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Prime Esperienze

La tua Elena tentatrice -2- La conquista


di Membro VIP di Annunci69.it giorgal73
22.01.2024    |    16.949    |    0 4.8
"Ad ogni tuo affondo, un mio sospiro, prima basso, cupo, eccitato come di un animale che non abbia scampo..."
Mi ero alzata per venirti incontro. Ad un passo da te cercavo di guardarti negli occhi.
La tua altezza continuava, nonostante i tacchi vertiginosi e a dispetto del tempo oramai trascorso fra noi e che avrebbe dovuto abituarmi a tante cose di noi, a mettermi addosso quella strana soggezione. Più di una volta ti avevo detto che ero troppo bassa per te e quanto fossero improbabili alcuni giochi insieme a causa di quanto io fossi inadatta a te come altezza. Ogni volta tu mi avevi dimostrato il contrario.

Non c’era gioco che potesse procurarci reciproco piacere che non avessimo sperimentato. Mentre ti guardavo avvicinavo lenta il mio viso al tuo e con un lieve tocco ti avevo accarezzato il labbro inferiore, cui avrei fatto seguire un bacio. Ma a pochi millimetri da quelle labbra, le mie le avevo volutamente lasciate staccate.
Sentivo i nostri respiri mescolarsi mentre già li trovavo affannati.
Lentamente avevo preso a sfilarti la giacca, slacciandoti anche la camicia. Non avevo mai resistito al tuo petto nudo, era sempre stato un afrodisiaco potentissimo per me.

La mia lingua non poteva mai stargli troppo lontana, potevo resistere, provare a giocare e fingere che non mi facesse nessun effetto ma era una finzione che non durava a lungo, dopotutto. Così mi ero staccata da te, nudo fino alla cintola, per tornare verso il bordo del letto e rimanendo in piedi, slacciandomi e togliendo la veste rivelando il bustino e tutto il resto di me, poggiando un piede sul letto. In quella posizione così aperta, accertandomi che tu avessi la migliore visuale di me e guardandoti maliziosamente, avevo succhiato un dito, poi due per poi affondarli lentamente dentro me a raccogliere il mio succo. Non era copioso, quella sera ero stranamente tesa di fronte a te. Eppure bastava perché io potessi prenderne e portarne un po’ alla mia bocca, a saggiarne il sapore agro e dolce al contempo.

“So che ne vorresti un po’ ma è troppo presto per te”

ti dicevo nell’attimo esatto in cui ti vedevo avvicinarti lento a me. No, era davvero troppo presto. E io volevo essere certa che tu mi volessi davvero.
Volevo essere certa che non ti concedessi a me per mio volere ma per il tuo desiderio di me.

”La poltrona, siediti là”.

Non so come riuscissi a parlarti. Era un’altra stranezza di quella sera. Di solito lasciavo fosse il mio corpo a parlarti. Perché la mia voce in quei momenti appariva sempre paralizzata. Quella sera, invece, mi sentivo un fiume in piena e le parole mi aiutavano ad arginare quel fiume. Avrei travolto te e me, contemporaneamente.
Ti guardavo obbedire.
Forse perché sapevi che l’unico modo per ottenere ciò che volevi era assecondarmi, dopotutto.

Mentre te ne stavi là a guardare, io continuavo a torturarmi per darmi un po’ di calma, lontano da te. I tuoi occhi non si staccavano da me. Ma quella posizione non mi bastava più, sentivo le gambe molli e malferme mentre il piacere cominciava a rendermi incapace di sostenermi.
Voltandomi, cominciai a camminar carponi sul letto fino a voltarmi sulla schiena morbidamente per sdraiarmi quasi come non resistessi oltre a rimanere in piedi. Avevo le gambe aperte e piegate con le ginocchia in su.
Non sopportavo più quel dolce languore dentro di me che non riuscivo a calmare senza te.
Non sopportavo più il non averti. Ma volevo tu vedessi l’effetto che provocavi al mio corpo in tua assenza, così da farti ricordare cosa ero io senza te : voglia insoddisfatta. Il piacere che non riuscivo a soddisfare, il piacere nell’attesa di te.

Continuavo ad affondare dentro di me senza abbandonare i tuoi occhi, perdendo quasi il contatto con la realtà. A tal punto da non accorgermi che mi avevi raggiunto su quel letto.
Appena poggiato con un ginocchio fra le mie gambe, rimanevi di fronte a me. Non volevo più tenerti lontano. Nella mia mente urlavo per l’assenza di te che il mio corpo provava. E poi, poi non ero più io. Poi, poi eri solo tu con le tue dita ad allargarmi, le tue labbra tumide a baciare le mie rigonfie, impazienti e fradicie. Poi eri solo tu, così atteso, così desiderato mentre mi liberavi del perizoma, mentre affondavi la tua lingua guerriera dentro di me a combattere la mia naturale e, al tempo stesso inspiegabile, resistenza al piacere.

Troppo piacere può quasi essere doloroso, troppo piacere provoca il dolore dell’astinenza in sua assenza … ma non provare dolore è non possedere, e quella forma di non dolore è non vivere, non essere. Benedetto dolore per quel piacere irrinunciabile mentre le tue labbra e la tua lingua torturavano, abbracciavano i miei lembi di pelle, titillavano la mia piccola sporgenza oramai dura fra le tue labbra guizzanti ed esigenti.
Le mie unghie affondavano su quel letto, il mio bacino era teso nella ricerca di te mentre imparava il piacere, mentre imparava cosa non era mai stato, cosa era mancato. Mentre imparava il desiderio appassionato. Oh, godevi mio corpo, godevi mente mia e raggiungevi l’essere tuo così languidamente perso in fondo al tuo ventre, dove tutto si concentrava, dimenticando. Poi avresti ricordato ma prima sarebbe stato vivere ciò che ricordo sarebbe divenuto.

Spingevi, affondavi senza sosta e senza sosta io non riuscivo a staccarmi. Spingevi mentre dalle mie labbra mille suoni dal profondo della mia gola si liberavano. Ad ogni tuo affondo, un mio sospiro, prima basso, cupo, eccitato come di un animale che non abbia scampo.
Poi alto, ebbro, fiero per la libertà di essere, senza limiti. Solamente la consapevolezza di essere perduta, con la mente svuotata dei soliti pesanti legami. Ma piena di quel godimento che dal centro di me dove nasceva, riusciva a spandersi attraverso ogni nervo. Era un effetto domino.

La tua lingua lambiva la parte umida e sensibile di me comunicandole incondizionato desiderio, ed il mio corpo trasformava quel desiderio in puro orgasmo di cui la mente si nutriva. Acceleravo il mio ritmo, le mie dita affondavano nei tuoi capelli mentre il mio corpo scosso danzava a quel ritmo irrefrenabilmente veloce, sempre più veloce. I tuoi colpi non accennavano a diminuire, anzi i nostri movimenti diventavano un susseguirsi di azione e reazione, fino all’ultimo spasmo, fino a sentire dalle mie labbra fluire quel pallido seme, il segno evidente della mia voglia di te.
Avido succhiavi quel seme per farne la tua bevanda preferita senza che il mio corpo accennasse a frenarne i sussulti.

Leccavi le mie labbra come se la tua sete non avesse fine. Mi allargavi con le dita ancora, quasi ad accertarti che neppure una goccia di me andasse perduta. Il delizioso sbattere della tua lingua contro di me, a ripulirmi, creava quel dolce suono del tuo non volerti staccare dal mio umido. I miei sussulti andavano calmandosi. E la tua lingua si staccava da me. Erano dolci i tuoi occhi, due pozze scure in cui trovavo intatto il desiderio di noi, nonostante avessimo già bruciato già molto di ognuno di noi nell’altra.
Ancora non ti bastava.
Ti conoscevo a tal punto da saperlo. Ero spossata, insieme alle gocce di me ti eri preso ogni residuo delle mie energie. Nulla potevo ancora, nulla potevo oltre. Una bambola di pezza fra le tue dita avrebbe forse risposto meglio ad ogni tuo stimolo successivo. Io non ero più nulla. Avevo la mente ancora avvolta in quello stato di assurdo piacere che eri riuscito a procurarmi appena con una parte di te. Guardavo i tuoi occhi e capivo che non ti bastava.
Rimanevo immobile, le mie mani spingevano, ora, fortemente contro la spalliera del letto a caccia di un appiglio al quale reggermi per contrastare la tua forza.

Volevo resisterti perché fare di me ciò che volevi non era quanto avessi previsto per noi quella sera.
Volevo resisterti perché resisterti accelerava il mio piacere, centuplicando il tuo, e quel piacere avresti finito con il cedermelo senza riserva alcuna.
Sarebbe stato un dolce rimbalzo tra noi di dare e di restituire. In quello stesso istante con apparentemente pochissimo sforzo da parte tua, ti sentivo trascinarmi senza troppa cortesia dalle caviglie verso di te.

Con respiro affannato ti guardavo, ti stavo odiando per la tua forza che, sapevamo bene, non potevo contrastare. Un lampo nei tuoi occhi fu più esplicativo di qualsiasi parola.
Ti piaceva. Il mio seno ancora costretto in quel bustino che rimaneva la mia unica protezione si sollevava e abbassava animatamente, senza sosta. Le mie labbra, ancora turgide per i primi baci e per i dolci morsi che mi ero procurata durante l’insopportabile piacere di poco prima, rimanevano appena schiuse per i respiri accelerati.
Ero sudata.
La stanza, impregnata, ora, dell’odore di noi, dei nostri corpi, dell’amore affannoso, era ancora morbidamente avvolta in una sensazione di irrealtà. Ti temevo? No. Non era timore verso di te. Ma verso la mia incapacità di scoprire limiti al piacere che sapevamo concederci. Se anche una piccolissima parte del mio cervello, in quel momento, fosse rinsavita per fermarmi, io non le avrei dato ascolto e l’avrei ricacciata a pedate nel buio da cui aveva tentato di emergere. Mi ero sollevata sui gomiti ad attendere la tua prossima mossa.
Non tardò ad arrivare.
Proteso appena verso di me, duramente avevi afferrato i bordi del bustino all’altezza dei seni e ti vedevo strapparli.

L’effetto della tua pelle a contatto dei miei capezzoli già eccitati fu terribile. Neanche un pezzetto della mia pelle era libero dalle conseguenze del tuo tocco. Bruciavo, scoprivo di bruciare in superficie, trasmettendo quella sensazione ben presto all’essenza più profonda di me. I capezzoli ormai duri e tesi erano liberi alla tua vista.
Non avevo ritegno.
Neppure una parte di me riusciva ad opportisi. Neppure una parte.
Le tue labbra avide conquistavano la durezza e la morbidezza dei miei seni contemporaneamente. E più mi succhiavi, più rispondevo a quel richiamo con tutta me stessa. Il languore tornò ad impadronirsi di me. Avevo di nuovo bisogno di riempirmi e svuotarmi. Avevo di nuovo bisogno di te. Le mie dita affondavano morbidamente fra i tuoi capelli. Li afferravo con tenera costrizione mentre non mi abbandonavi. Sapevi che non lo avrei sopportato. Sapevi che una parte di me sarebbe morta se ti fossi allontanato ora.
No, non ora!
Ancora un accenno della tua lingua sui miei capezzoli.
Ancora quel languore insopportabile.
Ancora la mia voglia di te senza ritegno.
E poi basta.
Ti stavi allontanando. Doveva esserci stato un grosso punto interrogativo stampato sulla mia faccia se in risposta stavo ottenendo da te un bel sorriso impertinente che avrei volentieri cancellato con uno schiaffo sul tuo affascinante viso, se in quel momento non fossi stata impegnata in altri pensieri.

Ti vedevo sollevarti. Incastrarti fra le mie gambe. In un solo, morbido, seducente movimento la tua mano aveva liberato dalla costrizione dei pantaloni il tuo sesso, rivelandolo pronto per me. Indurito, pulsante, umido di promettente voglia. In un colpo solo, un solo, profondo, duro affondo, senza che tu trovassi neppure un leggero ostacolo in me, andavi riempiendomi. Le tue mani sotto le mie ginocchia a tenermi stretta e guidarmi contro di te.
Poi le spinte.
Leggere, profonde.
Quindi dure, veloci, pressanti. Fino a sentirti quasi raggiungere il mio ventre.
Volevo urlare. Riempire quella stanza di odori e rumori. La tua pelle contro la mia. Dentro la mia. Mi riempivi ed io ti stringevo, ti pulsavo intorno abbracciandoti per poi rilassarmi. Infine ancora stringerti e urlare. Il tuo nome, la voglia che tu non ti fermassi, la voglia di averti dentro ancora e ancora. La voglia di dirti che quel desiderio mi stava riempiendo ovunque, che lo sentivo prosciugarmi e poi inondarmi. Il tuo nome, ancora un urlo.
Le mie dita ad afferrarne alcune delle tue, a volere un ulteriore contatto. Ancora quelle spinte, i tuoi affondi quasi violenti, il mio lago che ti inondava senza sosta. Il mio lago, infine, mescolato al tuo, nei lenti sussulti nei quali il corpo può trovare calma. Fino al placido rallentare, fino alla lieve calma dopo i fremiti convulsi, molto tempo dopo, così, appagati.
Troia è stata conquistata, ma non dagli eroi nascosti nel cavallo, ma dal Paride tra le mie gambe
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