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Suor Agnese


di Membro VIP di Annunci69.it Occhidimare12
03.02.2023    |    3.784    |    30 9.9
"In effetti, da quando ci eravamo conosciuti lui non aveva più avuto una compagna così da rimanere libero e disponibile per me, e io avevo smesso di fare..."
Suor Agnese ci accolse con aria timida e malinconica ma con cortesia. Nel ballatoio, dove campeggiava una statua di Maria dal velo bianco e luminoso, avvolte dalla penombra del monastero umbro, ci guardammo come se ci fossimo già incontrate prima, con sguardo cordiale ma intrigante. Il suo aspetto era austero ma celava di certo qualcosa di misteriosamente catturante per me. I suoi occhi verdi smeraldini mi penetrarono già ad una prima occhiata, tanto che arrossendo in volto, mi ricomposi la camicetta bianca di seta che avevo tenuto sbottonata fino a quel momento e la giacca nera di cady che mi scivolava addosso come un elegante e sobrio paramento religioso. Frugai nella borsa e vi trovai un fermaglio di ferro inciso che avevo comprato a Cannes e raccolsi i capelli, così, per semplice pudore. Paolo presentò i nostri documenti e Giovanni mi aiutò con i bagagli. Eravamo nella terra di san Francesco per un convegno di psicologia e tutto mi pareva intriso di spiritualità e misticismo. Nella mia testa il povero di Assisi aveva sempre rappresentato un ideale forte, carnale, direi quasi viscerale rispetto al più ascetico san Benedetto. Mi affascinava quella sua vita da ex guerriero, ex figlio di papà, ex guascone che lo aveva invece condotto ad essere il santo più santo di tutti. Quella sua passione del corpo mi colpiva nella pelle più che nel cuore. Preso possesso delle camere andammo a controllare che nell’auditorium fosse stato tutto predisposto per gli interventi di tutti i relatori e poi andammo a pranzo. Parlavamo del programma e degli orari dell’evento. Paolo socializzava con gli organizzatori del convegno e con i colleghi venuti da tutta Italia. Io ero assente. Come in un mondo mio in cui gli occhi di Agnese mi pungevano come spilli. La immaginavo vestita in abiti civili con un vestito blu a fiori rosa e lilla. I capelli neri sciolti, un velo di trucco, le calze nude velate e le scarpe femminili con un mezzo tacco di cuoio per non accentuare troppo la sua altezza al di sopra della media. Tornammo in hotel per riposare ma mi rimaneva difficile pensare quell’antico monastero intagliato nella pietra come un semplice albergo per pellegrini e avventori. Trasudava storia e misteri e la mia fantasia correva indietro nei secoli. Non solo la mia, evidentemente. Paolo ed io eravamo amanti da otto anni. Ci piaceva fare sesso e poco altro insieme, se non affrontare unitamente il lavoro. In quel contesto eravamo una vera squadra affiata e imbattibile. Anche al letto lui ci sapeva fare ed era in balia del mio corpo con poco. Lo eccitavo nuda, vestita con i tacchi, senza tacchi, insomma diceva che il suo essere era stregato dal mio. In effetti, da quando ci eravamo conosciuti lui non aveva più avuto una compagna così da rimanere libero e disponibile per me, e io avevo smesso di fare l’amore con mio marito che dopo tanti anni non vedevo più con pulsioni sensuali ma solo di carattere amicale. Paolo venne nella mia piccola camera, una cella tutt’altro che fredda, e inospitale. Un vero altare di piacere per gli occhi. Un affresco antico che ritraeva la predica agli uccelli era coperto da una lastra di vetro su cui si rifletteva la luce del sole. Libri, candele e le tende verde bottiglia facevano pendent con il letto di ferro battuto. Ci buttammo nudi nella piccola doccia, sperando che Giovanni non venisse a cercarci. Ci insaponavamo a vicenda baciandoci con passione. Avevo paura che prima o poi entrasse suor Agnese e che vedendomi in quella situazione mi punisse già solo guardandomi con i suoi occhi severi. La situazione mi eccitava e al contempo mi creava una certa soggezione. Non sono poi, una persona così irriverente. La dissacrazione mi provocava brividi di turbamento più che di vera eccitazione. Il convegno fu un successo. Le nostre tesi furono ben accolte e i colleghi si complimentarono per gli studi esposti. Paolo, entusiasta del mio intervento chiaro e deciso, mi baciò tra la folla. Giovanni ci vide. Mi imbarazzò molto quel suo cogliere la nostra intima complicità così, mostrata in quel modo spavaldo in un contesto professionale di formale confronto tra medici. “Sei uno stronzo!” sussurrai all’orecchio di Paolo che semplicemente sorrise, esibendo il suo solito beffardo sorriso, con gli occhi vispi e ridenti di chi non sempre abbia voglia di nascondersi ma di svelare, proprio lì, in quell’occasione pubblica, l’orgoglio maschile di godere dei piaceri di chi era al centro dell’attenzione e anche destinataria delle lusinghe dei presenti. “Sei bellissima!” ribatté. “E tu un maschio borioso” ribattei indispettita. Cenammo in una terrazza illuminata dalla luna e dalla fiamma ondivaga di mille candele porpora. Bevemmo dell’ottimo vino rosso che innaffiò specialità locali a base di carni rosse e tartufo. Giovanni non mi guardò e per tutta la serata non mi rivolse la parola. Che alla fine fosse geloso anche lui come ogni uomo che ho incontrato? La cosa mi infastidiva parecchio, non era a lui che dovessi qualcosa. Tornati al monastero ognuno si ritirò nella propria stanza. Io ero davvero esausta e poco lucida. Non sono abituata a bere. Mi addormentai come un sasso, vestita. Alle prime luci dell’alba scesi in cucina per prepararmi una tisana. Suor Agnese ci aveva detto che avremmo potuto disporre della cucina per prepararci qualcosa di frugale. La trovai lì, di spalle che lavava qualcosa nell’acquaio. Mi preparò un’infusione di melissa e melatonina che assaggiai appena. Stranamente non avevo più voglia di dormire. La guardavo con il suo abito talare lungo, nero, si muoveva con grazia e leggerezza. Pareva una falena che danzava attorno a una luce. Quella luce ero io? Perché mi guardava in quel modo strano? “Voglio regalarti qualcosa in ricordo di questo soggiorno!” mi disse. “Te lo porto in stanza insieme alla tisana, ora è bollente. Vai!” bisbigliò, indicandomi con lo sguardo rivolto verso le scale, di salire. Tornai in camera e mi distesi. Sempre vestita con l’elegante tailleur indossato per il convegno. Il cuore mi batteva forte e le gambe mi tremavano. Ero immobilizzata, non riuscivo a muovermi. Agnese entrò e posò il vassoio con la tisana sullo scrittoio antico e mi si avvicinò. “Guarda, questo è per te!” mi sussurrò mettendo un rosario nero di legno, intorno alla mia testa e poi facendolo scivolare giù su collo. “Lo ha realizzato un artigiano di Gubbio. Voglio che lo abbia tu” disse sistemando la croce sul mio petto e sfiorandomi il seno. Aveva le mani candide, dalle dita flessuose e dal cui biancore si stagliava una fede d’argento a forma di rosario, all’anulare della mano sinistra. “Sei sposata?” mi chiese. Feci cenno di sì con la testa. “E il marito te lo sei scelta tu?” mi domandò con le pupille di mestizia piene. “Sì, certo, io. Ci amavamo” risposi con una certa sicurezza. “Io, no. Non me lo sono scelta. Mi ha scelto lui ma io non sono una buona moglie!” disse fissando il crocefisso dinanzi a sé, dietro la testiera del letto. “Perché dici così?” le domandai. Appoggiandole la mano sul ginocchio. “Questa vita non fa per me. Non la so condurre. È lei che conduce me” sospirò. Stette in silenzio, all’improvviso si chinò sul mio viso e mi baciò le labbra. Con la lingua ne disegnò il contorno più volte. Ero di pietra. Non riuscivo a muovere le gambe né le braccia. Iniziò lentamente a spogliarmi. Tolse la camicetta e la gettò per terra sul tavolato di castagno. La gonna fece la stessa fine. Mi lasciò con il reggiseno bianco e le mutandine di pizzo coordinate. Accarezzò le gambe, arrotolò le autoreggenti color carne attorno alle caviglie e con grande abilità me le sfilò. Le usò per bendarmi. Non riuscivo a fare niente, ad oppormi né a interagire. Sentii le sue dita sui capezzoli. Mi tirò fuori entrambi i seni e si distese su di me. La sua veste era rigida, fredda. Tremavo mentre con la lingua si spostava giù, sempre più giù fino a scostare gli slip e a infilarla lì. Tra le piccole e le grandi labbra violacee e il clitoride. Era calda, umidissima e morbida, la sua lingua vogliosa, ma allo stesso modo la mia vulva. Ad un tratto sentii cigolare la porta rimasta socchiusa. Riconobbi il passo, il respiro e il profumo di Paolo. “Uhmmmm, che cosa vedo!” esclamò. “La mia troia con una troia suora che si leccano, senza chiamarmi. Pensavate di godere da sole?” domandò ironicamente. In verità a tutto avrei pensato tranne a quello che stava succedendo. Paolo salì sul letto mentre suor Agnese era su di me. Non vedevo ma percepivo tutto. Principalmente ascoltavo. Ora nitidamente sentivo il rumore della sua figa penetrata con forza da dietro. Paolo si era unito al gioco e a suor Agnese sembrava tutt’altro che dispiacere. Mugugnava, gemeva, imprecava mentre il bacino di Paolo sbatteva con forza sul suo culo. L’indole angelica aveva lasciato il posto a quella di un essere demoniaco carnale e lussurioso. Tolsi la benda. Volevo vedere la sua faccia da porca. Non vidi solo la sua ma anche quella di Giovanni che ammirava la scena masturbandosi. Di lì a poco tutti e due schizzarono sulla schiena di Agnese che si distese al mio fianco tenendomi per mano. Non avevo mai avuto un’esperienza saffica in cui una donna mi riservasse la sua bocca. Dopo ne seguirono diverse e piacevoli, molto più piacevoli, talvolta, che con un uomo. Da quel momento, scopare con Paolo mi sembrò una cosa scialba. Dopo quel quid che Agnese, suor Agnese, aveva impensabilmente aggiunto in un’alba di maggio, tutto appariva troppo normale e monotono.

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