ne tirai fuori il beauty case, un sapone da massaggi, l’attrezzatura da running, estrassi il portatile e lo collegai alla wifi della struttura quindi mi diedi una rinfrescata, mi cambiai ed uscii con l’auto in direzione del punto d’incontro che Sonia mi aveva indicato.
Quando arrivai era già lì che mi aspettava.
Scese dalla macchina e mi sentii morire.
L’abbigliamento tecnico disegnava le sue forme come se fosse stata vestita solo di una mano di vernice nera e giallo fosforescente.
Mi venne un’erezione immediata e pensai “come faccio, ora la vedrà, se ne accorgerà, che figura…” così armeggiai un attimo giusto da recuperare un po’ di contegno prima di scendere e salutarla.
Mi venne incontro, ci abbracciammo e baciammo all’angolo della bocca, le accarezzai la schiena, come facevo sempre, sentendo che non aveva il solito reggiseno ma uno sportivo, lei si strinse più forte ancora a me, mettendosi in punta dei piedi e spingendo il suo corpo contro il mio, il suo ventre contro… la mia erezione che, ovviamente, era tornata a tenermi compagnia.
Mi scusai, argomentai sugli effetti del freddo, notai i suoi capezzoli turgidi, lei rise e propose un paio di minuti di camminata per riscaldarsi prima di cominciare la corsa vera e propria.
Ok, andiamo, fa strada.
Quel posto non l’avevo mai visto, il sentiero era stretto, mi misi dietro di lei.
Come dicevo, Sonia è più piccola di statura di me, all’incirca è alta 160 cm contro il mio incredibile metro e ottanta (ah ah ah…) e molto più giovane, ha, infatti, 35 anni mentre io ne ho quasi 55.
Non è bellissima, è carina, un bel tipo, occhi come il cielo, bellissimo viso, lunghi capelli mossi biondi naturali raccolti, per il running, in un crocchio negligente, seno piccolo, una seconda scarsa, ma sodo che avevo più volte sbirciato senza riuscire a scoprire per intero, sedere un po’ abbondante ma piacevole, piuttosto sodo anch’esso.
Il tutto, come detto, avvolto in un paio di shorts, un reggiseno sportivo ed una tshirt aderente da running.
Una bomba.
Partimmo.
Prima la camminata e poi un po’ di corsetta leggera. Non faticavo a starle dietro: nonostante l’età il mio stato fisico è decisamente buono, mi tengo in costante allenamento. Ho l’inevitabile pancetta dei 50enni, frutto di ore d’auto, riunioni, cene in ristorante, ma per il resto… tutto a posto, così, anche quando cominciò a forzare il ritmo non faticai a starle dietro.
D’altra parte, ne avevo validissimi motivi: uno era quello che mi ondeggiava davanti, ad ogni passo. Un paio di chiappe appena morbide che si alternavano su e giù mandando in tilt le mie sinapsi.
Mica facile correre col pisello che come riesci a distogliere il pensiero e farlo scendere torna duro…
Dopo circa mezz’ora, e circa 8 km, ci fermammo nei pressi di una fontanella per rinfrescarci un attimo.
Non sono abituato a portarmi borracce o altro, non uso nemmeno le cuffiette, preferisco correre leggero, e dissetarmi presso le fontane che si trovano in giro, se si trovano, in ogni caso bevo parecchio prima di partire per cui ne approfittammo per ristorarci un attimo.
Si fermo, disse “ecco, questa è la fontana, siamo a metà”, si girò verso di me e… le vidi il camel toe, il suo sesso splendidamente scolpito nel nero dei pantaloncini aderenti, e persi fin la strada di casa.
Farfugliai qualcosa, bevvi un po, mi girai e vidi che stava ridendo. Feci per chiederle come mai ma… me ne accorsi da solo. Era di nuovo lì, più baldanzoso che mai.
Mi disse “ma come fai a correre con quel robo lì???” risposi “eh, lo so, ma è colpa tua…” “ lo so…” e mi strizzo l’occhio prima di dirmi “forza, vecchietto!” e riprendere la corsa.
I successivi circa 30 minuti – 8 km passarono in fretta mentre correvamo, ora affiancati, su una strada un po’ più larga, rimettendoci in fila solo incrociando qualche altro runner, intanto che il sole scendeva e godevamo del paesaggio stupendo, dello sforzo fisico, della presenza dell’altro accanto.
Arrivammo alle auto e, richiamando gli accordi e la mia proposta, le dissi: “allora vieni a fare la doccia da me?”
“Certo, se mi vuoi…” rispose.
“Beh, ovvio che ti voglio… - strizzata d’occhio – però mi sa che potrebbero far storie se entri con la tua auto per cui pensavo che potresti lasciarla nel parcheggio dalla rotonda, ti prendi la borsa col cambio, sali con me ed entriamo insieme, che ne dici?”
“Sì, perfetto”
“Benissimo, andiamo”
Salii in auto completamente scombussolato. Stava davvero accadendo?
Ci mettemmo in marcia, nuovamente in colonna, direzione parcheggio rotonda, che distava pochi km. Durante il viaggio chiamai mia moglie, telefonata d’obbligo, ciao, come stai, tutto bene, sono andato a correre dove mi ha detto quel collega, ricordi? (notare la finezza), sì, ora doccia e poi a sta cena, che palle, non ne ho proprio voglia, eh, lo so ma che vuoi, mi tocca…
Ciao ciao, a domani ed eravamo alla rotonda.
Sonia scese dall’auto con la borsa del cambio e la borsetta e salì nella mia.
Stavo letteralmente impazzendo di desiderio.
La guardai e le sorrisi, le accarezzai una guancia, mi sorrise, partimmo direzione motel.
Il concierge non guardò nemmeno chi c’era nell’abitacolo, riconobbe l’auto, presumo, ed alzò la sbarra; pochi secondi dopo parcheggiavo davanti alla camera, pochi altri ed eravamo dentro.
“benvenuta chez moi, ma cherie!”
“Wow, grazie! Carino, pensavo peggio da quanto dicevi, certo che specchi ce n’è… e quella?” chiese, guardando la vetrata che divideva la camera dal bagno.
“hai capito perché ho promesso di non entrare?”
“sì, non serve, puoi vedere tutto!”
ridemmo di gusto, le promisi di non guardare (cosa che invece feci) e lasciai che entrasse in bagno per fare la doccia.
Non chiuse la porta lasciando un piccolo spiragli dal quale la spiai spogliarsi, sentendo il testosterone salirmi fin alla radice dei capelli, la fotografai e filmai di nascosto mentre, nuda, entrava nella doccia, mi spostai a sbirciare dalla vetrata finchè il vapore non mi nascose la visione sublime, seppur distante, dei suoi seni, del suo sedere, del suo sesso, quindi attaccai il telefono al portatile e scaricai al volo foto e filmatini, nel caso volesse farmeli cancellare. Non avevo alcun dubbio, infatti, che fosse ben conscia di ciò che stavo facendo.
Dopo una decina di interminabili minuti usci, si asciugò ed uscì dal bagno avvolta solo nell’asciugamano grande, da doccia.
L’avrei violentata lì, ma ero ancora un po’ incerto, e comunque puzzavo come una capra bagnata, una doccia era d’obbligo.
“Ok, vado io ora, ci metto poco”
“Sì, ti aspetto qui” “eccerto, e dove vuoi andare?”
Risate
“se vuoi dopo ti faccio un massaggio…”
Non è una scusa, li faccio davvero e mi dicono d’essere piuttosto bravo.
Non li faccio spesso, di norma ad amici, massaggi decontratturanti dopo sforzi intensi o rilassanti, preferibilmente ad amiche, anche se mia moglie, ovviamente, non gradisce particolarmente. Le avevo già fatto qualche massaggio cervicale appena accennato, in ufficio, per cui accettò subito.
Entrai in bagno e cominciai a spogliarmi, dando costantemente le spalle alla porta. Mi sentivo osservato, mi stava sbirciando proprio come avevo fatto con lei.
Feci scrosciare l’acqua un po’, quindi entrai nella doccia, cercando di sciogliermi e di far calare l’erezione.
Pochi minuti dopo, ristorato, ne uscivo, con l’asciugamano grande cinto ai fianchi, un asciugamano da viso pulito in mano e nulla sotto.
“Allora, sei pronta per il massaggio?”, le chiesi. “Certo” rispose, “non mi sono data la crema apposta per provare quel tuo sapone speciale”, che poi è un sapone a base di canfora ma profumato al limone, specifico per massaggi.
Quel sapone, molto consistente, col calore del corpo si scioglie come burro e come burro lascia un velo.
Perfetto, avevo pensato mettendolo in valigia.
“bene, allora pancia sotto, metti sotto l’asciugamanone, puoi metterti le mutandine o se preferisci ti copri le chiappe con questo” e mostrai l’asciugamano da viso.
Sorrise, mi diede le spalle, si sciolse l’asciugamano rimanendo nuda di fronte a me – ovviamente ne vedevo solo la schiena, il sedere, le gambe… - lo stese sul letto e ci si adagiò sopra. Allungò la mano e tolse l’asciugamano che le avevo drappeggiato sul sedere, “non serve”, disse.
La mia erezione faceva male…
Presi il sapone, mi posi in ginocchio accanto a lei – essendo in albergo non avevo dietro il lettino da massaggi – e cominciai a passare lentamente il sapone, così da creare un velo sulla schiena, un velo dalla spalla destra fino alle natiche ed uno dalla sinistra, quindi lo allargai dolcemente e cominciai a massaggiarle le spalle.
“Che bello”, disse, vorrei che non finissi mai…
Ero molto vicino ad essere felice.
Continuai il massaggio lungo la schiena, prima la spina dorsale e poi le costole, la gabbia toracica, sciogliendo i fasci muscolari, liberando i nodi, a volte più rudemente ed altre in modo più delicato, quindi passai alle gambe, una alla volta, partendo dal piede, dalle dita, una ad una, quindi alla pianta, le caviglie e poi, pian piano, su, per rilassare ed attuare un lieve drenaggio.
Man mano che salivo lungo la sua gamba sinistra e mi avvicinavo al sedere ed a tutto ciò che sta da quelle parti mi sentivo venir meno, mi girava la testa, stavo dando di matto.
Giunto nei pressi di quel culo stupendo decisi di rimandare e mi dedicai alla gamba destra, pian piano, salendo, salendo, fino a quando arrivai al sedere.
Che non è una zona che di norma si massaggi, quantomeno difficilmente gli si fa un massaggio decontratturante.
Ma ormai ero lì e, che cazzo, non ragionavo più, per cui… dalla gamba andai ad impattare sulla chiappa, e lei allargò quel tanto le cosce, ed io vidi la sua figa carnosa, perfettamente liscia, calda, invitante, fradicia, e sentii l’asciugamano che si scioglieva ed il cazzo durissimo, mentre le massaggiavo un po’ una coscia e un po’ l’altra, pasticciavo le natiche che più che un massaggio sembrava stessi impastando il panettone, perchè mica sapevo che stavo facendo, sapevo solo che lì c’era il paradiso, ed era a pochi cm da me…
Continuai un po’ e intanto il suo respiro si faceva più pesante, più affannoso, lo interpretai come un segno d’apprezzamento e mi spinsi con entrambe le mani più su, addentro le cosce, verso il suo sesso che si scopriva e… morivo, mentre lei continuava ad ansimare.
Dio, le sfiorai la fessa due o tre volte, arrivando a massaggiarne le grandi labbra mentre lei gemeva ed io mi chiedevo se dovevo prima dire qualcosa, chiedere permesso o semplicemente bastava glielo mettessi dentro, che tanto, ormai, non era più a tradimento…
Lasciai il suo meraviglioso culo, mi misi a cavalcioni su di lei e tornai a massaggiarle la schiena a due mani, così facendo il mio sesso le sfiorava il culo, e più mi spingevo verso le spalle più le si appoggiava sul culo; il movimento del massaggio, avanti-indietro lungo la schiena faceva sì che le si impuntasse sul culo così, dopo un paio di volte, mi abbassai e lo spinsi tra le cosce.
Lei reagì alzando di quel tanto il bacino.
Lo sentii poggiare sulla vagina fradicia. Un piccolo movimento e la cappella era dentro senza alcun sforzo, da tanto era bagnata.
Voltò il capo e disse: “Baciami”.
La baciai, le misi tutta la lingua in bocca, la baciai come se fosse la prima e l’ultima volta e spinsi, ed entrai dentro di lei.
Fino in fondo.
Gemette, quando arrivai all’utero.
Mi disse “non mi far male, ti prego, ho tanta voglia ma sono anni che non lo faccio, è tanto che ti aspetto, che ti voglio”.
Spinsi con ancora più forza perché lo sentisse completamente dentro di se, fino in punta, cominciai a scoparla piano ma con forza, dentro e fuori, dentro e fuori, leccandole le orecchie, mordendole il collo, baciandola.
Lo tirai fuori, fradicio, e lo appoggiai sul buchetto del suo culo, spinsi appena, lo strofinai un po’ e lo rimisi dentro, e ripresi a scoparla, piano.
Baciandola, toccandola.
Infilai una mano sotto la sua pancia e raggiunsi il suo sesso, quello stesso nel quale stantuffavo il mio cazzo, cercai e trovai il clitoride e cominciai a massaggiarlo…
“Mio dio, ti prego… non ti fermare… vengo…” disse, mentre sentivo il suo piacere colar fuori…
Si tirò su a quattro gambe e cominciai a pompare più velocemente, e con più forza, attuando anche delle leggere rotazioni col bacino, dandole degli schiaffi leggeri sul culo, leccandole la schiena, strizzandole tette e capezzoli, facendo tutto quel che potevo per farla godere ma cercando di non venire io, cosa mica facile…
D’un tratto si tirò fuori, si volto, mi buttò sul letto e mi si mise a cavalcioni quindi lo prese in mano e se lo infilo nella figa, con un’espressione beata dipinta sul volto, quindi cominciò a stantuffare lei.
Finalmente vedevo le sue tette, le avevo lì, potevo toccarle, baciarle, morderle, la tirai verso di me senza fermarla, la baciai con forza, a lungo, quindi le presi in bocca una tetta giocando con la lingua sul capezzolo, durissimo, mordicchiandolo, facendolo scivolare tra i denti. Intanto, affondavo le dita e le unghie nel suo culo, cercavo di penetrarlo con l’indice ma trovavo difficoltà…
Le misi l’indice in bocca, lo succhio e leccò ben bene, quindi tornai al culo e lascò che lo penetrassi.
Pensai, cazzo, è perfetto, potrei morire qui, ma non era ancora ora.
Sonia raggiunse un altro orgasmo, attesi che si rilassasse ed uscii da lei quindi la spinsi giù, con delicatezza, verso il cazzo. Capì subito e, con altrettanta delicatezza, cominciò a leccarlo, a leccarmi le palle, quindi di nuovo il cazzo, su e giù, menandomelo piano, fin quando lo prese in bocca, tutto fino alle palle, e cominicò a spompinarmi vigorosamente.
Un pompino come non avevo mai ricevuto, che sognavo da tempo, di guance e lingua e mani, stupendo.
Le dissi “amore, non voglio venirti in bocca, ti prego, fermati…”
Mi guardo con gli occhi pieni di lacrime: “dillo ancora…”
“amore…”
“è la prima volta che me lo dici… amore mio” e mi baciò.
Quando staccò le sue labbra dalle mie la feci girare e cominciai a leccargliela, morendole il clitoride, masturbandole il culo, mentre lei me lo prendeva in bocca.
Quella del 69 era una battuta che era uscita per caso, una sera, creando anche un po’ di imbarazzo, per la verità, perdendolo man mano che tornava nei nostri discorsi quindi, in qualche modo, lo aspettavamo entrambi.
Le leccai il buco del culo a lungo, infilandovi la lingua più che potevo, masturbandola con indice e medio e titillando il clitoride col pollice della destra mentre con la sinistra le palpavo un seno, le strizzavo il capezzolo, e non mi fermai finchè non sentii, di nuovo, il suo respiro accelerare, farsi affannoso, quindi esplodere in un gemito di piacere.
Tolsi le dita e leccai tutto il suo sesso ripulendolo per bene dai suoi umori quindi le chiesi di girarsi, venirmi accanto e l’abbracciai.
Non ero ancora venuto, e non ne vedevo l’ora, ma ancora una cosa volevo farle, così ricominciai a stuzzicarla, piano, a toccarla, accarezzarla, mentre il mio cazzo riprendeva vigore e turgore.
Me la tirai sopra e la penetrai quindi le scivolai di sotto, mi posizionai dietro di lei e cominciai a prenderla a pecorina, sbattendo con vigore sulle sue belle chiappe morbide. Contemporaneamente, le infilavo delicatamente prima l’indice e poi il pollice nel culo, insalivandoli bene, lasciando colare la saliva nel buco affinchè si lubrificasse bene.
Sapeva cosa la aspettava, sfilai il cazzo dalla sua stupenda figa e lo appoggiai contro lo sfintere, quindi cominiciai a spingere piano, ma opponeva una certa resistenza.
La accarezzai e sculacciai un pochino, ma entrava appena la punta della cappella.
Lo sfilai e rimisi nella figa e le chiesi “amore, che c’è?”
“non l’ho mai fatto, sono vergine…”
“amore mio, come potrei mai farti del male? Fidati di me, vedrai, ti piacerà tantissimo”
“lo so, lo voglio tanto, voglio darti quello che non ho mai dato a nessuno prima, ma ho paura che faccia male…”
“tranquilla, amore, ci penso io, vedrai”
continuando a scoparla piano a pecorina, per scioglierla ed avvicinarla all’orgasmo, presi la saponetta da massaggio che giaceva sull’asciugamano e me la passai abbondantemente sulle mani, quindi sul buchetto del suo culo, quindi infilai prima l’indice e poi il pollice così lubrificati. C’era unto ovunque.
Sfilai il cazzo dalla figa, lo appoggiai allo sfintere cominciai a spingere piano e le dissi “spingi, amore, come fossi in bagno, spingi piano”
Sentii lo sfintere che si allargava, il cazzo che pian piano entrava, lei che mugolava; le dissi “rilassati, amore, non spingere più” ed… hop, il cazzo era dentro.
Con cautela prima, poi via via sempre più forte, cominciai a muovermi dentro di lei, fino a farlo arrivare alla fine, a metterglielo completamente dentro.
Geneva così forte che temevo di sentir battere sulle pareti da qualche vicino da un momento all’altro…
“Ti piace, amore?”
“Sì, amore, ti prego, spingi, dio, di più, così, sto venendo, amore, aprimi, ti voglio, ti prego, vienimi dentro, dio, inculami, cazzo, sfondami!!! Oddio, vengo….”
Assecondai il suo orgasmo ma non venni, per la nostra prima volta il mio obiettivo era un altro.
Lo estrassi, le dissi di darmi un attimo solo, andai in bagno a ripulirlo, perché sarà bello finchè volete ma un culo è pur sempre un culo, quindi tornai.
Era supina, respirava pesante.
La abbracciai, la baciai sulle spalle e sul collo, le accarezzai il seno mentre il cazzo tornava, di nuovo, duro, lei si girò per baciarmi, mi distesi su di lei, la penetrai e cominciai a spingere.
Le chiesi “rischio di metterti incinta?”
“no”, rispose, “non sono mica una bambina…”
sorrisi, la baciai, intensificai le spinte, la sentivo sempre più con me, sempre più me, eravamo una cosa sola, sentii il piacere salire caldo, imperioso, all’interno del pene, il calore salire lungo il corpo, i brividi sulla schiena, le dissi “amore, ci sono, vengo”
Rispose “anch’io…” strozzando la voce in un verso gutturale ed avvinghiando le sue gambe sulla mia schiena.
Lasciai andare e le venni dentro, copiosamente, mentre veniva con me. Sentii le sue convulsioni, sentivo il mio cazzo che spasimava dentro di lei rilasciando le ultime gocce, mentre i respiri si facevano meno affannosi, il membro si rilassava.
Rimanemmo abbracciati così per alcuni minuti, finchè il cazzo, ormai molle, uscì da lei,
Ridemmo.
“Oddio, sembra un lumacone!”, disse.
Ridemmo ancora.
Pian piano riprendemmo coscienza del tempo, del luogo. Guardammo l’ora: “mamma mia, abbiamo fatto le 10! Non troveremo manco più una pizza!”
Ci rivestimmo ed uscimmo velocemente, senza nemmeno darci una sciacquata, consci dell’odore del sesso che avevamo addosso, del nostro.
Trovammo la pizzeria, un tavolino all’aperto, nel dehor, tranquillo, arrivarono le nostre pizze, bevvi la mia media rossa con la scusa di dover ripristinare i sali minerali.
Mi prese la mano sul tavolo e mi disse: “ti amo. Tanto. So che sarò sempre la numero due, che finchè ci saranno i figli non potrà che essere così e che c’è il lavoro e tutto il resto, ma ti amo, e mi va bene essere la numero due, se a te va bene amarmi e vederci ogni tanto, quando puoi, quando vuoi, quando posso e quando voglio”
“Non sei la numero due, Sonia, non vivrò con te, ma non sei la numero due”
“Lo so, lo sento”.
“Torniamo?”
“Torniamo.”
“Dormirai con me, questa notte?”
“Sai che non posso, ho lasciato Andrea (il figlio) a casa con i miei, devo tornare, ma la prossima volta mi organizzerò e dormirò con te, passeremo la notte insieme.
Ora andiamo, dobbiamo tornare in camera”
“In camera? Non avevi detto…”
“Per forza, ho lasciato la borsa col cambio là, devo recuperarla, qualcuno potrebbe inospettirsi… e poi… non uscirò da quella stanza finchè non mi sarai venuto dietro, amore. Ho detto che ti avrei dato quel che nessuno aveva mai avuto, ma voglio che tu mi dia quel che non ho mai ricevuto lì”
“Andiamo, amore”.
Sonia è una collega.
È anche la mia amante.
No, sbaglio: è la donna che amo.
Incidentalmente, è anche una mia bravissima collega e, per forza di cose, la mia amante.
Ma è la numero uno.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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