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Stupro


di Membro VIP di Annunci69.it Ade-69
01.11.2020    |    29.315    |    5 10.0
"A piedi torno verso casa, nel tragitto trovo una fontana e mi lavo, mi accendo una sigaretta e mi rendo conto di essere tornato me stesso, il pazzo in me se..."
Premessa
Questo racconto se pur scritto da me, non rientra nei miei canoni e gusti personali rifiutando io stesso la violenza di ogni genere.
Lo scopo di questo racconto è invece il tentativo di farci riflettere.


Lo stupro

Tutte quelle storie di violenze e stupri su donne raccontate dal solito gruppetto, le risate compiaciute nel vantarsene, accompagnate ad uno stato di collettiva eccitazione … mi angoscia il solo pensiero, mi segue anche lontano da loro, me lo porto addirittura a letto e non mi fa dormire.
Dopo un’altra serata nella sala biliardo, dove li ho rivisti con quella solita aria di superiorità raccontarsi l’ennesima disgustosa bravata, esco fuori per vomitare. Mentre sono chinato a buttare anche l’anima sul quel lurido marciapiede, noto Samuele, uno della combriccola, uscire da solo, si dirige verso quella che deve essere la sua auto.
Nel vederlo il disgusto e la rabbia mi esplodono e battono nel cervello, come un martello sull’incudine. Senza accorgermene sono alle sue spalle, lo colpisco tra il collo e la nuca con un pugno fortissimo, con tutta la rabbia maturata dentro. Lui cade in ginocchio con la testa riversa sul sedile, privo di sensi.
Da quel momento in poi le mie azioni sono come viste da fuori, non sono io, sono compiute da qualcuno a me sconosciuto, ed io ne sono solo lo spettatore inerme.
Apro il cofano dell’auto, prendo Samuele, lo ficco dentro con rabbia e chiudo. Poi salgo in auto, metto in moto e parto. Come un automa mi dirigo verso la periferia, le strade sono deserte, è un qualsiasi mercoledì di dicembre, è un giorno lavorativo, fa freddo, sono passate le 3 di notte.
Guido, la rabbia che sento dentro non accenna a diminuire, anzi, la sento aumentare e devo in qualche modo darle sfogo. Dopo aver percorso una stradina in terra battuta le luci dell’auto illuminano un vecchio capanno. E’ il deposito degli attrezzi della casa in campagna dei miei nonni. Da piccolo mi rifugiavo spesso li, mi piaceva il fatto che fosse isolato e pieno di tutti quegli attrezzi con cui giocare, nelle mie fantasie quello era il mio castello o il rifugio da agente segreto. Ma adesso nel buono totale, illuminato dai soli fari dell’auto, è spettrale. Fermo l’auto, apro la porta del capanno e la blocco con un asse.
Torno all’auto, apro il cofano e tiro fuori Samuele ancora svenuto. Lo trascino dentro, lo stendo a faccia in giù su un tavolo da lavoro, prendo delle funi che si trovano li, lo lego mani e piedi alle quattro estremità del tavolo, poi raccolgo da terra uno straccio lurido, glielo spingo in bocca e con del filo elettrico lo fisso.
Mi siedo su una catasta di legna, e rimango li ad osservarlo, immobile e impassibile, immerso nel buio spezzato dai soli fari dell’auto che attraversano l’ambiente filtrando dalla porta lasciata aperta. Solo adesso comincio a sentire l’odore di chiuso e di vernice e muffa che riempie l’ambiente. Samuele comincia a muoversi lentamente, si sta svegliando. Appena riprende del tutto i sensi comincia ad agitarsi con forza per lo stato di costrizione in cui si trova.
Seduto nel buio alle sue spalle, continuo ad osservarlo mentre si contorce cercando dì liberarsi senza poter urlare. E’ arrivato il momento di espellere la rabbia che mi sta esplodendo dentro, più lo guardo e più mi passano in mente tutti quei racconti di violenza che tanto lo compiacevano, divertivano ed eccitavano. E più ci penso e più la mia rabbia sale.
Si, è arrivato il momento di farlo godere delle sue stesse fantasie, ma questa volta sarebbe stato lui in prima persona il protagonista. Mi alzo dalla catasta di legna, vedo delle cesoie che il nonno usava per potare le piante, le prendo e mi avvicino a lentamente a Samuele, con una mano gli afferro una caviglia mentre con l’altra afferro bene le cesoie e comincio a tagliargli i pantaloni, lo sento agitarsi ancora di più, dimenarsi con forza, ma è tutto inutile, non può scappare.
Con calma proseguo nel tagliare ogni singolo indumento che indossa, alla fine è nudo, ai piedi le scarpe e i calzini e ai lati i brandelli dei vestiti che poco prima lo rivestivano. Mi fermo ad osservarlo, così nudo ed esposto non farebbe più paura a nessuna delle donne che ha stuprato, piange come un bambino, si dimena contorcendo mani e gambe, inarca la schiena in un inutile tentativo di liberarsi.
Appoggiata ad una parete vedo una pala, la prendo e in modo meccanico, come se in me ormai non ci fosse più nulla di umano, affondo la punta in un barattolo di grasso per motori che sta lì su un ceppo di legno. Distribuisco il grasso su una buona parte del manico della pala, mi avvicino dietro Samuele, gli spalmo il grasso che mi è rimasto sulla mano, tra le natiche e su di esse.
Afferro con entrambe le mani la pala e l’appoggio a quel culo sporco di grasso che si inarca e si contorce a destra e sinistra, punto il manico e con forza lo spingo dentro il suo ano, noncurante della resistenza che incontra nell’entrare ne’ delle sue urla soffocate dalla straccio. Spingo il manico molto in profondità, più di quanto credo sia umanamente possibile sopportare, lo agito e lo giro dentro, ed alla fine glielo lascio lì. Samuele sviene dal dolore.
Mi fermo ad osservarlo, immobile, il corpo coperto di sudore e grasso con la bava che cola dai lati dalla bocca e che si è fatta strada anche attraverso lo straccio, la pala ficcata nel culo. Il tempo passa e non posso aspettare che si risvegli da solo. Prendo un secchio e lo riempio con quella che dovrebbe essere l’acqua piovana che si è raccolta in una specie di mangiatoia, ma è così lurida e nera che probabilmente non è acqua o comunque non solo quella. Restando nella parte buia per non farmi vedere gliela tiro in faccia.
Samuele apre gli occhi, ma è ancora visibilmente intontito, ha smesso di agitarsi, forse è stanco e senza forze e anche la pala deve aver smesso di fargli male o semplicemente il suo culo ha perso la sensibilità.
Ora che è sveglio mi riporto dietro di lui, prendo un piccolo rastrellino e faccio scorrere i denti sulla sua schiena, parto dall’alto verso il basso, evitando il manico della pala, giro i denti del rastrellino verso l’alto e lo faccio scorrere su quello che era il suo pene, a vederlo adesso così sporco di grasso del motore, rattrappito e ridotto, sembra più un escremento che non un pene.
Il rastrello lo graffia, scende sui testicoli e gli si conficca tra loro. Samuele ha ripreso ad agitarsi, a cercare di urlare, a piangere, ed alla fine sviene nuovamente. Sono passate due ore, la mia rabbia si è sfogata e la mia pazzia si è esaurita. Slego Samuele ancora privo di sensi, lo rimetto nel bagagliaio dell’auto.
Mi rimetto alla guida verso la città, guido un bel po’ e poco prima di arrivarci vedo una piazzola di servizio al lato della strada, è abbandonata buia e vuota. Ci entro, parcheggio l’auto e apro il bagagliaio. Samuele è ancora privo di sensi, gli tolgo il bavaglio e lo lascio lì.
A piedi torno verso casa, nel tragitto trovo una fontana e mi lavo, mi accendo una sigaretta e mi rendo conto di essere tornato me stesso, il pazzo in me se ne è andato.
Per più di una settimana Samuele non si vide né in giro né alla sala biliardo. Poi un giorno riapparve, aveva perso quella sua aria spavalda, continuava a guardarsi attorno con disagio e sospetto. Non disse mai nulla a nessuno e nessuno seppe mai nulla, ma quando i suoi amici tiravano fuori i soliti discorsi, lui diventava bianco in volto e si allontanava respirando a fatica.
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