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Questo Sono Io - 4. Gira tutto intorno a me


di FinnTanner
28.11.2021    |    5.426    |    7 9.9
"Che invece fossi io quello terrorizzato all’idea di non averne il pieno controllo? Avevo usato papà come scusa per giustificare la mia difficoltà a..."
Quando Marco si fece strada dentro di me fu come un ferro rovente che mi dilaniava.

Strinsi i pugni, impotente. I suoi occhi erano fissi sui miei, scuri come il mare in tempesta. Sapevo che stava facendo del suo meglio per trattenersi ma faceva comunque troppo male.

Riprovò a spingere con cautela. “Lasciami entrare, Leo. Rilassati.”

Come facevo a rilassarmi? “Non posso, non ce la faccio…” Gli rivolsi uno sguardo implorante.

“Leo, ascoltami.” Ordinò, enfatizzando il mio nome. Ma c’era anche qualcos’altro nel suo tono, quasi una supplica, e mio malgrado gli obbedii. “Lo so che fa male…”

Piagnucolai, scuotendo la testa. Non sapeva proprio niente, voleva solo convincermi a fargli fare quello che voleva.

“Piccolo, guardami. Guardami. Lo so che fa male, ma ti prometto che farò piano. Devi solo rilassarti, respira.”

Ero sicuro che mi sarei messo a piangere da un momento all’altro. Qualcosa nella sua voce, però, stava iniziando a incrinare la mia determinazione. Mi concentrai sul respiro e per un attimo sembrò quasi funzionare.

“Ti fidi di me?” Mi chiese con un tono seducente.

Aggrottai le sopracciglia, dubbioso, dopotutto mi aveva legato al letto. Eppure, non so neanche perché, mi ritrovai ad annuire e all’improvviso mi sentii davvero un po’ più rilassato.

“Così, piccolo.” Aveva di nuovo quella scintilla nello sguardo e senza avvertimento spinse.

Spalancai gli occhi, in un attimo il suo cazzo era affondato dentro di me. Impiegai qualche istante per rendermene conto, poi cacciai un urlo da staccare la vernice dai muri.

Marco rideva con le sue labbra incollate alle mie. “Scusa, scusa, scusa.”

“Cazzo!” Ringhiai fra i denti. Che bastardo, mi aveva mentito!

“Sono dentro.” Sospirò tenendomi stretto e baciandomi dolcemente. “Sono tutto dentro di te.”

Bruciava da morire. D’istinto irrigidii ogni muscolo del corpo e cercai di ritrarmi per sfuggire al dolore.

Lui però sembrava averlo previsto e mi strinse ancora più forte a sé. “Rilassati.” Sussurrò.

“Rimarrò fermo per un po’, non preoccuparti.”

Il suo abbraccio era serrato ma allo stesso tempo rassicurante, mi baciò con delicatezza sulle labbra. “Mi hai mentito!” Borbottai arrendendomi alle sue carezze, ancora dolorante.

“Scusa.” Disse e per un momento sembrò quasi sincero. Poi però, senza aspettare oltre, tirò un poco indietro il suo cazzo e lo spinse di nuovo dentro.

Piagnucolai ma non provai più a fuggire, possibile che quella sensazione fastidiosa di attrito potesse piacermi?

Alla spinta successiva, contrassi i muscoli in modo involontario e fu il suo turno di gemere.

Incoraggiato, Marco iniziò a far scivolare il suo cazzo dentro e fuori un po’ più velocemente, tirandosi ogni volta più indietro.

Sentivo una sorta di calore crescere dentro di me e mi concentrai solo sui suoi occhi, le sue labbra e la pressione del suo corpo sul mio.

“Ti piace?”

“Fa male!” Brontolai, ancora arrabbiato con lui per avermi raggirato. Però, non potevo negare che fosse così, mi piaceva sentirlo muoversi dentro di me, le sue carezze, i suoi baci e il suo calore.

“Si, ti piace!”

Non me lo stava chiedendo. Il secondo successivo mi baciò di nuovo, mordendo e succhiando le mie labbra, ruvido, aggressivo, e anche le sue spinte si fecero sempre più profonde e brutali.

Io ero sopraffatto, sovraccaricato da tutte quelle sensazioni mai provate mischiate insieme. Persino il dolore sordo che persisteva nel mio ventre stava diventando piacevole. Non sapevo nemmeno cosa mi eccitasse maggiormente, l’attrito del suo cazzo mentre scorreva dentro di me, la pressione, il suo odore o la sua sfrontatezza. Sapevo solo che avrei voluto che quel momento durasse in eterno.

Subito dopo, però, Marco afferrò il mio cazzo e mi ritrovai a gemere ad alta voce. Mentre i nostri corpi sudati sfregavano uno sull’altro l’avevo più duro di quanto fossi mai stato in tutta la mia vita. Mi sembrava di essere stretto in una morsa, fra la terribile pressione del suo fallo impetuoso dentro di me e la stretta delle sue dita ruvide. Era davvero troppo per me, avevo la vista annebbiata per il piacere. Presto persi il controllo, inarcai la schiena e sentii le palle stringersi, travolto.

“Oh! Cazzo!” Si lamentò anche lui nello stesso momento e mi strinse forte, affondando completamente dentro di me.

Nel momento in cui ripresi conoscenza ero ancora stretto tra le sue braccia, con la sua testa sepolta fra il collo e la spalla. Potevo sentire il nostro battito cardiaco accelerato rimbombare. Era ancora dentro di me, e quando provò a tirarsi indietro strinsi le gambe intorno alla sua vita, trattenendolo.

“Aspetta…”

Sollevò la testa e mi rivolse un mezzo sorriso appagato. “Che succede?”

“Resta così ancora per un po’, ti prego.”

Marco mi fissò ancora per qualche secondo, poi scrollò le spalle e mi strinse di nuovo a sé, senza dire nulla.


Mi risvegliai disorientato, senza ricordare nemmeno dove fossi. Era già mattina e un po’ di luce filtrava nella stanza attraverso le persiane socchiuse.

Ancora assonnato, distesi le braccia nel grande letto e le mie dita sfiorarono il corpo di qualcuno. Mi voltai sorpreso, Marco era addormentato accanto a me, pacifico, e i ricordi della scorsa notte si fecero strada nella mia memoria.

Rimasi a fissarlo, meravigliato per quanto fosse bello, e approfittai di quel momento per imprimere l’immagine del suo viso nella mia mente.

Lo stavo ancora studiando rapito quando mi sorprese a fissarlo.

“Buongiorno.” Disse.

Distolsi subito lo sguardo, fingendo di stiracchiarmi. Ero in imbarazzo.

Marco sollevò un sopracciglio, poi mi sorrise e il mio cuore saltò un battito.

“Bu… Buongiorno.” Riuscii a balbettare alla fine.

Fece per avvicinarsi ma io mi ritrassi, dovevo assolutamente lavarmi i denti. Marco però mi tirò a sé prima che riuscissi a sfuggirgli e mi abbracciò stretto, accoccolandosi rilassato con la testa sul mio petto, senza fare nulla.

Quando compresi che non aveva intenzione di spostarsi o lasciarmi andare, tornai lentamente a respirare e mi colse l’impulso irresistibile di infilare le dita tra i suoi capelli.

“Come stai?” Mi chiese sollevando lo sguardo.

Come stavo? A dirla tutta, mi faceva male ogni singolo muscolo del corpo, allo stesso tempo, però, era stato il risveglio migliore di sempre. “Stordito.” Dissi incapace di elaborare i miei pensieri.

Marco irrigidì le spalle. “Perché eri così arrabbiato, ieri?”

Impiegai qualche secondo per ricollegare tutti i punti. Avevo completamente rimosso gli eventi del giorno precedente. “Io… no, lascia perdere. Sono uno stupido-”

“Non sei stupido.” Mi interruppe, senza sollevare la testa dal mio petto. Il suo viso era vicinissimo al mio. “Forse un po’ immaturo…”

Rimasi interdetto, non mi aspettavo che mi facesse i complimenti, ma anche lui non si era comportato esattamente in modo esemplare. “Ehi! Io…”

“Ti sto prendendo in giro, Leo,” mi sorrise. “Rilassati.”

Non era facile rilassarmi se eravamo così vicini.

“Adoro i tuoi occhi.” Gli dissi di punto in bianco. Cazzo! L’avevo detto davvero? Avevo un disperato bisogno di cambiare argomento e quella era la prima cosa a cui ero riuscito a pensare.

Marco mi fissò per qualche istante, credevo che da un momento all’altro sarei andato a fuoco per l’imbarazzo.

“Grazie.” Disse dopo qualche secondo. “Ma non hai ancora risposto.”

Ecco il poliziotto. “Sono in arresto, agente?” Quella era la mia ultima carta.

“Ah-ah. Ci hai provato. Dai, voglio sapere cosa è successo davvero. E sono serio adesso.”

Cosa potevo fare? Ero in trappola e sospettavo che avesse pianificato di incastrarmi. Così vuotai il sacco.

Davvero non volevo parlarne, ma quando iniziai fu come il crollo di una diga. Finii per confidargli del rapporto teso con mio padre da quando mamma ci aveva lasciati, una cosa che non avevo mai detto a nessuno. Di quanto mi sentissi solo e delle amicizie sbagliate durante gli anni delle superiori. E di come invece avessi inaspettatamente iniziato a sentirmi a mio agio da quando mi ero trasferito lì. Gli parlai dell’ambiente universitario e anche di alcuni colleghi piuttosto simpatici. Sempre cercando di non fargli capire quanto c'entrasse lui in tutto questo. Mi vergognavo ad ammettere quanto spesso pensassi a lui.

Lasciò che mi sfogassi in silenzio, senza giudicarmi. Mi interruppe solo quando gli parlai del regalo da parte di mio padre.

“Ieri era il tuo compleanno?” Mi chiese raddrizzando la testa. “Perché non me l’hai detto?”

“Me ne ero dimenticato,” arrossii, abbassando lo sguardo. “Pensavo che te ne avesse parlato lui, mio padre…”

Marco mi fece sollevare il mento. “Penso che tu ti sia fatto un’idea sbagliata della situazione.” Disse, quando i nostri occhi si incontrarono nuovamente.

La confusione nel mio sguardo doveva essere evidente.

“Io non avevo mai parlato con tuo padre, la prima volta che l’ho sentito è stata l’altro ieri.”

“Che cosa?” Era impossibile. Ci avrei creduto se avesse detto qualsiasi altra cosa, ma questo? Qualcosa nel suo sguardo però mi dava la terribile sensazione che stesse dicendo la verità.

“Leo, tuo padre è una persona molto influente. Nell'ufficio del mio capo c'è una sua foto mentre stringe la mano al presidente. Davvero credi che io parli con lui?”

“Ma…” non sapevo cosa dire. Se le cose fossero state davvero così sarei stato anche più stupido di quanto avessi mai creduto. “Ma allora come faceva a sapere che mi serviva una borsa?” Non era possibile che avessi frainteso anche quello.

“Ora capisco.” Si illuminò, realizzando qualcosa.

Anche io volevo capire. Anzi ero impaziente di farlo.

Mi rivolse un sorrisetto prima di parlare, lasciandomi un po’ sulle spine. Ovviamente lo stava facendo di proposito.

“Allora?” Lo incalzai perdendo la pazienza.

“Beh… tu non gli rispondevi da giorni, era preoccupato, così ha chiamato il mio capo. Lui non voleva entrare in questa faccenda e così gli ha passato direttamente me. Comunque, voleva solo essere sicuro che tu stessi bene.”

Avevo davvero ignorato le sue chiamate. Ero felice per la prima volta da non ricordavo neanche quanto tempo, e non volevo che lui rovinasse tutto. Invece forse stavo per farlo io, e senza il suo aiuto. C’era solo una cosa che ancora non mi tornava. “Allora come faceva a sapere della borsa?”

Finalmente arrivò il suo turno di apparire colpevole. Esitò qualche istante prima di rispondere, contrito. “Ero nervoso, insomma, a parte la sua fama e tutto il resto, era anche la prima volta che parlavo con tuo padre… te l’ho detto, voleva sapere come stavi, se ti fossi ambientato. Poi mi ha chiesto se ti servisse qualcosa, e la prima cosa che mi è venuta in mente è stata una borsa per i libri. Tutto qui.”

“Oh.” Sospirai mestamente. Adesso era ufficiale, ero davvero uno stupido ragazzino immaturo convinto che l’intero universo girasse intorno a me.


Avevo tutta la giornata libera. Marco era uscito per andare al lavoro e io decisi di fare le pulizie, giusto per tenere le mani occupate.

Purtroppo, passare l’aspirapolvere lasciava comunque la mia mente libera di vagare. Questa volta avevo rischiato grosso, avrei potuto farmi davvero male. Possibile che non fosse mio padre ad essere ossessionato dal controllare la mia vita. Che invece fossi io quello terrorizzato all’idea di non averne il pieno controllo? Avevo usato papà come scusa per giustificare la mia difficoltà a relazionarmi con gli altri?

Era la terza volta che passavo l’aspirapolvere davanti al divano. Dovevo smetterla di tormentarmi, più tardi avrei chiamato papà per scusarmi e ringraziarlo per il regalo. Quello che mi angosciava davvero, però, era tornare ad essere una persona responsabile agli occhi di Marco. Odiavo che mi vedesse come un bambino capriccioso, anche se ero sicuro che l’idea di sculacciarmi non gli sarebbe dispiaciuta.

Prima però dovevo trovare un modo per fargli capire che ero una persona coscienziosa. Gli avrei offerto una cena fuori. Ma cosa avrei dimostrato, che sapevo usare la carta di credito? Non andava bene. Pensai di preparargli la cena io stesso, ma scartai subito anche quell’idea. Non sapevo cucinare nemmeno due uova, il mio massimo era scaldare il latte per i cereali.

La casa era abbastanza lucida da potercisi specchiare e presto mi ritrovai senza niente da fare. Così decisi di cambiarmi per uscire, speravo che una passeggiata servisse a schiarirmi le idee.

Anche se il cielo era limpido e splendeva un bel sole, il freddo era davvero pungente. Avevo intenzione di fare solo una passeggiata ma visto che era di strada ne approfittai per comprare qualcosa nel negozio alla fine dell’isolato.

Si stavano avvicinando le feste e c'era molta gente dentro. Mentre ero in coda per pagare, un ragazzo iniziò a lamentarsi a voce alta, sicuramente ubriaco. Discuteva con la cassiera per metterle fretta. L’unico risultato che ottenne, però, fu di bloccare ancora di più la fila, e alla fine un altro commesso dovette intervenire per farlo calmare.

Tornai dritto verso casa appena uscito dal negozio, ero entrato per acquistare solo una o due cose, ma come al solito avevo riempito due buste abbastanza pesanti.

Nonostante l’insegna della farmacia accanto segnasse appena quattro gradi, avevo già iniziato a sudare sotto il giubbotto quando posai le borse della spesa davanti al portone del palazzo.

Mi ero fermato solo per cercare le chiavi e successe tutto in pochi istanti. Quando sentii i passi avvicinarsi velocemente dietro di me era già troppo tardi e qualcosa mi colpì alla nuca. Un attimo dopo ero in ginocchio, stordito.

“Ne ho preso uno!” Esultò una voce farneticante alle mie spalle.

Cazzo, era una rapina? Mi scoppiava la testa.

“Sbirro di merda!” Fu l’ultima cosa che sentii prima che il buio mi inghiottisse.
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