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Lui & Lei

Montagne russe


di Membro VIP di Annunci69.it StelleStellino
17.08.2021    |    2.957    |    0 9.6
"Avrebbero potuto inizare una qualiasi delle loro conversazioni folli, eppure a nessuno andava di inziare..."
"Quello che potremmo fare io e te...
Senza pensare a niente…
Senza pensare sempre…
Quello che potremmo fare io e te...
Non si può neanche immaginare!"

Un classico. Vasco. La musica arrivava dal telefonino, distrattamente lanciato sul letto.
La sua stanza, la camera 103, era di dimensioni modeste. Un classico albergo tre stelle con il copriletto in tinta con le tende: righe gialle e arancioni.
Era stata decisamente una lunga giornata di lavoro, di quelle dove il blablabla la fa da padrone. Commerciale allo stato puro: sorrisi a destra e sorrisi a sinistra miscelati con un dolore pazzesco ai piedi per essersi trascinati da stand in stand.

Lei era appena entrata in stanza e aveva lanciato le scarpe come se non le volesse mai più rivedere.
Sentì un rumore provenire da fuori mentre Vasco ancora continuava… "Me lo ricordo sempre, che non è successo niente… Dovevi sempre andar via!"

Apri la porta e li fuori lo riconobbe. Si erano conosciuti qualche anno prima e si incontravano spesso ad occasione lavorative come questa. Erano in coda perché avevano appuntamento con lo stesso stand e lei aveva fatto la furba passandogli davanti. Lui era già pronto a rivendicare la sua priorità quando i loro sguardi si incrociarono. Mentre lei sorrise, lui non disse nulla, quasi imbarazzato. In coda per il pranzo, sempre durante quel loro prima incontro, come se fosse l'universo a sbeffeggiarli, erano di nuovo lui davanti e lei dietro. Questa volta lui parlò: "No ma prego se vuoi di nuovo passarmi davanti..." Lei sorrise e... lo fece. "Grazie!"
"Che faccia da culo questa..." Si guardarono e questa volta scoppiarono a ridere entrambi.

Quello fu solo l'inizio.

Lei prendeva sempre la stessa camera. La 103. E lui lo sapeva bene.
“Ciao...” gli occhi di lei si erano illuminati.
"Ciao!" stessa cosa per il sorriso di lui.
Ogni volta era sempre lo stesso tuffo al cuore, anche se l'ultima volta che si erano visti, sempre nella stessa camera, non era andata bene.
"Non posso."
"Non ho bisogno che me lo ripeti."

Il loro rapporto era certamente insolito. Non parlavano mai della loro vita privata e nemmeno del loro lavoro, nonostante fosse lo stesso. Piuttosto preferivano perdersi in lunghissime conversazioni su chi avrebbero voluto essere, in un mondo ideale costruito ad hoc tutto per loro.
Lentamente, fiera dopo fiera, in quella camera, la 103, anche l'universo probabilmente voleva metterci lo zampino, e fu un attimo per piacersi, e ancora meno per provare attrazione fisica.
Dopotutto, per quanto strano il loro rapporto potesse sembrare, lui era un uomo e lei una donna.
Se si dovesse per qualche motivo sconosciuto ai più, tentare di spiegare quella specie di relazione le uniche parole corrette sarebbero state: montagne russe.

Da qui tempi di attesa di 60 minuti.
Dal cartello in poi inizia un leggero senso di stordimentomistopauramistaadrenalina che parte dal fondo dello stomaco e arriva dritto alla testa. Avvicinandosi, diventano sempre più chiare le urla di sottofondo di chi è già sulla giostra. Poi arriva il proprio turno e si sale. I più temerari in prima fila. Poi ci sono gli affezionati dell'ultima.

TAC TAC TAC: le rotaie conducono lentamente in cima alla salita. Li, alcuni chiudono gli occhi. Mentre, altri vogliono godere di una vista mozzafiato.
Un attimo di esitazione ancora e poi... Vuoto allo stomaco, presa di velocità, aria fra i capelli.
Al primo giro della morte, inizia a sentirsi nitidamente la sensazione che quando il mondo va sottosopra aumenta ulteriormente la velocità. E arriva il momento di lasciare andare le mani. Non tutti lo fanno, anche perché la sensazione è quella di poter spiccare il volo verso il cielo. O peggio, verso terra.

Ma al secondo giro anche i più timorosi si sono lasciati andare. E chi non ha ancora urlato a squarciagola per esorcizzare la paura si lascia andare senza ritegno, quasi a voler abbandonare la dignità per sempre.
Cazzo se ti diverti... anche se dura pochi minuti.
Una volta sceso, pensi: "Sono vivo, ne è decisamente valsa la pena."
Ecco... l'utlima volta che si erano visti, non erano saliti in giostra.
"Cos'hai in mano?" gli chiese.
"Patatine e birra, ovvio."
"Sai che non bevo la birra."
"Certo. Per questo l'ho presa."
"Scemo."
Anche questa volta non iniziarono il discorso con il banale "come va?", universalmente riconosciuto come inizio di qualsiasi discorso fra esseri umani.
Intanto, la musica continuava con la riproduzione casuale.
Erano le 7 di sera di autunno inoltrato, fuori era ormai buio.
Era accesa solo la luce dell'abat-jour come piaceva a lei.
Senza scarpe e senza calze, indossava solamente una gonna nera e una camicetta bianca con i primi due bottoni aperti che così lasciò nonostante la presenza di lui. Non l'aveva mai imbarazzata.
"Sono stanco. E non ho nemmeno voglia di parlare."

In effetti sembrava stanco non solo per il lavoro della giornata. Anche lei lo era ma non disse nulla, aprì le patatine e gliene offrì una. La mangiò e bevve un sorso di birra dietro, perché non si incastrasse nella gola.
Avrebbero potuto inizare una qualiasi delle loro conversazioni folli, eppure a nessuno andava di inziare.
"Allora vado."
Non era arrabbiato. Però lei era li davanti e lo guardava senza dire nulla, soprattutto senza far trasparire nulla.
Non aveva mai conosciuto in vita sua una donna che avesse stampato in faccia ogni minima cosa che le passasse per la testa. Ma adesso era imperturbabile, quasi da metterlo in crisi.
Fece per aprire la porta quando una mano da dietro la richiuse violentemente.
Esitò un attimo prima di girarsi.

TAC TAC TAC. SALITA.
Quando la guardò negli occhi, non la riconobbe.

VISTA MOZZAFIATO.

Lo sguardo deciso. Acceso. Come per inchiodarlo alla porta senza possibilità di muoversi.
Si slacciò la camicetta senza distogliere lo sguardo.
Rimase in reggiseno, di un tenue azzurrino. Il seno non se l'era di certo scordato: generoso e morbido.
Le mani di lui iniziarono timidamente a scivolare sulle spalle di lei, mentre le dita si infilavano sotto le spalline.
Lo sguardo inziò ad addolcirsi, tanto che lui riuscì ad avvicinarsi e a baciarla sul collo, tanto da farle portare leggermente indietro la testa lasciando andare un gemito sommesso.
Le mani scivolarono lungo la schiena. Scesero leggere e impertinenti fino alle natiche sode e lisce, ancora intrappolate dalla gonna.
La sollevò ma non per posarla sul letto.
Quasi come per volerla... rapire, trattenere, afferrare.
Si girò e quasi la scagliò contro la porta della camera.

PRIMO GIRO DELLA MORTE. FIATO SOSPESO. MANI ANCORA BEN SALDE ALLE PROTEZIONI.

Le mani adesso correvano frenetiche per cercare di liberarla dall'impedimento della gonna, ancora indecise se passare da sopra o da sotto.
Lei intanto si occupava di sbottonare la camicia di lui, per liberarlo il prima possible.
Quando si decise a passare passò da sotto, la frenesia lo portò a non togliere quel sottile impedimento che erano gli slip, così semplicmente scostandole, infilò due dita nella voglia di lei.
Un fremito percorse entrambi i corpi.
Si fermarono un momento e si guardarono dritti negli occhi. Era li l'universo. Nella camera 103.

LE MANI VIA DALLE PROTEZIONI, TIMIDAMENTE VERSO IL CIELO.

Non c'era più tempo. Non resistevano più. Entrambi levarono le mani dal corpo dell'altro per spogliarsi da soli, per fare il più in fretta possibile quasi come se quei pochi vestiti rimanenti stessero prendendo fuoco.
La penetrò con tutte le energie che aveva recuperato, rimanendo a ridosso della porta, per sfidare quella costrizione, come a volerla buttare giù.
Ad un ritmo sempre più incalzante, l'addome di lui contro i seni di lei... l'impressione era quella che da due dovessero diventare un uno.
Poi successe.
Lo disse.
Il suo nome.
Dalle labbra, fuoriuscì il nome di lui.
Non era la prima volta che lo pronunciava. L'aveva fatto qualche volta di nascosto, nella sua intimità, nella sua solitudine.
Quasi come a voler creare un legame, al posto di quello che non c'era.
Ma adesso... era reale. E amplificata. Niente di simile a quello che aveva già vissuto.
Il sussurro si era trasformato in urla crescenti quasi come se adesso era lei a volerlo trattenere. Afferrare.
Stava venendo.
E anche lui.

URLA LIBERATORIE E MANI COMPLETAMENTE ALZATE. LIBERTÀ ASSOLUTA.

Gli ansimi presto si trasformarono in respiri sempre meno pesanti, e loro rimasero uno appeso all'altro ancora per qualche minuto. Erano saliti in giostra e il giro era durato 90 secondi. Non era stata una questione di durata. Ma l'intensità del piacere stesso dopo una lunga attesa. Adrenalina pura.
Ora la giostra si era fermata ed erano entrambi sopravvissuti.
Ancora rossi in viso si guardarono e sorrisero imbarazzati.
"Non sei tu. Nemmeno io. È stato l'Universo, racchiuso qui, nella 103."
Lui, annuì, sorridendo.

FINE DELLA GIOSTRA. RESPIRO DI SOLLIEVO. VIVI.
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