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La maschera di Simona


di MissSerena
07.02.2024    |    1.505    |    3 9.7
"Il mio principale problema era un’eccessiva timidezza, che mi portava non solo ad arrossire con facilità, ma quasi a vergognarmi del mio viso, che cercavo..."
Dedico questo racconto a Eva, musa ispiratrice e fonte d'ispirazione per altre storie

Quando nel 2015 poco più che trentenne, ero andata con un’amica a vedere cinquanta sfumature di grigio, non avevo nessuna idea di cosa fosse la dominazione, e quel film non mi aveva aiutato a schiarirmi le idee. All’epoca uscivo con uno del tipo “meglio perderlo che trovarlo”, e per mia fortuna non durò molto, anche se in seguito fu forse anche peggio. Avendo dato come priorità la mia carriera da architetto, non mi rimaneva molto tempo la vita sociale, così tolto qualche appuntamento preso con le solite app, e finito ancor prima di cominciare, ero di fatto diventata a quarant'anni una suora, con l’unica differenza che avevo un cassetto pieno di vibratori. Non che fossi brutta, al limite direi banale, però con un fisico senza un filo di grasso, anche se il mio seno nella seconda taglia ci stava piuttosto largo. Il mio principale problema era un’eccessiva timidezza, che mi portava non solo ad arrossire con facilità, ma quasi a vergognarmi del mio viso, che cercavo di nascondere il più possibile con lunghe frangette, o quando possibile con sciarpe o foulard.
Un giorno il mio capo mi mandò a visionare la villa della signora Francesca Anidrosi, una nota manager della zona, che voleva ristrutturarne una parte per renderla più moderna, pur senza snaturarla.
La villa era una splendida costruzione fuori città, situata su una collinetta e circondata da un ampio parco.
“Chissà cosa ci fa una donna sola con tutto questo spazio.” mi domandai prima d’entrarci, trovandola uno spreco per una persona single.
Alla porta mi venne ad aprire una donna di bassa statura con una perfetta uniforme da cameriera, che mi portò subito dalla padrona di casa, che m’aspettava in uno dei saloni.
“Tu devi essere l’architetto.” mi disse tendendomi la mano “Io sono Francesca e sarei felice se lasciammo perdere i convenevoli che sono solo una perdita di tempo.”
“Piacere Simona.” risposi quasi intimidita da quella donna che si capiva subito quanto fosse sicura di sé.
Nonostante avesse da poco passato i sessanta, Francesca era una gran bella donna, molto simile a me per quello che riguarda l’aspetto fisico, ma con bel altro carisma.
Lei infatti quasi incuteva timore, col suo portamento tanto dritto da sembrare innaturale, il suo viso grazioso ma allo stesso tempo quasi tagliato col laser tanto i lineamenti erano precisi. Il completo spezzato giacca e pantalone, con la lunga coda color mogano la facevano quasi sembrare un’amazzone pronta alla battaglia.
“Vieni ti mostro la parte che intendo ristrutturare.” mi disse sapendo già che l’avrei seguita come un docile cagnolino.
Il piano era ricco di ampie sale come s’addice a una grossa villa dell’800, ma quel che più mi colpii furono i quadri e le decorazioni dei muri, che avevano tutte come soggetto bellissime donne in succinti abiti in pelle o lattice, spesso in posizione che erano fin troppo esplicite. Anche se era davanti a me a spiegarmi quel che voleva fare, ero certa che stava vedendo il mio sguardo imbarazzato, anche se cercavo di non farlo vedere mentre prendevo degli appunti.
“Questa è la mia sala giochi.” mi disse aprendo quello che doveva essere l’ultima sala da vedere “In realtà intendo lasciarla così com’è, ma magari tu hai qualche buona idea per renderla più divertente.”
Quella che lei chiamava sala giochi, era in realtà un completo campionario dei reparti fetish e sadomaso di un sexy shop, con, da un lato l’abbigliamento in pelle e latex, e dall’altra l’oggettistica, con parecchie cose di cui non comprendevo lo scopo.
“Credo che sia già perfetta così.” dissi al massimo dell’imbarazzo “Se non altro perché è in perfetto ordine.”
“Ovviamente ti lascio una planimetria, in modo che tu possa propormi qualcosa, diciamo domani sera a cena qui ?” mi domandò con un tono che sapeva fin troppo di ordine.
“Sì sì va bene, hai qualche preferenza per i colori ?”
“Mi piace il mogano.” mi rispose toccandosi i capelli “Per il resto colori caldi e non stravaganti.”
La salutai quasi con timore, per tornare al mio ufficio e mettermi subito al lavoro, avendo già qualche buona idea in testa. Da quel che avevo capito le piaceva uno stile minimalista ma di classe, con linee rette ben definite, che però non sembrasse frutto di mobilio a basso costo dell’Ikea.
Quel giorno lavorai sino a tardi, quasi avessi paura di non farcela a presentare qualcosa di serio, e deludere così Francesca.
Quando mi presentai la sera seguente per la cena, avevo la borsa piena di bozzetti, ma appena sedute a tavola, mi fu chiaro che non si sarebbe parlato di lavoro. Francesca, infatti, rimaneva in silenzio solo quando c’era la cameriera, per tempestarmi di domande personali non appena rimanevamo sole, tanto che mi sembrò più un interrogatorio che una discussione. Nonostante ciò, m’aprii come si fa con una vecchia amica, raccontandole della mia “non vita” sentimentale, e di come scappassi via non appena un uomo mi facesse delle avance.
“Tu hai solo un grosso problema d’autostima.” mi disse non appena finimmo di cenare “Ma nulla che la mia sala giochi non passa risolvere, sempre che tu lo voglia.”
Non ci fu neppure bisogno che dicessi di sì, tanto la mia risposta era scontata, così mi prese per mano per portarmi in quella stanza così strana per me, ma credo per qualunque persona normale.
Mi spogliai senza alcun problema, per poi provare alcuni “abiti”, quasi tutti in pelle lucida nera o lattice con colori vivaci, lasciando che lei mi toccasse con non poca malizia, con la scusa d’aiutarmi data la mia inesperienza con quei materiali.
Mentre io mi vedevo sempre estremamente sexy, Francesca non era mai soddisfatta di quel che vedeva, sino a quando non mi lasciò nuda dandomi poi una maschera in pelle che lasciava scoperti solo gli occhi e la bocca. Come la chiuse con un bottoncino dietro il collo ebbi un fremito che non potei trattenere, sentendomi per la prima volta in vita mia libera d’esser me stessa. Ebbi così l’impulso irrefrenabile di baciare Francesca, cogliendola un po’ di sorpresa nonostante avesse percepito in parte il mio nuovo stato.
“Bene così sei perfetta.” mi disse facendo un piccolo passo indietro “Un corpo senza volto pronto a dare piacere. Adesso manca solo il tocco finale, quello per renderti un perfetto giocattolo umano.”
Francesca prese un grosso collare in cuoio, al quale era già attaccato un lungo guinzaglio dello stesso materiale, che mi sistemò con cura, prima di legarmi delicatamente le mani a un anello che pendeva dal soffitto. Poi senza dire nulla si tolse il lungo abito rimanendo con un bellissimo body in pelle nera da vera dominatrice. Come se ciò non bastasse aveva delle calze autoreggenti a tema floreale con una grossa balza, che la rendevano ancor più sensuale, ma allo stesso tempo oltremodo perversa.
Senza dire nulla prese un lungo frustino ed iniziò a colpirmi piano, salendo dall’interno delle ginocchia sino alla passera, poi riscendere e risalire non so quante volte. I suoi colpi non erano affatto dolorosi, ma forse per questo estremamente eccitanti, tanto che mi ritrovai un lago fra le gambe quasi senza accorgermene.
Francesca si fermava solo per darmi dei lunghi ed intensi baci in bocca, o toccarmi il monte di Venere quasi a controllare lo stato della mia eccitazione, come uno chef che vuol far cuocere sino al punto giusto il suo arrosto.
Sentivo la mia pelle bruciare, anche quella che lei non toccava in alcun modo, come se un sacro fuoco mi bruciasse da dentro, aspettando con impazienza la sua prossima mossa.
Quando si rese conto che colavo umori lungo le cosce, mi slegò per ordinarmi di mettermi in ginocchio per terra, per ritrovarmi il suo pube davanti alla faccia.
“Leccami la fica troia.” mi ordinò quasi urlandomelo.
Trovai alquanto bizzarro dover passare la lingua sopra un indumento in pelle invece che su quella umana, ma ubbidii senza dire nulla, capendo ben presto il perché di quell’ordine. Francesca, infatti, mi stava usando come un giocattolo umano, a cui dare direttive sapendo che avrei fatto esattamente quel che voleva, senza obbiettare qualcosa, e che questo era la reale fonte del suo piacere. Lei, infatti, godeva nel sottomettere una persona, e credo che il sesso di chi le era succube non fosse affatto importante, e questo senza usare inutile violenza, ma solo il suo grande carisma.
Leccai quella pelle sino a seccarmi quasi la lingua, e fu una liberazione quando lei aprì la parte inferiore del body, liberando così la sua passera, pregna d’umori sulla quale quasi mi lanciai vogliosa di vederla godere.
“Brava la mia nuova puttana, lecca bene che dopo ti do un bel premio, ti apro la fica in due tanto vuoi solo quello.” mi disse schiacciandomi la testa contro di sé.
Il suo sesso aveva il sapore della perdizione, quel misto di odore di donna e sudore, di pelle calda e liquidi vaginali che lo rendevano irresistibile, e passarci dentro la lingua fu quasi più un piacere per me che per lei.
Nonostante il mio impegno, tutto quello che facevo non era abbastanza per lei, così mi fece sdraiare per terra per poi di fatto sedersi sulla mia faccia, ma solo dopo aver ripreso il frustino in mano. Così mi ritrovai la sua passera contro la bocca, e non potei far altro che allungare la lingua e usarla al meglio delle mie possibilità, mentre lei riprese a colpirmi fra le gambe, questa volta centrando solo il mio sesso e le zone davvero vicine.
Anche se riuscivo a malapena a respirare, le leccai la passera al meglio delle mie scarse possibilità, cercando di pensare solo a farla godere, mettendo in secondo piano il dolore che provavo sempre più intensamente. Mi sembrava infatti che il clitoride mi dovesse esplodere sotto i suoi colpi, che oramai erano indirizzati tutti lì, e pur non essendo affatto violenti, mi avevano acceso un fuoco fra le gambe.
Quella tortura finì solo col suo orgasmo, che mi ritrovai in faccia senza neanche accorgermene, ma che presi come una liberazione, non sapendo cos’altro avesse in serbo per me.
“Sdraiati sul tavolo.” m’ordinò dopo essersi alzata in piedi “Voglio vedere quanta voglia di cazzo hai nelle vene.”
Con qualche fatica ubbidii al suo volere, mentre lei prendeva tre falli di dimensioni diverse, con quello più grande che mi sembrò impossibile da usare.
Senza dire nulla Francesca mi fece leccare quello più piccolo, che poco dopo finì nella mia passera, ma una volta dentro lo lasciò li, prendendo quello mezzano che mi ritrovai fra le labbra.
“Ho come l’impressione che a fare pompini sei una vera capra.” mi disse muovendo il fallo dentro e fuori la mia bocca “Ma non ti devi preoccupare, è solo una questione d’allenamento, e fra un po’ sarai la miglio succhia cazzi del paese.”
Francesca non solo quasi violentava la mia bocca con quel pene di gomma, ma m’insultava in continuazione, dando ogni tanto un colpetto a quello che avevo nella passera, o tirandomi un capezzolo.
Io godevo di tutto ciò, nascosta nella mia maschera che nascondeva ciò che stavo provando, benedicendo il momento in cui me l’aveva fatta indossare.
Quando però iniziò a scoparmi col fallo che avevo tenuto in bocca, iniziai a urlare il mio piacere, ma Francesca si fermò all’istante.
“Non è ancora arrivato il momento del tuo orgasmo, adesso succhia questo bel cazzone nero, che poi ti scopo con questo, e solo allora potrai venire, piccola puttana che non sei altro.”
Nonostante avessi spalancato il più possibile la bocca, Francesca non riuscì a farmi entrare quel fallo in alcun modo, lasciando che alla fine mi limitassi a leccarne la punta, che cercai di coprire di saliva ben sapendo la fine che avrebbe fatto.
Ebbi un momento di terrore quando lei poggiò la punta di quel mostro fra le mie labbra intime, ma quasi non mi resi conto che me ne aveva messo metà dentro, tanto ero bagnata e vogliosa di godere.
“Certo che sei proprio troia !” m’urlò prima di baciarmi “Questi sono trenta centimetri di gomma, e tu ne hai preso più di metà senza fiatare. Adesso vediamo quanto ci metti a venire.”
Francesca iniziò a scoparmi come un’ossessa, rallentando ogni volta che ero prossima all’orgasmo, allungando così il più possibile quella che oramai era diventata un’agonia. Infatti, nonostante avessi la passera in fiamme godevo senza ritegno, ben nascosta dalla mia maschera che di fatto m’isolava dal mondo esterno.
“Ti prego fammi venire.” dissi quasi giunta allo stremo.
Lei non mi rispose, ma mi sbatté dentro il fallo con tutta la sua forza, facendolo anche roteare un po’, sino a quando non urlai il mio orgasmo.
“Ora rivestiti e vattene, e mi raccomando la prossima volta che vieni porta dei disegni decenti, perché quelli di stasera non mi piacciono per nulla.” mi disse con una freddezza che non mi sarei mai aspettata, come se non ci fosse stato nulla.
Se pur dolorante mi rivestii per poi riprendere la mia cartella e tornare a casa, infuriata per come m’aveva trattata, ma con la certezza che non avrei potuto più fare a meno di lei.
E della sua maschera.

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