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Le Scarpette Argentate Thailandesi


di verdissimo
12.09.2018    |    8.459    |    1 8.3
"Doveva sentirselo indurire in mezzo alle gambe e poi rispondere, magari allo stesso modo, inviandomi la foto del suo cazzo duro..."
Questa è una storia vera e scriverla è stato per me un lavoro impegnativo se si considera che scrivere non è la mia professione, pertanto chiedo scusa in anticipo per eventuali difetti grammaticali e sintattici qui presenti. Spero inoltre che questo racconto, oltre perché erotico, sia interessante anche dal punto di vista socio-culturale siccome ci sono cenni sul tema dei trans-gender thailandesi (c.d. ladyboy). E spero sia soprattutto interessante per coloro che non ne hanno mai avvicinato alcuno…


CAPITOLO 1

Andavo spesso in Thailandia in quegli anni, e non solo per le belle spiagge e la cordialità della gente del posto e altro ancora di attraente che non sto ora ad elencare. C’era infatti un motivo preciso se ci tornavo ripetutamente. Già allora ne ero consapevole mentre oggi lo so per certo, che ci tornavo esclusivamente per quel motivo. E fu per lo stesso motivo che ci andai la prima volta.
Era il pensiero delle/dei ladyboy a chiamarmi continuamente verso l'Asia, o meglio verso la Thailandia, quando ero a casa e ciò non mi dava pace. Percepivo il loro erotismo in modo ben diverso rispetto a quello a cui siamo abituati noi uomini nei confronti delle donne, e così difficile da spiegare che rende i dizionari di lingua incompleti siccome non si tratta di eterosessualità ma nemmeno di omosessualità. Quindi credo non esista un termine appropriato per illustrare in modo proprio l'argomento. Ciò che ti fa rimanere il respiro a metà non è una donna e nemmeno un uomo. Non è certo un travestito, che ricorderebbe più uno scherzo di carnevale che altro, e non è neppure un'imitazione di una donna. Infatti non avrebbe senso desiderarla come tale: perché andare fino in Thailandia e accontentarti di una donna fasulla quando ce ne sono molte di originali che, oltre ad essere veramente graziose, sono facilmente disponibili e senza sorprese fra le gambe?!
Ciò che ti fa rimanere il respiro a metà quindi non è altro che una ladyboy, o un ladyboy (o un kathoey, come vengono chiamati nella loro lingua), ovvero è un’esplosiva combinazione di mente-fisico-ormoni che, nella maggioranza dei casi, riesce divinamente ma che non tutti gli osservatori percepiscono come tale.

So di molti uomini occidentali che passano abitualmente le vacanze in Thailandia o addirittura ci vivono, che, quando meno se lo sono aspettato, senza rendersene conto hanno trattenuto il fiato alla vista sull’altro marciapiede di queste “donne” con l’accento da faunetto. Con loro però non se la sono mai spassata perché sarebbe da “froci” farlo e con sprezzo le chiamano semplicemente “culi” o “culattoni” o addirittura "paracarri"! Chiaramente, se capita che qualcuno di loro, seppure eccezionalmente, ceda ad un’ondata di testosterone e gusti la loro carne nuda, si guarderebbe bene dal farlo sapere in giro.
Ci sono poi quelli che sono già in pensione da tempo, pertanto non più giovani e nemmeno maturi perché avanti con l'età, che con stoicismo resistono alla tentazione e dimostrano così, soprattutto a sé stessi, di non essere “froci”. Senza presunzione suppongo dicano talvolta dentro di sé, e scommetto con un po’ di rammarico: è possibile che io muoia senza essermene gustata neanche una pur avendole così a portata di mano?

Quando parlo delle ladyboy, delle mie ladyboy (mie, non perché io le abbia in qualche modo avute ma perché sono coloro verso cui sono interessato), non mi riferisco a quelle che sono alte più della media degli uomini, e, come se ciò non bastasse, con un tacco di 10-12 centimetri, trucco pesante, parrucche di ogni colore e foggia e altre bizzarrie. Tanto meno mi riferisco a quelle che si presentano per strada in branchi per fare chiasso e che ricorrono agli approcci più volgari, e purtroppo non sempre solo verbali, per richiamare l’attenzione dei turisti stranieri che, ahimè, passano lì accanto. Mi riferisco invece a quelle più discrete, di misura small e slender (minute e snelle), con piedi gentili, graziose per loro natura e con un viso così pulito nella loro prima giovinezza, che non hanno bisogno del make-up per farti girare istintivamente la testa verso di loro quando le incroci per strada. Sono i gioiellini, come li chiamo io; o l’acqua quieta che fa crollare i ponti più forti, come direbbe qualcun altro.
Amo talmente questi esseri (che, come avrete capito, non riesco a definire al femminile o maschile), e non solo fisicamente, che quando ero in quel paradiso ne facevo strage. Nella stessa notte ero capace di portarmene in stanza fino a tre distinti in orari diversi (ciò però è successo raramente), seppure nello stesso pomeriggio si era svolto un precedente round. Oppure, come è facile immaginare, ne portavo due alla volta; ma ciò non è capitato spesso perché a me piace avere il controllo della situazione e quando hai a che fare con due di loro contemporaneamente, ciò è difficile. Questo continuo andirivieni, che si svolgeva nella lobby poi nelle scale o nell'ascensore dell'hotel dove alloggiavo, era tale da far sorridere, in modo più o meno velato e a volte anche a mo' di intesa nei miei confronti, lo stesso staff. Ero insaziabile perché sapevo che un giorno non lontano sarei dovuto tornare a casa dove avrei patito le pene dell’inferno per l’astinenza.


CAPITOLO 2

Così, nell’aprile di un certo anno, circa a mezzanotte, mentre camminavo laddove inizia il grande molo di cemento vicino all’area più movimentata e rumorosa della città (a questo punto qualcuno che è stato in quella località thailandese potrebbe indovinare dove mi trovassi), individuo un gioiellino. Non era la prima volta che la vedevo in quei giorni. Non potevo non accorgermi di lei/lui perché era un vero gioiello con fattezze tipicamente orientali, come gli zigomi alti e appena pronunciati, e gli occhi che sembrava gridassero la loro autenticità vietnamita pur non essendoli. Aveva i capelli nerissimi, mossi e lunghi fino alle spalle, che sfumavano in un evidente fucsia verso la fine. E non mi dispiaceva per niente il suo musetto pronunciato in avanti che aveva il pregio di enfatizzare la sua bocca di rosa.

Ad essere sincero, pur riconoscendo che era veramente attraente, non era la fine del mondo ma il suo punto forte, e per me questo è un fattore importante, era la misura del suo corpo che era tra la media e la small. E a proposito del corpo, non era un fuscello con gli arti gentili e, benché avesse le giuste forme e fosse slanciata, aveva qualche chiletto di troppo e le braccia non erano quelle di una fanciulla in età scolare. Ma quella sera in sella al proprio scooter parcheggiato, con la postura disinvolta, le gambe abbandonate e un po' divaricate in una posizione non certamente elegante, e la sua aria pensierosa se non annoiata, emanava una sensualità che si respirava da lontano.

L’avevo riconosciuta facilmente perché anche quella sera, come in quelle precedenti in cui l’avevo notata per caso in altri punti della città sempre seduta sul suo scooter, nei piedi indossava delle ballerine di paillettes argentate.
Credo di aver trattenuto il respiro scorgendola in quel modo sullo scooter e si vedeva benissimo che stava facendo fishing (pescando), ovvero stava lì per farsi rimorchiare dai turisti stranieri. Lei, il suo scooter, le sue scintillanti ballerine e il vento che da tutto ciò proveniva verso di me, erano una forte calamita ed io non ero altro che un pezzo di ferro.

L’approccio fu facile come lo è sempre in Thailandia in quelle circostanze. Sai già che verrai accolto con una occhiata invitante e con un largo sorriso, quindi nulla di più semplice. Sai già che devi partire con domande frivole e non certamente impegnative: nome: Mona, età: 22; da dove vieni: l’Isan (regione thailandese che confina con il Laos), da quanto tempo sei qui: un paio di settimane, e così via… e mentre parliamo chiaramente colgo l'occasione per guardarle le gambe. Non so se sia mai accorta di quelle mie occhiate ma è anche vero che non si è mai scomposta sulla sella. Poi ci accorgiamo che ciarlare non serve a nulla, pertanto mi ritrovo seduto dietro con i suoi capelli che dolcemente mi frustano la faccia mentre lo scooter corre per quelle strade che ormai conosco come quelle della mia città, verso il mio hotel.

Fin dall'inizio, e ciò mi ha sorpreso, lei si muoveva in modo così disinvolto e naturale al punto da riuscire a diffondere tranquillità a tutto ciò che la circondava, me compreso. E credo senza che lei se ne rendesse conto perché ciò sembrava essere una sua caratteristica personale. Che sia stato questo suo dono naturale a renderla così irresistibile ai miei occhi fin dal primo istante, e ancora prima di quella sera, e pur vedendola solo da lontano?
Nella mia stanza infatti Mona si sentiva completamente a casa sua al punto che, per un attimo, ho pensato di essere io l’ospite. Si è seduta comodamente sulla poltroncina imbottita color verde e ha inserito sotto carica il proprio cellulare usando il mio cavetto. Faceva tutto ciò spontaneamente e sembrava non avere fretta. Se si esclude l'inevitabile sottofondo musicale che proveniva in lontananza dalle strade sotto in piena baldoria, c'era una sorta di quiete, come piace a me, mentre quel po’ di luce che c’era proveniva da una lampada all’angolo opposto a noi e a fianco del letto. Per rompere il ghiaccio, avevo iniziato a darle una serie di bacini, prima sui capelli, poi sulle guance, poi sulla bocca carnosa.

Devo dire che quella sera avevo scelto bene. Ero stato bravo nella mia valutazione ma ero stato anche fortunato. Quando ti porti in stanza una ladyboy (o una lady, a seconda dei gusti del momento) è molto probabile di avere a che fare con qualcuno veramente antipatico che vuole darti il meno possibile facendo finta di godere per farti venire il prima possibile, o non farti venire per niente, e poi andare via con i suoi baht (moneta thai). Magari è uno schianto, proprio il culetto o la fighetta che avevi desiderato da tempo, ma in stanza si rivela l’esatto opposto di quello che ti eri prefigurato che fosse poco prima quando hai goduto del suo sguardo invitante e del suo largo sorriso.
Lei invece mi lascia fare ed io, grato per la sua bontà, percorro il suo corpo baciandola con continuità verso il basso poiché la mia meta sono le sue lisce e bianche gambe e oltre, e infatti ci arrivo. Delicatamente, prima una poi l’altra, le scarpette argentate si ritrovano senza proprietario al loro interno e da qualche parte sulla moquette del pavimento. Io intanto assaporo, sia col senso dell’olfatto che con quello del gusto, il ché salato delle sue estremità che sanno anche di cuoio.


CAPITOLO 3

Sul grande letto, ora Mona è nuda e rilassata, ed io attacco il suo corpo come farebbe una nave di pirati con un vascello carico d'oro. Sono sempre stato un appassionato del sesso orale, anche troppo perché a volte ho temuto per la mia salute. Di un bel corpo giovane e glabro non scarto nulla e su di esso sono sempre alla ricerca di certi odori e sapori che ritrovo nei soliti punti anatomici. Sono un amante delle cavità e dei nascondigli in cui posso scovare umori speciali. Così con la bocca passo dalle dita delle mani, una per una, alle ascelle dove lì amo soffermarmi per sentirne anche l'odore, per poi giungere ai capezzoli. Mi piace succhiare un testicolo per volta e poi entrambi insieme. Mentre il risucchio deforma visibilmente la sacca, li sento in bocca delicati e vulnerabili nel loro involucro e, al contempo, so di dover stare attento a non procurare dolore al loro possessore, altrimenti s’interromperebbe bruscamente l’incanto. Perdipiù, quando non c’è l'erezione, cioè quando è possibile, faccio in modo di avere tutto in bocca allo stesso tempo: scroto e sesso insieme. E che dire dei piedi? Per fortuna sono due. A patto però che siano di modeste dimensioni e così raffinati da far invidia ad una fanciulla.

In Mona avevo trovato la persona giusta perché, oltre aver scovato in lei dettagli fisici veramente deliziosi, si lasciava trastullare docilmente per tutto il tempo che volevo mentre, come gentilmente le avevo chiesto, con le dita e le unghie di una o l'altra mano mi stuzzicava continuamente le palle. Forse la mia lingua umida in ogni punto del suo corpo le dava un piacere lenitivo, oppure, mi viene da pensare, che tutto ciò potesse innalzare il suo ego di maschietta facendola sentire molto desiderata, quindi molto sexy. Ciò avrebbe aumentato la sua autostima di cui loro, le ladyboy, hanno continuamente bisogno per presentarsi al mondo ogni sera per stupirlo.

Tornando alla mia passione per il sesso orale, credo di aver sorvolato una parte importante. E’ quella che lascio per ultima e con cui all’inizio uso solo la punta della lingua per prenderci gradualmente confidenza. Poi uso la lingua intera e infine mi ci attacco e non la lascio più.
Lì, il mio olfatto e il mio gusto trovano tutto quello che cercavano poco prima lungo il corpo di cui quel giardino segreto magnificamente fa parte. E’ il focus della pratica orale. Trovo il "cunnilingus" anale di un’intimità estrema che coinvolge tutti i miei sensi e credo che non ci sia modo migliore di gustare la fisicità dell’essere che hai sotto mano la quale ha un proprio sapore legato alla identità non fisica dell'insieme, che è indiscutibilmente unica. In quei momenti ti rendi conto che la sua intimità è interamente tua e che più di così non potresti averne.
E’ capitato, ben prima di questa esperienza con Mona, di prendere di mira senza pietà lo sfintere di Jane, una ladyboy con la pelle scura e di taglia extra-small che si vantava di pesare non più di 37 chili. Il mio lavoro di bocca glielo aveva praticamente deformato e rivoltato al punto che appariva, a me che lo osservavo da vicino e un po’ incredulo, una bocca semiaperta con tanto di labbra scarlatte.
Tari, una deliziosa ladyboy cambogiana di media misura, invece sembrava che mi cercasse tramite messaggi sul cellulare non tanto perché avesse bisogno di soldi, ma perché voleva che glielo tormentassi alla mia maniera. Lo capivo da come si atteggiava appena entrava nella mia stanza: senza dire granché si metteva completamente nuda nella posizione doggy-style (alla pecorina) con le ginocchia sul bordo del letto e i piedi a sbalzo, e a cosce semiaperte. Quindi inarcava la schiena verso il basso e senza il minimo pudore mi offriva il suo bel culetto prominente all'insù. Per la gioia di entrambi, la fusione della mia bocca con la sua cavità rettale, come pure i suoi lamenti, durava un tempo interminabile e ci faceva rinunciare ogni penetrazione, se si eccettua quella della mia lingua nel suo orifizio.

Siamo quindi entrambi nudi sul letto e, mentre Mona è distesa con la testa sui cuscini a pancia in su e a gambe sbrigliate, io sono prono col viso sulla sua biforcazione e mi gusto in tutti i modi il suo cucciolo eretto. Devo dire che è diverso dal comune perché è piuttosto lungo e molto esile ma in cima si espande di colpo per sostenere una cappella rossa e spropositata. Ha la classica forma che ci si aspetta da quello di una ladyboy siccome fin dalla giovane età, affinché non si noti il rigonfiamento tra le gambe, che sarebbe tutt’altro che femminile, loro sistematicamente lo ripiegato all’indietro trattenendolo tra le cosce, e fingono quindi di avere la passerina. Per questo motivo, col tempo il loro uccellino cresce col profilo simile a quello di una banana, ma non una banana rivolta verso l’alto, bensì verso il basso.
Mamma mia quant'è bello tutto quanto! La lunga sacca dei testicoli si distende morbida e vellutata tra le cosce fino a posarsi sul candido lenzuolo ed emana il classico odore di sesso mentre la canna è liscia e sembra interminabile, infatti prima punta verso l'alto per poi curvare verso le sue gambe, e lì attorno tutto è perfettamente depilato e levigato al punto da far apparire la pelle lucida. Ma ciò che veramente non mi fa smettere di succhiarlo come un cono gelato è il suo immenso glande che è scappellato, come piace a me. Ovvero, è totalmente libero dal prepuzio e da solo mi riempie la bocca. Il tempo avanza ma io non mi decido a staccarmene, e con la lingua e la bocca passo e ripasso tutto quel ben-di-dio. Perché mai dovrei smettere?


CAPITOLO 4

Mona, come si è visto, fino a quel momento è sempre stata un'ottima partner da letto avendo sempre assecondato ogni mio desiderio ma all’improvviso le sento pronunciare qualcosa. Col suo cattivo inglese dice: “Now I fuck you” (ora ti scopo).
Ciò che veramente mi ha lasciato senza parole e senza la capacità di reagire non è stato tanto il cambiamento di ruoli in sé, ma che tale cambiamento fosse così inaspettato e sembrava che a me non spettasse alcuna decisione. Infatti non era una domanda e fino ad un attimo prima non avrei lontanamente immaginato un tale mutamento di scena. A dire il vero, io non ero proprio vergine. Infatti era accaduto raramente che l’avessi preso da qualche ladyboy, o per curiosità oppure, devo ammettere, perché lo volevano loro e quindi avevano usato la loro sensualità con abilità per farmelo desiderare. Ma non ne avevo mai goduto e, a mie spese, associavo quella pratica al dolore. Per non parlare dell’estetica: trovavo indecorosa l’immagine di un uomo, seppure giovane e piacente, cavalcato da un essere femminile.
Senza aggiungere altro, esce quindi dal letto e in pochi balzi torna alla poltroncina dove si trovava prima seduta. Seguo tutto questo movimento con l’udito e l’immaginazione. Sento che rovista nella borsa e che preleva qualcosa. Infatti torna con alcune bustine in mano e si colloca in ginocchio dietro di me. Io, ancora confuso e senza sapere cosa fare, sono totalmente passivo e, pur rimanendo prono e con la testa e le spalle a contatto col grande materasso, istintivamente sollevo le natiche nude e senza vergogna gliele offro, perché so che sono quelle che vuole.
Con i denti e in solo colpo apre la prima bustina sputandone l'estremità e, immediatamente dopo, sento il mio ano e dintorni cosparsi di una sostanza gelatinosa e così fresca da sembrare provenire da un frigorifero piuttosto che da una borsa. Non so il perché ma, arrivandoci da dietro e da sotto, diligentemente cosparge di gel anche il mio scroto e la mia canna, e ciò mi dà vero piacere, anzi mi eccita al punto da portarmi l'erezione allo stadio massimo; e forse era questo il suo scopo. Successivamente sento le sue dita agili e scivolose tornare sul mio buchetto per tormentarlo e convincerlo ad aprirsi almeno un po'. Davanti ai miei occhi, quando li ho aperti, ho solo una porzione del letto e dei cuscini bianchi che si stagliano dal resto nella penombra, mentre la vera attività si svolge tutta dietro di me: infatti ora ho due dita dentro che si muovono in tutte le direzioni. Ad un tratto sento che anche la seconda bustina viene aperta e facilmente immagino cosa contenga.

Sento quindi vivamente le sue mani fredde sui fianchi e qualcosa di duro e morbido allo stesso tempo spingermi da dietro con insistenza. Con le dita di una mano lei indirizza il suo muletto ricurvo, il quale, dopo alcuni tentativi è sulla giusta via e di lì a poco ho il suo glande dentro. Seppure appena, la mia soglia è stata superata e mi sento stantuffare dolcemente e a brevi tratti. Me l'ha preso ed ora non posso più tornare indietro, è la regola.
Fin da subito Mona dà prova non solo di avere una spiccata sensualità ma anche di avere una buona sensibilità perché è in grado di percepire le mie sensazioni e quindi sa scegliere il giusto andamento, che è quello della gentilezza e della moderazione che mi evitano il dolore. Sento il suo coso muoversi dentro e, nonostante tutto, lo sento confortevole e rassicurante, e sento che è bello avercelo. E' tutto così diverso dalle volte precedenti e per me quella è come se fosse la prima volta. Sì, è bello essere inculati quindi non capisco come si possa fare sempre riferimento a quella pratica in modo negativo usandola come metafora di fregatura o di tutto quanto non va bene, quando, nella realtà è un'esperienza di infinita dolcezza e così erotica che sarebbe impossibile non accompagnarla con lunghi e sommessi gemiti.

Poi fa scivolare le sue mani in avanti lungo i miei fianchi fino a raggiungere le scapole e lì si sorregge mentre si alza in piedi sul letto a gambe semi-piegate per riversarsi in avanti sopra di me. Se prima era in ginocchio, ora invece si regge sulla punta dei piedi e, come per istinto e in pieno contrasto con lo stile fino a quel momento tenuto, comincia a dimenarsi in avanti e indietro, proprio come farebbe un cane di grossa taglia in quella situazione, e una serie di colpi avanza progressivamente come se qualcosa, con foga, si stesse scavando la tana dentro di me.

Il ritmo aumenta ma il tempo si ferma. E' fantastico. Il mio retto è pieno, perfettamente lubrificato e stantuffato nel giusto modo. Per la prima volta in vita mia vengo scopato in modo naturale e senza dolore. Sento la sua verga ricurva scorrermi dentro fino in fondo, poi la sento uscire del tutto per poi rientrare in tutta la sua lunghezza per riempirmi di nuovo, e quindi ancora uscire e poi tornare, in un continuo fuori e dentro con precisione matematica; e ogni volta che colpisce il fondo è un nuovo spasimo per me. Io intanto me lo tiro. Mi tiro il membro su e giù continuamente.
Con gli occhi dell'immaginazione vedo quella grossa cappella deformarmi l’ano e il retto in ogni suo punto e colpire il fondo. Vedo anche i suoi testicoli danzare e sbattere ripetutamente conto i miei mentre la sento ansimare sopra, affaticata. E vedo anche una cagna di cui si sta facendo man bassa del suo didietro, ma che non oppone nessuna resistenza. E in quel momento desidero veramente quel ruolo.

Godo mentre me lo prende. Voglio che ci faccia di tutto. Vorrei che continuasse a prendermelo anche essere venuta una, due o tre volte. Ma ciò che mi fa godere più di ogni altra cosa è sapere che non me lo sta affatto prendendo, sono io che glielo sto dando.
In preda ad un piacere incontenibile desidero condividere quell’immenso piacere con chi me lo sta dando e, nonostante l’affanno, le dico: “Oh yes, fuck me, fuck me” (sì, scopami, scopami), e: “Don’t worry, it doesn’t hurt” (non temere, non fa male).
Così mi scopa in tutte le maniere, prima con me di sotto, poi con me di sopra. Mi mette sia sul fianco sinistro che su quello destro.

A me basta poco per capire cosa vuole fare o come mi devo sistemare. Basta una sua parola o una spintarella nel punto giusto su di me ed io, pur di essere riempito di nuovo e in fretta, eseguo tutto senza fiatare.
Non vedo più il condom... o meglio, c’è ma è inutile perché è rotto e tutto raggrinzito lungo la canna fradicia. Anche lei lo nota quindi comincia a srotolarlo ma, con mia sorpresa, non in avanti per farlo uscire ma verso di sé, e lo tira e lo maneggia fino a farlo passare oltre la sacca dello scroto. Ora ha una elastico teso al silicone alla base del suo intero apparato che fa sembrare il suo fallo minaccioso come una baionetta mentre le palle sono prominenti in avanti. Il suo sesso, seppur lì attaccato, sembra indipendente dal suo corpo e pronto per essere più attivo che mai; e scommetto che anche questa è una sua trovata per dirmi che mi farà di tutto. Il messaggio arriva forte e chiaro, mi dà nuovo brio e mi fa perdere ogni inibizione. Infatti ora con le dita trasferisco della saliva dalla mia bocca a in mezzo alle natiche perché la mia unica preoccupazione è quella di averle sempre ben lubrificate nel mezzo e difronte a quella grossa cappella che punta verso di me.

A un certo punto succede qualcosa di inaspettato, qualcosa che mai avrei immaginato prima: siamo entrambi sul letto, io sono alla pecorina mentre lei è dietro di me in ginocchio che mi fotte tenendomi per i fianchi quando, col palmo della mano destra, comincia a darmi delle sberle nel gluteo e nella coscia dello stesso lato da lasciarmi la pelle in fiamme, mentre con l'altra mano, ancora sul mio fianco, mi tiene verso di sé. Subito ciò mi ha sconcertato se non offeso. Non sapevo se dovevo alzarmi e protestare, poi ho capito. Le slappe erano sincronizzate con gli affondi (e lei lo sapeva fare bene) e il piacere e il dolore insieme provocavano una sola fitta che durava meno di un attimo ma era così intensa che faticavo a non disperdere gocce di sperma lì attorno. Mi piacevano così tanto che senza vergogna le chiesi di darmene ancora e senza paura di farmi male. Così, per accontentarmi, ha cominciato ad usare le due mani insieme e allo stesso tempo, e credo sia stato a quel punto che ho cominciato a gemere a voce alta. A pensare che non avevo mai dato importanza a quella pratica prima di allora.

Ho idee un po' confuse di come tutto si sia svolto e mentalmente non riesco a mettere nel giusto ordine temporale i vari momenti: so di aver sentito più volte le sue mani afferrami le caviglie per divaricarmi le gambe, e le ho sentite anche in cima alle spalle mentre mi montava da dietro tirandomi verso sé e, in qualche occasione, l'ho sentita gustarsi i miei piedi con bocca. Qualche volta addirittura ha sputato direttamente sul mio povero ano prima di riprenderselo.
Ricordo anche che mi ha sistemato a pancia in su nell'angolo del letto per poter avanzare meglio con le gambe e le ginocchia mentre era in piedi sul pavimento, e quindi fottermi giù in profondità. Nel frattempo, i ciocchi della nostra pelle, quella del suo basso ventre contro quella delle mie natiche, per non parlare di quelli dovuti alle vigorose sculacciate, echeggiavano senza sosta nella stanza e la loro sollecitudine e intensità variavano a seconda della sua passione. Ma la musica che preferivo era quella in cui la cadenza dei colpi pelvici era regolare e volutamente moderata perché dava l’idea di un rito senza fine.

Altre immagini invece mi appaiono ben nitide: ricordo bene di come scodinzolavo a cosce aperte difronte ai suoi occhi quando lei era stesa supina con la testa sul cuscino e con me accovacciato sopra, impalato, mentre davo il ritmo. Un'immagine questa che non dimenticherò mai perché, più delle altre, per me rappresenta l'eros di quella serata. Lì infatti mi vedo interamente nudo e alle prese con un fallo severo e mai soddisfatto, ma che allo stesso tempo sembra sotto l'incantesimo del mio sfintere. In quel frangente mi sentivo invaso da una libido diversa dal solito e, sebbene non l'avessi mai provata prima, ero certo che si trattava di quell'altra: quella opposta. Desideravo un coito lungo e progressivo in cui le mie gambe non sarebbero mai state abbastanza aperte per offrire al meglio tutto il mio sesso passivo a chi l'avrebbe veramente apprezzato e fatto buon uso; ed ero certo che donne desiderano la stessa cosa quando vengono scopate bene.

Come è facile immaginare, il protagonismo e l'attivismo del mio partner non mi permettevano di prendere alcuna iniziativa. Avevo la mente vuota poiché pensavo solo a godere e a quella grossa cappella dentro di me, e il mio unico modo di partecipare era quello di farle sempre trovare a portata di mano le mie natiche aperte e fradicie nel mezzo. Non si trattava di inerzia o indecisione, semplicemente mi stava "sbattendo" bene e sapevo che quella sera stavo veramente perdendo la verginità, e in che modo favoloso! Quindi ovviamente la lasciavo fare come voleva.
Un'altra maniera di partecipare era quella di incoraggiarla con continui lamenti, del tipo: “Oh yes, keep going, keep going...” (sì, continua, continua), oppure: "Oh yes, take my ass and do everything..." (sì, prendimi il culo e facci di tutto).
Di tanto in tanto faceva un affondo, ovvero mi dava un colpo più possente degli altri, come se avesse voluto andare oltre, come se non le fosse stato sufficiente quel primo e unico tratto anale. Solo una cosa le chiedevo: di strapazzarmi lo scroto con le dita e le unghie di una mano perché a me ciò avrebbe aumentato a dismisura il piacere.


CAPITOLO 5

Sono venuto a conoscenza di possedere anch’io il misterioso punto "G". C’erano stati momenti, ad esempio quando il ritmo della penetrazione era a regime, in cui avvertivo delle forti scosse partire dal perineo e invadermi l’intero gruppo di scroto e pene fino a raggiungere l’estremità del glande. La mia erezione non poteva essere maggiore e sentivo la cappella esplodermi da quanto era gonfia per quell’immenso piacere mai provato prima. L’intero mio apparato genitale era invaso da un fortissimo formicolio e attraversato da forti scosse e mi sforzavo a non eiaculare sebbene il mio membro eretto non fosse a contatto con niente

Sono sicuro che quella sera Mona si stava dando una bella sfogata su di me. Si capiva benissimo che quella non era una comune performance da marchetta. Forse era parecchio tempo che non aveva davanti a sé un bel culo che, per di più, chiedeva di non essere risparmiato. Nello stesso tempo poteva dimostrare a me e a sé stessa di essere una vera scopatrice di uomini. Infatti sapeva farlo proprio bene perché lo faceva con eleganza: vigorosa mentre entrava ma dolce mentre estraeva, e soprattutto lo faceva senza fretta perché sapeva quanto importante fosse il ritmo. Muoveva il bacino in avanti e indietro, e per aumentare la sensibilità pure lateralmente, in modo sinuoso e cadenzato come in una danza che lentamente aumenta di velocità col passare del tempo, come avviene col Sirtaki.
Chissà quanti uomini, giovani o meno giovani, e di quali nazionalità aveva scopato fino ad allora nei diversi modi e udito i loro ululati di piacere. Ed io ormai appartenevo alla sua collezione.

E’ utile sapere che le ladyboy di professione, quando hanno la possibilità, preferiscono essere attive e quindi risparmiarsi la coppia ano-retto che il loro lavoro mette a dura prova quasi tutte le sere, e certe sere anche più di una volta. Per lo stesso motivo è facile immaginare che siano tutt’altro che emozionate alla vista di falli di grandi dimensioni di noi europei e americani e preferiscano decisamente quelli dei giapponesi o coreani di dimensioni ridotte.
Per loro comunque non è sempre facile trovare il modo di proporre al cliente di sottostare al loro membro virile. Per esperienza diretta sanno che a volte basta la parolina giusta al momento giusto per vederlo davanti a sé in un baleno a culo nudo per essere preso il prima possibile. In pochi secondi puoi assistere alla trasformazione del maschio verace (top) alla femmina vogliosa (bottom). Al contrario, altre volte invece Il cliente potrebbe offendersi (probabilmente subito farebbe finta di non capire) o imbarazzarsi, e l’atmosfera inevitabilmente si guasterebbe.

Nel mio caso non c’è stata alcuna proposta di quel tipo, intendo dire una proposta aperta e chiara, ed ora mi domando che cosa potesse averle fatto passare per la testa che io mi sarei sottomesso così di buon grado alla penetrazione. Mi piace pensare che la mia sensualità avesse risvegliato la sua imprescindibile natura maschile e che la stessa avesse preso il sopravvento su di lei quella sera; ma ancor più mi piace pensare che volesse veramente fottermi con quelle modalità e per così lungo tempo perché in quei momenti, seppure di quella sola notte, amava il mio sfintere quanto io ho sempre ardentemente amato il loro, quello delle ladyboy, fin da quando ero giovanissimo e ancora prima di approdare per la prima volta in Thailandia.
E' possibile che Mona si fosse basata sul proprio sesto senso il quale le aveva mostrato il semaforo con la luce verde accesa su di me, perciò una volta intravisto il via libera ha desiderato veramente godere ma, ancor più, ha voluto che fossi io a godere ma in una dimensione diversa dal solito, ovvero quella femminile, e in modo magistrale. Lei, siccome esperta, sapeva che non sarebbe stato sufficiente prendermi da dietro se non avesse dato il meglio di sé. Infatti, prima con la sua e sensualità e il suo fare tranquillo è riuscita a trasformarmi in una una cagna in calore, poi ha usato il suo membro ricurvo dotato di quella grossa cappella e tutto il resto per farmi godere come solo una cagna in calore sa fare. E lei, Mona, ovviamente era il cane virile e insaziabile di cui in quel momento avevo bisogno. Come avrà fatto con altri immagino, con me voleva andare oltre al gioco e non si sarebbe accontentata di stupirmi dal piacere; ovvero voleva andare avanti fino a rivoltarmi la sessualità a letto, fino a quando il desiderio che fossi io lì a quattro zampe e non lei, fosse più il mio che il suo. E così è stato. Solo in questo modo riesco a spiegare tanto fervore da parte sua nell’opera.

Tornando alla zuffa, io mi trovo disteso sulla schiena e col sedere sul bordo del grande letto e con le gambe ripiegate verso l’alto mentre Mona, in piedi sul pavimento, infierisce nel mio sfintere e oltre di esso con una tale costanza da spingermi gradualmente in avanti fino al centro del letto. Per non perdere la preda, con le ginocchia sale sul materasso, poi si erge sulla punta dei piedi e si accovaccia sopra di me e riprende a cavalcarmi. Carica In questo modo tutto mio peso e parte del suo sulle mie scapole mentre le mie natiche e le mie gambe sono rivolti allo zenit. Mentre la guardo sopra di me mi sembra bellissima con il suo taglio di capelli femminile e le sue tette al silicone che ciondolano al ritmo di tutto il resto. Stranamente, trovo tutto esteticamente perfetto.
La sento venire. Con una mano mi stringe forte un polpaccio e con l’altra lo scroto fino a farmi male. La sento gemere e percepisco fisicamente su di me i suoi sforzi di entrarmi ancora più dentro, come se per tutto il tempo avesse lasciato una parte del mio retto intatta per il gran finale. Sento addirittura il suo seme scaldarmi dentro. Va su e giù più volte e ogni volta è un nuovo affondo ma non è altro che un'illusione che tutto non sia finito. Poi rallenta, sfila il muletto e me lo mette in bocca affinché glielo pulisca, e in questo modo sento tutto il sapore di quella serata: il cazzo, lo sperma, il retto, le scarpette argentate… e sono esploso schizzandomi sul ventre e sul torace, e nella coperta attorno. Eccome sono esploso..!


CAPITOLO 6

Poi, quasi senza accorgercene, ci siamo addormentati lì dove eravamo ma nel mezzo di quelle poche ore che ci separavano dall'alba, nel dormiveglia ho sentito nuovamente il mio ano raffrescato dal gel e le sue mani afferrarmi da dietro. Eravamo entrambi sdraiati sul fianco destro, lei appiccicata dietro di me che mi riempiva dentro ondeggiando in avanti e indietro con moto regolare. E' stata una scopata non certo esuberante, anzi direi senza fantasia. Non abbiamo mai cambiato posizione e nessuno dei due ha pronunciato una parola sebbene io la percepissi ansimare vicino al mio orecchio, ma è durata a lungo, finché ho sentito nuovamente il suo seme scaldarmi dentro.

La mattina seguente, con la stanza illuminata dalla luce che filtrava attraverso le ampie tende della porta-finestra che dava sul terrazzino, Mona aveva appena fatto la doccia e si stava preparando per uscire. Vestita di fresco, con un leggero make-up e la luce del giorno, era più graziosa che mai. Io ero in maglietta e mutande e, con un po' di vergogna, avvertivo il mio didietro dolorante e prevedevo che ci sarebbero voluti alcuni giorni affinché si ristabilisse. Lei con flemma stava raccogliendo le sue ultime cose ed io sapevo cosa stesse aspettando. La pago almeno il doppio di ciò che avevamo pattuito la sera prima, anche perché non si era parlato di una notte intera. E aggiungo pure la mancia sebbene non avesse bisogno del taxi per tornare a casa. Lei è contenta quindi, in prossimità della porta d'uscita, il bacio di saluto sulla bocca dura più del previsto e fa incontrare le nostre lingue, ed io la stringo a me. Nel mentre, col palmo della mano sinistra ed esternamente alle mie mutande, lei comincia a premermi e a palparmi lo scroto perché sa che a me questo piace. Infatti ho un'erezione fulminea. Lei Infila quindi le dita sotto la stoffa di lato e continua a strapazzarmi le palle, e a quel punto percepisco che lei è eccitata almeno quanto me. Dolcemente mi fa indietreggiare e, con un'energia misurata, di colpo mi spinge seduto sulla poltroncina verde e lì capisco che vuole sbattermi di nuovo. Con classe e determinazione lei si sfila la gonna di jeans all'ultima moda, cortissima e sfilacciata sia nei bordi che ovunque e, ancora prima che lei si liberasse della sua biancheria intima e delle sue scintillanti scarpette, io sono già senza maglietta e mutande.
Lì ho scoperto che ci sono diversi modi di offrire il culo stando su una poltroncina, sia a gambe divaricate che a cosce strette, e i braccioli sono una manna. Poi mi ritrovo a carponi per terra con le ginocchia e i palmi delle mani poggiati direttamente sulla moquette rosa. Lei mi cavalca da dietro a modo suo, cioè a gambe semi-piegate e con energia, e ripetutamente mi dice delle oscenità del tipo: "You're my dirty bitch..." (sei la mia sporca cagna), oppure: "You fucking son of a bitch ..." (fottuto figlio di cagna). Ogni 10-15 colpi si stacca da me, mi viene difronte, si accovaccia e me lo infila in bocca affinché glielo pulisca bene; poi torna didietro e riprende a cavalcarmi e a dirmene di tutti i colori, quindi viene difronte a me per farselo pulire di nuovo, e così via. Siamo andati avanti in questo modo un pezzo finché, quando era davanti a me ed io avevo il suo coso schifoso in bocca, l'ho trattenuta e l'ho obbligata a riempirmi la bocca col suo sperma. Non ne avevo mai bevuto di così amaro.

Già nel pomeriggio mentre oziosamente percorrevo a piedi il lungomare fiancheggiato da ambo i lati da palme, e sebbene fossero trascorse solo poche ore da quando ci eravamo lasciati, sono stato invaso da un forte desiderio di essere ancora la sua "dirty bitch". Sì, ripensavo ai suoi insulti e allo stesso tempo avevo una gran voglia di tenere ancora spalancate le mie natiche difronte al suo membro virile... di essere preso di nuovo da dietro senza rispetto. Inoltre non riuscivo a togliermi dalla mente lo smalto marrone delle sue unghie dei piedi.
Così, grazie al cellulare, l'ho rintracciata e nel corso di quella settimana abbiamo trascorso altre due notti insieme nelle quali non è mai capitato che fosse lei ad offrire il suo culo, o che io glielo chiedessi. Non è mai stato un argomento di discussione. Una volta nella mia stanza, era scontato che fosse lei a prendere il mio fino al mattino.


CAPITOLO 7

Come è facile immaginare, dopo l’esperienza con Mona, ogni volta che mi portavo in stanza un gioiellino non era escluso che durante le pratiche iniziali albeggiasse in me la voglia incontenibile di offrirgli il mio sfintere e tutto quello che c’era didietro. Ciò poteva dipendere dalla libido che la sua sensualità scatenava su di me e dal membro virile che mi si parava davanti. A volte bastava l’odore che si diffondeva tra un suo inguine e l’altro.
Talvolta, invece, questa mia voglia arrivava all'improvviso in pieno giorno e magari durante la normale quotidianità, ad esempio, come si è visto, mentre camminavo disimpegnato per la città, e non necessariamente mentre stringevo un uccellino. Succedeva così che, tramite lo smartphone, io inviassi un messaggio ad una ladyboy che si distingueva dalle altre che conoscevo perché, la volta precedente, non aveva risparmiato il suo membro su di me evitando di venire se non dopo aver reso il mio didietro simile ad un piatto di pasta stracotta. In altre parole, doveva essere una "maschietta coi fiocchi" (come chiamavo io quelle) o, se preferite, una vera scopatrice di uomini. Potevo quindi ben immaginare che, se ci fosse stata la possibilità di vederci, di certo il mio culo sarebbe stato il protagonista della serata.
Infatti, per esserne certo, ciò che inviavo non era proprio un messaggio scritto, non c'era nulla di scritto, era invece una foto oscena del mio nudo didietro con tanto di buco bene in vista, e ogni volta era diversa e presa appositamente solo poco prima sul letto della mia stanza d'hotel. Per chi la riceveva (una maschietta coi fiocchi appunto) quel messaggio doveva essere eloquente: quello era il culo di una puttana. Doveva sentirselo indurire in mezzo alle gambe e poi rispondere, magari allo stesso modo, inviandomi la foto del suo cazzo duro. E il gioco era fatto. So che lo stile è veramente basso e volgare e fino ad allora credevo che mai ne avrei fatto uso, ma in quei momenti trovavo molto erotico sapere che una mia foto come quella, perché spontanea e senza censura, potesse far drizzare un cazzo solo per avergli mostrato il premio in palio.

Nell’arco di qualche anno, quindi, ho vissuto svariate esperienze in cui ho goduto in modo passivo, e posso dire che chi me l'ha preso doveva essere sicuramente un gioiellino. Fra questi, le mie preferenze ricadevano su quelli che pesavano la metà di me ma ben dotati e di indubbia virilità. Mi eccitava l’immagine di Davide e Golia, dove il primo é forte e deciso (ovvero minuscolo ma molto virile) mentre il secondo, sebbene grande e implicitamente attivo, gli soccombe passivamente. Spesso mi sono sorpreso nel constatare quanto un corpo tanto minuto e fanciullesco potesse avere un apparato fallico di certe dimensioni al punto da tradire le proporzioni umane che convenzionalmente abbiamo in mente.
Per non essere frainteso chiarisco che non ho mai smesso di vezzeggiare e di godermi, e non solo sessualmente, quelli che da offrire non hanno più che un inerme colibrì con un guscio di noce al posto dello scroto, ma che nella loro totalità sono come il burro, ovvero così delicati alla vista e al tatto da scioglierti al punto che non vorresti lasciarli più. Loro, con il loro imbutino rosa e sempre pulito, e a volte non ancora violato, sono sempre stati la mia passione più grande. Per me la virilità del partner è un’aspirazione potente ma transitoria mentre la sua tenerezza è qualcosa che prosegue nel tempo e che mi rende sentimentale.
Il caso di Mona è stato per me memorabile perché con quell’esperienza sono venuto a conoscenza di nuovo emisfero dell’erotismo maschile, senza però scadere nella bruta omosessualità di cui non ho mai desiderato fare parte.

Che strano, è vero che sono passati già alcuni anni ma non ricordo come sia stato possibile che Mona ed io non ci siamo più rivisti dopo quelle prime volte insieme. Se è vero che in determinati contesti è molto semplice fare nuovi incontri, se buoni o cattivi poi si vedrà, è anche vero il suo opposto, ovvero perdere i contatti interpersonali. Una spiegazione potrebbe essere che dopo il nostro incontro lei sia tornato al suo villaggio nell'Isan, e quindi abbia cambiato scheda del telefono per staccare con l’ambiente frenetico in cui lavorava e la relativa plebaglia; la scheda potrebbe essere stata conservata per essere usata successivamente o gettata. Oppure sono stato io a tornare in Italia e poi, dopo pochi mesi, essere di nuovo in Thailandia ma, come si sa, inevitabilmente col tempo le cose cambiano.
Sta di fatto che di Mona non ho avuto più traccia, a pensare che l’avrei ripresa volentieri con, o meglio senza, le sue scarpette argentate. (mi interessa il tuo franco commento, grazie: [email protected])
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