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Prime Esperienze

Quell'estate in Grecia (3) - Spiaggia o scoglio?


di Membro VIP di Annunci69.it PaoloSC
09.05.2023    |    3.399    |    3 9.7
"Approfittai, la riscoprii di nuovo ed iniziai a carezzarla sui capelli e dietro al collo, Poi scesi sul seno, lo scoprii del tutto ed iniziai a baciarle e..."
Spiaggia o scoglio?
Il mattino successivo il nostro arrivo a Naxos ci svegliammo tutti molto, molto tardi. Tra la stanchezza accumulata per il viaggio e per la notte caldissima di Atene, la giornata faticosa in traghetto e, soprattutto, la sbronza collettiva al ristorante, eravamo tutti abbastanza cotti e nessuno aveva messo sveglie.
Io fui il primo ad alzarmi verso le 10 del mattino. Con un bel alzabandiera mi infilai al volo un paio di pantaloncini e andai come prima cosa in bagno. Dopo i bisogni mattutini mi infilai al volo sotto la doccia. Dopo poco entrò in bagno Patrizia, anche lei ancora assonnata e con una maglietta tutta per traverso. Probabilmente non si era nemmeno accorta che c’ero io in bagno perché si sedette ad occhi chiusi sulla tazza ed iniziò a fare pipì. Solo quando fece per prendere la carta igienica per asciugarsi aprì gli occhi e quasi saltò per la sorpresa.
“Ma che stai facendo in bagno? Esci!!!” disse.
“Veramente in bagno c’ero già io, dentro la doccia” risposi.
“Perché non ti sei chiuso a chiave?”
“Semplicemente perché la chiave non c’è. E poi sei tu che non hai bussato!”.
“E poi, comunque, piantala … anzi, passami per favore il telo che non posso uscire così dalla doccia” aggiunsi.”
“Hai capito...tanto ti ho già visto nudo, pensi che mi scandalizzi?” ribattè un po’ piccata.
La presi in parola, aprii la porta della cabina doccia ed uscii nudo, gocciolante ed anche un po’ barzotto.
Patrizia mi squadrò da cima a fondo, soffermandosi sul mio pisello che, seppur non eretto, era pur sempre abbastanza grosso da meritarsi anche una seconda occhiata.
Presi dal gancio il telo e me lo avvolsi attorno alla vita, appena in tempo per non essere scoperto da Filippo, il ragazzo di Federica, che entrava anche egli stropicciandosi gli occhi e con una vistosa erezione sotto le mutande.
“E che cazzo… manco in bagno si può entrare?” fu il suo buongiorno quando mi vide.
Poi realizzò che c’era pure Patrizia. “Che cazzo ci fai tu qui?” chiese.
Scoprimmo che Filippo, di prima mattina e dopo una sbronza, è da turpiloquio facile ed ha la simpatia di un pastore abruzzese a cui hanno appena chiuso il passo al pascolo.
Stavo giusto per uscire ed avevo appena aperto la porta che mi ritrovai davanti alla porta Domitilla detta Dede, la ragazza di Adriano, che voleva entrare anch’essa in bagno.
C’era più traffico lì che alla stazione metro A di Termini di prima mattina di un giorno lavorativo.
Salutai Dede con un sorriso che mi fu ricambiato con un cenno della testa, un occhio aperto ed uno chiuso. Era evidente che l’ouzo e la recina della sera prima avevano lasciato vistose tracce.
Andai in soggiorno ove Andrea, il ragazzo di Patrizia, ancora dormiva a pancia in su ed a gambe larghe, il lenzuolo in mezzo alle gambe e con il cazzo bello dritto mezzo scoperto.
Feci finta di niente ed andai verso la cucina a preparare il caffè.
Presi la moka gigante da 8 e quella media da 4 e le preparai entrambe con l’acqua minerale, Avevamo trovato solo caffè greco, marca impronunciabile e aroma improponibile. Mi resi conto, leggendo l’etichetta, che chi l’aveva preso dallo scaffale non si era reso conto che era caffè d’orzo.
“Καφές Κριθάρι” non era Caffè marca Krithari, ma caffè d’orzo!!!
Tornai verso il bagno per affrontare Filippo e Dede che il giorno prima erano andati a fare la spesa.
“Ma vi siete resi conto che avete preso il caffè d’orzo? Ma non sapete leggere?”
“Ma è greco!” rispose Patrizia.
Dimenticavo che non tutti avevano fatto il classico, e che il greco era una lingua con il suo alfabeto molto diverso da quello latino.
“Ora però bisogna andare a comprarlo!” esclamai un po’ seccato. Se c’era una cosa che mi metteva di cattivo umore, era il non poter prendere il caffè appena alzato.
Decisi di scendere giù, fare circa duecento metri verso il paese, fermarmi al bar e chiedergli se poteva vendermi del caffè per preparare un paio di macchinette.
Mi infilai al volo una maglietta ed un paio di scarpe, presi il portafogli e, dopo aver tranquillizzato Francesca (“Amore vado a comprare il caffè per te!”) mi avviai verso il bar,
Era un locale molto differente dai nostri bar. Era più una mescita di bevande e di alcolici, ed il caffè che bevevano era il caffè alla turca, denso da tagliarsi con un coltello e pieno di fondi. Però dietro al bancone c’era una macchina espresso Gaggia nuova di zecca con il suo bel macinacaffè pieno di chicchi.
Salutai prima in italiano e poi in inglese il barista il quale mi rispose in un italiano un po’ stentato ma comprensibilissimo.
Per fortuna, la comunicazione sarebbe stata facile.
Gli chiesi subito un espresso per me al banco e gli spiegai il problema. Lui andò dietro al retrobottega, separato da una di quelle tende a strisce di plastica tutte colorate anni 70, e ne tornò fuori con un pacchetto di caffè macinato di una marca italiana allora a me sconosciuta, la Borbone di Napoli. Mi raccontò che glielo portava un paio di volte a stagione, assieme al caffè in grani, il fratello che faceva il marittimo su una nave di linea che faceva la spola tra Napoli e Atene.
Mi preparò quindi il caffè e dovetti riconoscere che era sicuramente migliore di tante ciofeche bevute in giro per l’Italia. Gli chiesi quindi se mi poteva preparare alcuni caffè a portar via; lui tirò fuori una bottiglia in vetro del latte che lavò e sgrassò al vapore prima di riempirla a metà di caffè espresso. Gli promisi di riportargli la bottiglia vuota.
Pagai una manciata di dracme, una frazione di quanto avrei speso a Roma, e tornai verso casa.
“Ho portato il caffè per tutti!” dissi ad alta voce. Andai in cucina, presi una tazzina e vi versai un po’ del caffè dalla bottiglia. Poi presi lo zucchero in zollette e ne misi una nella tazzina, girai il tutto e lo portai a Francesca.
“Buongiorno amore!” le dissi poggiando la tazzina sul comodino e chinandomi su di lei per baciarla. Era coperta fino al collo con il lenzuolo; lo presi e lo aprii scoprendola e provocandole una reazione stizzita “E lasciami in pace! Sto dormendo!”, riprese il lenzuolo e tentò di ricoprirsi. Il magliettone era salito fino alla pancia scoprendole il culo ed una spallina era arrivata a metà braccio lasciando fuori la tetta.
Approfittai, la riscoprii di nuovo ed iniziai a carezzarla sui capelli e dietro al collo, Poi scesi sul seno, lo scoprii del tutto ed iniziai a baciarle e leccarle i capezzoli. Francesca si schernì un attimo per poi accettare quelle coccole. Con la mano percorsi le cosce fino alla fica che era calda ed umidiccia. “Nooo, fermati! Devo andare a fare la pipì!” mi disse e si alzò di scatto, si rassettò il magliettone, infilò le ciabatte e si diresse al bagno. Aprì la porta e la richiuse alle spalle. Dopo dieci secondi sentimmo due urla in bagno. Ci affacciammo e trovammo Francesca seduta sul water che si copriva al meglio con la maglietta e Adriano, il ragazzo di Dede che era anche andato a fare la doccia, che si copriva con la mano il pacco mentre con l’altra cercava di prendere un telo. Decisamente la mancanza della chiave della porta del bagno era un problema.
Adriano riuscì a coprirsi e Francesca si alzò dal water dopo che aveva ottenuto che Adriano uscisse.
La giornata non era iniziata nel modo migliore.
Per calmare un po’ le acque chiesi a tutti di uscire in balcone per prendere il caffè che avevo portato.
“Pare che abbiamo un problema con il bagno” dissi.
“Siamo otto con un solo bagno, e questo è già di per sé un problema. In più manca la chiave” continuai.
“Quindi ci dobbiamo organizzare. Propongo che per andare in bagno, lavarci e farci la doccia ci andiamo a coppie: uno si lava ed uno sta in bagno. I capelli li asciughiamo in balcone o in camera da letto. La doccia dopo il mare possiamo farla qui in balcone: c’è il tubo per innaffiare che va benissimo” proposi.
Era una proposta di buon senso e fu accettata da tutti.
Giusto Dede disse “Ma non potremmo chiedere al padrone di casa di darci la chiave?”
Mi chiesero di chiamarlo al telefono in giornata ed esporgli il problema.
Erano già quasi le undici e mezza e stavamo ancora a girare a vuoto, ed ancora non avevamo deciso dove andare.
“Vista l’ora” intervenne Filippo “non abbiamo molti posti dove andare. Possiamo muoverci a piedi o con i bus, ma non possiamo andare molto lontano. Propongo la spiaggia di Agios Georgios che è abbastanza vicina e ci si può andare a piedi da qui”.
“Oppure?” chiese Patrizia.
“Oppure possiamo arrivare ad Agios Prokopios, che però è più lontano e dovremmo prendere due tassì” dissi io.
“E che differenza c’è” chiesero in coro le ragazze,
Risposi io.
“Agios Georgios è la Fregene di Naxos, Agios Prokopios è un po’ come Passoscuro” facendo i dovuti paragoni con il litorale romano.
“Ovviamente, parliamo sempre di spiagge in un isola greca!” aggiunsi.
“E comunque, ad Agios Prokopios ci sono anche un po’ di scogli e calette di sabbia tra gli scogli per cui l’acqua dovrebbe essere più bella” conclusi.
Votammo tutti per San Procopio.
Ci mettemmo i costumi, prendemmo le sacche con i teli ed i costumi di ricambio, un po’ di bottiglie d’acqua, dei crackers e gli immancabili Walkman e partimmo.
Scendemmo in piazza e incrociammo il tassista della sera prima che ci salutò “Romani! Buono ghiorno!”. Gli spiegammo che volevamo andare ad Agios Prokopios, lui ci fece l’occhiolino e disse “Aspettate che lo dico all’amico” e si mise a parlare gesticolando con un collega. Alla fine sembravano entrambi soddisfatti e ci disse: “Vi portiamo noi, però dobbiamo metterci d’accordo per il ritorno perché lì non c’è un telefono per chiamarci. Va bene se vi riprendiamo alla 6 del pomeriggio?”
Era oramai passato mezzogiorno, cinque ore di mare potevano bastare, come primo giorno.
Accettammo e ci mettemmo d’accordo per 1.500 dracme a tassì andata a ritorno, circa 15.000 lire in quattro.
Salimmo quindi sulle macchine e ci recammo alla spiaggia di Agio Prokopios. Il tassista, Ioannidis, cercava di attaccare bottone con Francesca, la mia fidanzata, e con Dede, Francesca non era di buon umore e rispose un po’ seccata, mentre Dede sfoggiò un fantastico francese con il quale interloquì con il guidatore.
Io ero un po’ fuori gioco, il mio francese era elementare, ma capivo quello che si dicevano.
Ad un certo punto Ioannidis chiese a Dede se sapevamo che stavamo andando in una spiaggia nudista. Dedè si bloccò e mi rivolse uno sguardo indagatore.
Feci finta di non aver capito.
“Ioannidis mi sta spiegando che Agios Prokopios è una spiaggia per nudisti. Lo sapevi?” mi chiede.
Scambiai uno sguardo di intesa con Adriano, il suo ragazzo, e negai decisamente.
Anche Francesca si unì all’azione di reprimenda “Figuriamoci se non lo sapeva…”.
Ovvio: poteva la mia ragazza, in questa situazione, darmi ragione? Nooo, figuriamoci.
“Io non ne sapevo nulla, Ho letto la cartina che ci hanno dato all’Ufficio turistico e c’è scritto solo che è una splendida spiaggia isolata con sabbia e qualche caletta intima racchiusa tra gli scogli” dissi leggendo l’opuscolo che avevo in tasca. In realtà, avevo già preparato il giro delle spiagge hot raccogliendo informazioni da amici che ci erano già stati prima. Agios Prokopios era solo una delle tappe.
Convinsi in qualche modo Dede e Francesca che non ne sapevo nulla e che comunque, non era detto che ci fosse tanta gente lì, che la spiaggia era grande e che ci sarebbe stato spazio per tutti, bla bla bla...
Ioannidis faceva cenni di assenso con il capo capendo all’incirca di cosa stavo parlando.
Dopo circa un quarto d’ora arrivammo a destinazione.
Il posto era bellissimo, la spiaggia era molto ampia e si estendeva verso sud per oltre un kilometro mentre a nord terminava in un gruppo di calette, tutte sabbiose, protette da vari scogli e raggiungibili solo via mare camminando in acqua.
Effettivamente non c’era molta gente ma i pochi presenti erano tutti nudi o al massimo con le ragazze in topless.
Tutti peraltro concordarono che la cosa non era fastidiosa e che, anzi, avevamo avuto una splendida idea,
Decidemmo di andare in una delle calette.
Le prime due erano già occupate, la terza invece, la più grande, era libera.
Stendemmo i teli e ci mettemmo in costume,
Una dopo l’altra, Dede, Patrizia e Federica decisero di mettersi in topless. Francesca non era molto convinta, indossava un costume intero sgambatissimo e profondamente scollato al giro ascella tanto da lasciare esposto il lato delle tette. Le altre invece indossavano tutte bikini con la mutanda a tanga con laccetti molto ridotta.
Alla fine, dopo qualche mia insistenza, anche Francesca decise di arrotolare il costume intero e scoprire il seno.
Facemmo il bagno in un’acqua limpida e tersa, di un azzurro intenso, ma molto fredda. Non era così piacevole, almeno in quel periodo.
Dopo poco più di un’ora, erano quasi le due, ci venne fame. C’era una sorta di trattoria sulla spiaggia e decidemmo di recarci lì per mangiare un boccone. Dopo esserci asciugati c’eravamo buttati le magliette addosso senza rivestirci. Le ragazze erano tutte senza reggiseno sotto le t-shirt, per lo più bagnate dai capelli proprio all’altezza dei seni che mostravano capezzoli eretti.
Riprendemmo le nostre cose e ci recammo all’osteria. Era una tettoia coperta di frasche con quattro tavolini per una ventina di persone al massimo. Unimmo due tavoli e facemmo un’unica tavolata.
Il cameriere/proprietario/cuoco ci consegnò un foglio di carta pane con scritto a mano il menù in greco.
Toccò a me capire di cosa si trattava e con qualche sforzo, lessi i vari piatti. Alla fine chiedemmo aiuto ad una coppia tedesca che stava lì che ci spiegò i vari piatti.
Chiedemmo un paio di porzioni di moussaka, una specie di parmigiana di melanzane, dei souvlaki, spiedini di pesce spada, un sarago arrosto per almeno tre persone, quattro patatine fritte e quattro insalate di pomodori, il tutto accompagnato da vino locale fresco e frizzantino.
Attendemmo circa venti minuti mentre scolammo un paio di caraffe di vino ed un cestino di pane al formaggio.
I piatti arrivarono tutti insieme.
Avevamo fame, e in men che non si dica spazzolammo tutto.
L’oste ci portò una bottiglia di ouzo gelata. La mia testa era già leggera per la quantità di vino, Francesca e le ragazze invece decisero di fare una sorta di passatella a chi trangugiava più velocemente un bicchierino di quel liquore ad alta gradazione senza lacrimare né tossire. Se si tossiva, se ne doveva bere un altro.
Adriano, Filippo ed io ci rifiutammo. Francesca non voleva ma poi fu convinta anche lei.
Inutile dire che la bottiglia arrivata fortunatamente già smezzata, dopo un paio di giri era stata completamente vuotata.
Chiedemmo il caffè dimenticando che allora, l’unico caffè era quello alla turca, ma necessità fece virtù.
Pagammo una sciocchezza, l’equivalente di diecimila lire a testa d’allora, per del buon cibo in un posto bellissimo.
Ci alzammo barcollando e decidemmo di fermarci prima delle calette, direttamente in spiaggia.
Stendemmo i teli e ci mettemmo a riposare al sole. Dopo una mezz’ora eravamo quasi in coma, cotti dall’alcol e dal sole.
Non faceva troppo caldo, si era alzato il meltemio che iniziava a soffiare intensamente trasversalmente alla spiaggia. Per fortuna eravamo sottovento ad una sorta di duna che ci copriva dal vento fresco.
Le ragazze si erano tutte addormentate. Francesca si era appoggiata con la testa sulla mia pancia, senza reggiseno e con la mano sul mio uccello. Dede era a pancia in giù, anche lei senza reggiseno, a cosce larghe e con il pezzo di sotto del costume messo per sghembo che le scopriva parte della fica. Federica era a pancia in su a prendere il sole in topless mentre Patrizia, anche lei seminuda, si era fatta abbracciare dal suo Andrea che le stava dietro.
Eravamo cotti. Letteralmente. Dal vino, dall’ouzo e dal sole.
Arrivarono le quattro del pomeriggio.
Ci risvegliammo e prima uno e poi l’altro iniziammo ad andare in acqua per trovare refrigerio.
Dopo poco arrivarono un gruppo di ragazzi olandesi che si sistemarono accanto ai nostri asciugamano, si spogliarono nudi e si gettarono in acqua schiamazzando e giocando tra di loro ad una lotta simulata. Una coppia di loro iniziò però a fare sesso in acqua davanti a tutti. Lui era tatuato in gran parte del corpo con un pene di dimensioni enormi, lei aveva una lunga capigliatura rasta e i piercing ai capezzoli oltre ad essere totalmente depilata. Poi, anche gli altri si unirono a quella che sembrava essere un’orgia in tutto e per tutto.
Noi tutti, soprattutto le ragazze, tacemmo ed assistemmo stupiti osservando da un lato quella ragazza minutina in grado di far sparire dentro di sé un cazzo di quella portata, e poi commentando con i gesti il bordello che si era creato in pochi secondi.
Francesca era quasi atterrita osservando quel gigantesco cazzo, si strinse a me e mi sussurrò “Ma come fa? Non le fa male? È …enorme!”.
“A quanto pare no, E mi pare che le piaccia pure!” le risposi stringendola a me da dietro facendole sentire il turgore delle mie parti basse.
“Ma che ti eccita?” mi chiese un po’ seccata.
“È meglio di un porno, no?” le dissi, accentuando la pressione sul suo culo mentre le presi le tette tra le mani.
“Stai fermo, che ci vedono!” disse stizzita togliendo le mani dal seno.
Le spostai allora il costume di lato e le infilai al volo il mio pisello nella sua micia, nascosto dall’acqua che ci arrivava alla pancia. Francesca protestò un attimo poi iniziò a muoversi ritmicamente.
Ma furono solo pochi colpi prima che Francesca stizzita riguadagnasse il controllo e se lo sfilasse.
Si era accorta che sulla spiaggia c’erano due coppie che ci stavano osservando con malcelata curiosità.
“ECCO HAI VISTO?” urlò Francesca. “BELLA FIGURA DI MERDA!”
“E fattela una risata ogni tanto, Fra’!” le dissi mentre andavamo verso la spiaggia.
Quando arrivammo sulla spiaggia, la lei dell’altra coppia mi disse sorridendo “I’m quite sure she isn’t interested to swing with us, is it?”
“I’m afraid she is not!” replicai nel mio migliore inglese e ci facemmo una risata. Era una rossa molto, molto carina per essere un inglese.
Iniziammo a conversare mentre ritornavamo verso riva.
Le chiesi da dove venissero. Mi rispose che erano irlandesi di Dublino, in vacanza in Grecia da un mese e che avevano fatto un bel giro delle Cicladi in barca.
“Oh, molto interessante! E che barca è?”
“Abbiamo un motorsailer di 40 piedi. Giusto due cabine ed una toilette. Un camper marino” rispose.
Arrivai sulla spiaggia, raggiunsi la mia fidanzata e feci le presentazioni.
“My name is Paolo and she’s Francesca, my fianceè. We will marry next february.” e poi, verso Francesca “Amore, loro sono?” e chiesi i loro nomi “what’s your name?” domandai.
“Oh, io sono Rebecca, lui è John” indicando il suo ragazzo, un omone alto almeno 1.90 che faceva sembrare Rebecca ancora più minuta di quanto non fosse.
“L’altra coppia sono Caitlin” e indicò la ragazza con lunghe trecce bionde piena di lentiggini “e Sean”, il suo ragazzo anch’egli ipervitaminizzato, con capelli rosso carota ed un collo taurino largo quanto la testa.
Ci stringemmo le mani facendo le presentazioni reciproche. Francesca aveva seguito corsi di lingua in Inghliterra e parlava un ottimo inglese, io me la cavavo a sufficienza per intrattenere una conversazione di carattere generale.
Presto fummo raggiunti dagli altri amici.
Iniziai il giro delle presentazioni introducendo le varie coppie. Li invitammo a sederci con noi scusandoci se non avevamo nulla da offrire. Sean si alzò e si recò ai loro asciugamani poco distanti prendendo quello che sembrava un contenitore refrigerato.
Lo aprì di fronte a noi ed iniziò a distribuire bottiglie di birra irlandese a tutti noi.
Era bella ghiacciata ed era impossibile rifiutare, troppo invitante.
Iniziammo a chiacchierare e chiedemmo loro come mai in quella spiaggia.
Ci spiegarono che erano appena approdati da un giro per le Cicladi e avevano necessità di fermarsi per qualche giorno in attesa di poter riparare una pompa di bordo che si era rotta e non scaricava fuori l’acqua dalla sentina ed il motore elettrico dell’elica intubata. Era più di un mese che giravano per l’Egeo e avevano visitato almeno una quindicina di isole diverse, ma che ora volevano fermarsi un po’ e divertirsi a terra.
Anche i nostri amici romani non se la cavavano male con l’inglese e gli irlandesi, per cultura ed abitudine, non sono schizzinosi come gli inglesi che fanno finta di non capire chi parla male la loro lingua, per cui la conversazione scorreva tutto sommato liscia e piacevole in un misto di italiano ed inglese.
Si erano fatte quasi le sei ed era giunto il momento di andare al punto di incontro con Ioannidis ed il suo collega tassista.
Sean e John a quel punto ci proposero di andare tutti a cena da loro per una bella festa in barca.
Ci guardammo l’un con l’altro ed accettammo. Le ragazze, sempre un passo avanti a noi, dissero: “Possiamo portare qualcosa da mangiare? Possiamo preparare noi la pasta?”
“Oh! Great! It would be so nice!” intervenne John. “E’ la volta buona che mangiamo la pasta come si deve. We really love pasta, honey, isnt’it?” disse abbracciando Rebecca da dietro.
Ci facemmo dare il nome della barca e dove era ormeggiata e ci demmo appuntamento per le otto e mezza di sera.
“A proposito, ricordatevi che poi ci divertiamo!” ci disse Caitlin. Ci guardammo con uno sguardo interrogativo, della serie: “In che senso?”.

[Paolo Sforza Cesarani, 2022/23]
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