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l'amico che mi ha cambiato, parte 7- Mario si prende tutto


di only_a_boy
12.02.2023    |    1.989    |    4 9.8
"Da dietro la sua voce mi raggiunse: “sei venuto per l’ultima volta..."
Erano passati dieci giorni dall’ultima volta che ero stato a casa di Mario: la sua famiglia era partita per il capodanno in montagna e me l’aveva portato via. Mi mancava ma non mi restava altro da fare che passare le giornate a rivivere con la mente le forti emozioni che mi aveva fatto provare l’ultima volta.
Certo, dovevo ammettere con me stesso che la realtà stava prendendo una piega diversa dalle mie fantasticherie - che erano tutto sommato abbastanza elementari (dopo mesi e mesi passati ad ingoiare il suo seme non immaginavo altro che ricevere finalmente quel cazzo nel mio culo) - e non avrei mai pensato che alla fine mi avrebbe eccitato ripensare alle situazioni vissute con Mario quel pomeriggio, quando, a costo di farmi venire una polmonite, era riuscito a farmi rimpicciolire il cazzo grazie al gelo con cui aveva invaso casa e, tutto trionfo, si era svuotato la vescica sul mio corpo inerme.
Più ci pensavo e più mi sentivo su di giri: mi era piaciuto il trovarmi in uno stato di inferiorità ribadita quasi a livello anatomico, con il mio cazzo ridotto ai minimi termini, quasi fosse una figa (per il freddo l’asta era di dimensioni più piccole dei coglioni), e il suo invece bello, possente, sempre duro. E ricevere il suo piscio, invece che farmi schifo, mi aveva mandato in visibilio, quasi con quest’azione lui avesse rivendicato me stesso quale suo territorio. E poi, ripensavo al suo sguardo compiaciuto nell’osservarmi nudo e col cazzo quasi sparito per il freddo: mi era piaciuto essere oggetto della sua attenzione e non vedevo l’ora di tornare ad esserlo: avrei dato qualsiasi cosa per lui.
Purtroppo, mi toccò aspettare ancora a lungo per poter riprendere il discorso: anche dopo che era tornato non avevamo avuto più modo di stare soli. Iniziavo a temere che fosse successo qualcosa, che in qualche modo gli fosse passato l’interesse -qualsiasi interesse nutrisse- verso di me. Alle mie domande rispondeva evasivo, aumentando la mia angoscia, tanto che alla fine decisi di presentarmi a casa sua senza invito: anche se non avessimo fatto niente, almeno avremmo chiarito, dicevo a me stesso.
Non mi accolse col sorriso ma mi fece entrare: la casa era vuota, i suoi non c’erano, perché non mi aveva chiamato, come faceva prima? Rivoltagli questa domanda, mi guardò negli occhi e disse: “perché non mi va di proseguire come prima, dopo l’ultima volta voglio di più”.
-“hai sempre avuto tutto quello che hai chiesto, cosa c’è che non va che non ti posso dare? Cosa è successo? L’ultima volta credevo ti fosse piaciuto”, gli chiesi quasi impermalosito.
-“si, mi è piaciuto…troppo”.
-“e qual è il problema? Non capisco…”.
-“mi sono stancato dei giochini, le tue pompe non mi bastano più”.

A queste parole il cuore iniziò a battermi forte, dopotutto sognavo di essere penetrato da lui da tempo immemore: “se vuoi fare altro per me non ci sono problemi, anzi… voglio essere tuo”.
-“Quello che vuoi tu mi è indifferente. Ma sono io, invece, che non voglio essere tuo: si, mi sono stancato di pompe e basta, vorrei romperti il culo. Ma resta sempre il fatto che sei un maschio e non voglio scopare con un maschio. Hai un culo da paura, ma sei un maschio. Prima pensavo che tanto non c’era problema, che tanto il frocio eri tu che ingoiavi, io mi svuotavo solamente. Ma mi dà fastidio l’idea di inculare uno con il cazzo, io sono etero e voglio restare etero”.

Quelle parole avrebbero dovuto mettere una pietra tombale sui miei sogni di sverginarmi il culetto, ma lo desideravo talmente tanto ed ero così terrorizzato da perdere Mario dopo tutta questa intimità, che non mi diedi per vinto: “ma tu sei etero, l’hai detto sempre che il mio culo sembra quello di una femmina, non c’è niente di male se lo vuoi spaccare”.

-“si ma tu non sei una femmina, c’è sempre quel cosino lì tra le tue gambe. L’altra volta, quando l’hai avuto moscio e di dimensioni ridicole, mi è piaciuto, è così che ti vorrei sempre: totalmente lontano da un maschio in erezione, la cosa più vicina ad una femmina.”
- “ma io non l’ho mai messo in vista se non dietro tua richiesta, lo so che non ti piace! E sono disposto a non tirarlo fuori più, così non lo vedi e non ci pensi!”
- “non mi basta. Mi dà fastidio l’idea che poi vai a casa tua, te lo tiri fuori e te lo smanetti come se tu fossi un maschio. Se ti devo mettere il mio cazzo in quel tuo culo tu non devi essere mai più un maschio, devi essere solo la mia femmina”.
E così, da idiota, gli dissi, senza pensare alle conseguenze: “ma allora, se è solo questo il problema…se vuoi non lo userò più”.
Mi guardò e colse al volo: “se lo prometti lo devi fare sul serio, indietro non si torna. Sei sicuro?”
- “Si, te l’ho già detto. Te lo prometto”.

Pensavo bastasse quest’assicurazione ma evidentemente Mario aveva altre pretese, perché lo vidi alzarsi, aprire un cassetto e tirare fuori una cosa:
- “allora dovrai indossare questa: è una gabbietta con un lucchetto, di cui avrò solo io la chiave. Questa ti impedirà di essere un maschio, ti terrà sotto controllo l’uccello che resterà sempre moscio e io saprò che non te lo smanetti”.
Col senno del poi posso dire sicuramente che il bastardo aveva già orchestrato tutto, mi aveva tenuto a cuocere nel desiderio e nell’ansia di perderlo tutti questi giorni e mi aveva condotto ad anticipare quello che lui aveva già deciso.
In quel momento invece non sapevo che pensare. Presi in mano la gabbietta, era uno strano congegno davvero piccolo, di cui non capivo il funzionamento: il colore era rosa ma toccandola mi accorsi che era di ferro.
Mario ritenne opportuno continuare la spiegazione: “Questa ti impedirà di avere le erezioni, non potrai più farti le seghe come un maschio, non potrai neanche pisciare come un maschio ma dovrai accovacciarti come una femmina. E se tu dovessi volere masturbarti, dovrai farti i ditalini dietro, davanti non avrai più nulla. Queste sono le condizioni: se accetti di non usare più il tuo cazzo voglio che sia per davvero, dovrai accettare questa.”
E dopo un attimo di silenzio, in cui stavo riprendendomi dalla sorpresa, lui aggiunse: “o la indossi o te ne vai e non mi vedi più. Scegli tu se preferisci essere un mezzo frocio con un cazzetto inutile da masturbare mentre si immagina di avere rotto il culo, oppure diventare la mia donna, che viene posseduta da un vero maschio”.
Non potevo rinunciare a lui e comunque l’idea di creare questo ulteriore legame tra noi mi intrigava, poco importava se significava sacrificare una parte del mio corpo: dopo tutto non era una cosa veramente permanente, mica me lo tagliavo, accettavo solo di affidarlo al suo controllo. Lo guardai dritto negli occhi mentre gli dicevo che accettavo, persi così la mia virilità.
Mi ordinò di spogliarmi, cosa che feci immediatamente. Naturalmente tolte le mutande il mio cazzetto svettò in piena erezione: non ero dotatissimo ma quello strumento era infinitamente più piccolo: come avrei potuto indossarlo?
- “Devi essere moscio per poterla mettere” - mi disse- “fatti una sega”.
Lo guardai incredulo: aveva appena finito di dire che non voleva che l’avessi duro e che me lo menassi e ora se ne usciva in questa maniera? Era incoerenza o era un tranello? Comunque, mi uscì spontaneo: “no, non voglio farlo. Ti ho promesso che non me lo sarei più toccato: ora il mio cazzo ti appartiene.”.
Fu sorpreso: non si aspettava forse che il piccolo Eugenio sacrificasse per lui quel che restava della sua personalità e la cosa lo compiaceva. Si avvicinò a me: “verrai invece, perché devi essere moscio per indossarla. Volendo potrei fare come l’altra volta ma non voglio farti congelare. Oltretutto, è la tua ultima occasione per venire come un maschio. E dato che mi hai promesso che non te lo toccherai più e mi hai detto che questo cazzetto mi appartiene, ci penserò io”.
Non credevo ai miei sensi: né alla vista, quando i miei occhi lo osservarono mentre si avvicinava emi prendeva in mano il cazzetto per andare su e giù, né al formicolio che sentivo sul mio pisello, quando le sue mani fredde me lo impugnarono e me lo menarono.
Forse avrei dovuto gustarmela di più, dato che, come avevamo detto, sarebbe stata la mia ultima sega. Ma era troppa l’eccitazione e non seppi contenermi: dopo qualche minuto gli schizzai in abbondanza sulla mano. Appena me ne resi conto iniziai a temere che si arrabbiasse. Gli stavo già per chiedere scusa e prodigarmi per pulirlo, ma lui mi mollò il cazzo e, con la mano sporca, mi venne alle spalle, spalmando il mio sperma sul buchino e facendo già entrare le prime dita.
Da dietro la sua voce mi raggiunse: “sei venuto per l’ultima volta. Ora la tua sborra di uomo servirà da lubrificante a te stesso per diventare femmina. Ma prima di questo abbiamo una faccenda da concludere”.
Me lo ritrovai di nuovo davanti: mi prese la gabbietta – che era ancora rimasta in mano mia – e approfittando del momento, con movimenti rapidi mi mise l’anello di ferro alla base dei coglioni e mi infilò l’asta in un piccolissimo involucro curvato verso il basso: per fortuna avevo il glande ancora sporco di sperma, ha aiutato a scorrere perché l’involucro era davvero stretto. Una volta entrato il pisellino nella sua gabbietta, questa venne unita all’anello e tenuta ferma da un lucchetto, che prontamente chiuse. Mi passò la chiave davanti agli occhi più volte, dicendo “questa ora la tengo io e tu appartieni a me”.
Io ero in preda a sensazioni contrastanti: avvertivo un peso tra le gambe e il pisello era rinchiuso in uno spazio piccolissimo. Il contatto con il freddo del ferro e la sensazione di essere stato ingabbiato me lo stavano facendo tornare duro, ma non c’era più questa possibilità: il pisello era forzatamente orientato verso il basso e se si induriva, spingendo in avanti l’involucro, quest’ultimo si tirava appresso l’anello, che a sua volta mi tirava i testicoli, con sommo dolore. Insomma, quello strumento diabolico era pensato proprio per rendere impossibile una erezione.
Constatare tutto questo da un lato mi faceva sentire strano, in quanto per la prima volta non ero più in grado di gestire il mio stesso corpo, dall’altro mi faceva provare adrenalina: finalmente ero come lui mi voleva, finalmente non ci sarebbero più stati ostacoli. E quella sensazione di una morsa fredda che mi tirava i coglioni e mi spingeva il cazzetto verso il basso, iniziai a percepirla come se fosse la mano di Mario a divertirsi con una parte del mio corpo che gli avevo donato.
Mario dal canto suo, dopo essersi goduto lo spettacolo della mia impotenza, mi sussurrò: “così ti voglio. Inoffensiva, docile, donata a me. Ora devi diventare la mia donna”. Mi prese per mano e mi condusse in camera sua, sul letto. Mi fece mettere a pecora (“culo in fuori, mi raccomando”) e mi accarezzò i glutei depilati (“che bella che sei…”). Istintivamente avevo appoggiato il volto sul materasso e attendevo.
Sentii il rumore della sua zip che si abbassava, quello dei pantaloni e delle mutande che cadevano sul pavimento, e poi il letto che oscillava, mentre lui mi stava raggiungendo sul materasso. Io continuavo ad attendere, docile. Trattenni il respiro quando sentii la sua cappella poggiarsi esattamente sul mio buco, inumidito dalla mia sborra.
Nei racconti porno che avevo letto (si, mi intrigava più leggere i racconti e immaginare piuttosto che vedere quei film hard, tutti uguali e monotoni) si parlava sempre di vasellina, ma lui sembrava avere altre idee. Quasi mi avesse letto nel pensiero mi disse: “hai già la tua sborra a lubrificarti, il resto quando ti bagnerai, perché ti bagnerai come tutte le donne”. Sentii una pressione del suo glande sul buco e subito dopo entrò, forzando una entrata che fino a quel momento era stata vergine.
Mi fece male, naturalmente, e mi fece ancora più male perché andava spedito puntando a giungere fino in fondo. Mi ero rialzato: “ti prego, smetti!” chiesi terrorizzato, mentre col bacino cercavo di andare in avanti e sfilarmi quel palo da dietro. Mario invece fu rapido nell’avanzare, facendo riguadagnare al suo pisello il terreno perso, con una sua mano che mi aveva afferrato per i capelli per fermarmi.
La sua bocca, a pochi centimetri dal mio orecchio, mi ordinava “stai buona, è un attimo, soffri un poco e poi sarai mia e ti piacerà”. Nel mentre, al piano di sotto, il suo bacino avanzava e il suo pisello mi stava tagliando le budella come se fossero di burro. Il dolore era fortissimo, non sapevo se concentrarmi su quello che provavo nel culetto o quello alla testa, con i capelli tirati, quando mi disse: “ecco, sono dentro”.
Era vero, sentivo i suoi peli pubici sulle mie chiappette rasate: ero pieno di lui, anzi, ero piena di lui. Questo pensiero mi iniziò ad intrigare, ma fu una breve tregua: improvvisamente Mario riprese a muoversi, tornando indietro e poi andando avanti. Forse per prevenire altre fughe, mi lasciò i capelli ma con una spinta sulla schiena mi fece cadere faccia contro il materasso: stretto tra il letto ed il suo peso, non potevo far nulla per oppormi a quel su e giù che continuava inesorabile e a ritmi sempre più accelerati.
Tuttavia, il sentirlo ansimare e godere sempre più, il prendere coscienza che mi aveva aperto e stava godendo di me e grazie a me mi iniziò a dare piacere. E mi mandava in estasi il sentirmi posseduto in ogni parte del mio corpo: in quella situazione realizzavo che non avevo più pisello, che era rinchiuso nella gabbia di cui lui aveva la chiave e non avevo più neanche un culo, che era diventato il parco giochi del cazzo di Mario.
Il mio pisello forzatamente moscio mi faceva concentrare sulle sensazioni che mi giungevano dal mio altro orifizio, che Mario stava allargando senza pietà, ed erano sensazioni piacevoli. Mi ritrovai anche io ad ansimare. Il colpo di grazia fu quado si avvicinò e mi sussurrò alle orecchie: “brutta troia, ti stai bagnando la figa.. lo sapevo che ti saresti bagnata, zoccola”. Da quel momento avrebbe potuto farmi di tutto, ero totalmente sua.
Lui continuò a penetrarmi a piacimento, fino a quando il ritmo che accelerava non mi fece comprendere che stava arrivando: quattro colpi ancora più forti, che mi sconquassarono tutto, e mi venne dentro. Si accasciò sulla mia schiena: era sudato e mi disse “sei stata bravissima. Ora sei davvero mia”.

Si, pensavo tra me mentre ancora lo avevo dentro, sono tua: avevi già la mia bocca, ora hai anche il cazzo, che mi hai imprigionato, e il culo che mi hai rotto. Si, sono tua: ti sei preso tutto.



Grazie per l'attenzione a chi è arrivato fino alla fine di questo racconto: alcuni mi sono stati pubblicati altri no (ignoro i criteri di selezione di annunci69 e ho quindi ripreso una saga che nei primi sei episodi non è stata pubblicata) ad ogni modo un feedback e un commento per capire se vi è piaciuto oppure cosa non vi è piaciuto saranno graditissimi.
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