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Lui & Lei

Amare è un momento...


di Membro VIP di Annunci69.it Ubaldo
17.05.2024    |    2.265    |    0 7.5
"Prima un mescolio di acque selvatiche..."
Lui, Sandro. Lei ...Gli altri ... i nomi in fondo non hanno importanza.
Quando entrava in lei rimaneva sempre stupito dalla aderenza della sua vagina. Un guanto. Mai avuto una simile sensazione di presa, di trattenimento. La stretta di mano rassicurante di un accogliente amico.
Sembrava riporre il cazzo dentro una guaina morbida, avvolgente e a compressione graduata. Sosteneva il pene durante il movimento, come mano esperta.
Egli avvertiva se stesso come saldamente inserito dentro. Si abbandonava come un cucciolo nel cullarsi delle ondulazione, a tratti lente, a tratti veloci.
In quei momenti, per odiosa reazione, emergeva la sensazione sgradevole che spesso aveva ricevuto penetrando altre, non tanto a causa degli attriti - quella rinvigorivano l'erezione - quanto invece il contrario, l'entrare senza sentire, lo scivolare in una sostanza indefinita. E così finiva con lo scivolare in considerazioni banali: spesso le donne, pensava, anche quelle più “navigate” non sanno fare l'amore. Spingono in posti sbagliati il loro bacino, convinte di far bene: invece di dimenarsi come sarebbe meglio che stessero ferme!

Invece Loredana era perfetta. Aveva l'esatta cognizione della posizione del corpo del suo amante e sapeva con precisione millimetrica spostarsi nel punto giusto, ricevere la spinta e agevolare il cammino.
Ma, più di tutto il resto, quel che più di ogni altra cosa le riconosceva era la perfetta elasticità della sua vagina. Era fatta per fare l'amore.
Chissà se accadeva anche con gli altri. Magari no! Era l'unico con il quale si creava quella magia?

Lei amava i suoi amanti.
Non erano molti. Pochissimi, riservatissimi. Sapevano l'uno dell'altro e la amavano. Finirono per conoscersi, ebbero persino l'idea di farle un regalo tutti insieme: una bella orgia con tanto di sorpresa. Lei bendata e inconsapevole. Ma lei andò su tutte le furie.
Fu l’offesa peggiore che le avessero potuto fare. Solo maschi pieni di sé! Fu scoraggiata dall’impossibilità di renderli consapevoli: inutilmente azzardò una spiegazione: "Pensate che io sia una cagna in calore? Una donna in preda alla ninfomania? Una sfigata che usa che si fa fottere per essere considerata da voi? Guardatevi: sposati, fidanzati, ognuno con la sua vita "perbene", con il proprio vizietto nascosto, grazie ad una puttanella che li soddisfa! Non avete capito nulla! Io amo solo un uomo, quello con cui faccio l’amore ... mentre lo amo, punto! Fuori da quel “mentre”, siamo semplici persone che condividono momenti di vita, in una tenera amicizia e non è detto che io preferisca amare o vivere. Viviamo di momenti, attimi”.
In fin dei conti, pensarono loro, era una sorta di harem rovesciato, dove lei si concedeva a turno, amando fino in fondo, quell'uomo, quella notte, come fosse l'unico uomo che avesse amato per tutta la vita.

Tutto sommato a loro andava bene: amanti con una propria vita ufficiale, famiglia e lavoro... era una tacito accordo.

Amare è un rifugio irrinunciabile della solitudine affollata dalla quotidianità. Ma amare è anche una illusione che vive nello spazio di un mattino in attesa che il sole si affacci.

Era bella. Giovane e colta. Un lavoro del tutto rispettabile, con responsabilità di rilievo. Donna in carriera, appena oltre la trentina. Capelli lunghi, leggermente mossi. Di un nero così intenso che sembrava irreale, ma non erano tinti. I suoi occhi facevano capolino fra un ciuffo e l'altro, neri e scintillanti, con bagliori che lasciavano incantati. Loro, i suoi pochi amanti, avrebbero di certo desiderato possederla del tutto. Ma lei, era talmente bella, che rischiare di perderla per avanzar pretese non era assolutamente preso in considerazione. Così si erano convinti a “convivere”. Finendo anche per stimarsi, nelle loro diversità.
A volte era capitato di frequentarsi, di comune accordo, fuori dal menage erotico-sentimentale. Lei era stata impeccabile, era semplicemente una di loro, anzi, cercava di non “apparire”, si vestiva in modo tale, per quanto possibile, da annullare la sua avvenenza. Si comportava come un maschiaccio. Addirittura incitava i suoi compagni quando passava una sventola.
Simpatica e allegra in comitiva, nel privato era la donna ideale: sapeva esattamente cosa fare quando uno di quei suoi uomini si “ammalava” d'amore. Lo amava, lo amava talmente tanto che a lui non poteva mancare nulla di lei. E lo amava talmente bene, che a lui l'idea che altri la facessero godere, sembrava non solo sopportabile, ma addirittura auspicabile. In ogni maschio si cela un fondo di generosità che, di rado, emerge dall'istinto del possesso.

L'amore si rinnovava. Generosa, sapeva darsi con esclusività. Generosa e vitale, affascinante e austera, nessuno avrebbe osato chiuderla in una gabbia. Sincera, onesta, pura, cristallina come l'acqua. Loredana non riusciva ad essere pienamente che sé stessa e non sentiva il bisogno di celare nulla. E mostrava una totale indifferenza per la vita privata ed ufficiale dei suoi amanti: per lei era un principio irrinunciabile di libertà e rispetto assoluto. Odiava ogni barlume di morale sociale, convenzioni perbeniste, considerazioni che non fossero la completa libertà dell'individuo nella ricerca del proprio piacere nel rispetto del piacere altrui.

Sandro pensava a tutto questo in quel momento. La mente gli si affollava. Si rendeva conto di ammirarla e di ... amarla. E allo stesso tempo capiva che non sarebbe mai stato capace di conquistarla totalmete.
E si muoveva in lei, guardandola negli occhi.
Durante l'amplesso il suo fisico corpulento affondava: delicato e perfetto, con una gravità lenta, e lei godeva di quel peso, senza sentirsi oppressa. Al contrario, spesso lo tratteneva a sé, abbracciandolo forte, trattenendo sul corpo accogliente un enorme bimbo inconsolabile, come tesoro da proteggere, assaporando il gravare di lui: facendosi giaciglio.
Come non amarla. I baci scendevano a pioggia, fitti, quasi in cerca di parole per ringraziarla. Altre volte si fermava per baciarle delicatamente le labbra. Anche il bacio dell'amata era così suadente, così tenero e avvolgente. Le labbra si schiudevano lentamente, piano.

Forse era l'amore, forse la voglia di ricambiare la generosità, forse solo semplice perversione, ma adorava stare con la testa fra le gambe di lei e il viso appoggiato sul suo pube, le labbra incollate alla vagina.

Indugiando sulle delicate pieghe irrorate di sangue pulsante un vago frescore di umido si manifestava pudico e timido.
Non riusciva a trattenere la propria lingua dal profanare quello scrigno delicato, quella cella colma di miele. Felice e incredulo, la foga lo prendeva nell’immergere la lingua, dentro di lei, nel baciare succhiare, soffiare, odorare, muoversi: il pube era elastico e molle, consistente e delicato, una contraddizione irrisolta, ma ricca di piacevoli dubbi da sfogliare, interrogare. Esagerava.
Eppur si sforzava, imparava da lei come baciare. E attendeva. Finché non arrivava. Finalmente sentiva la punta della lingua solleticarlo. Da lì a pochi secondi... prima un mescolio di acque selvatiche... poi una tempesta in mare aperto, con onde che si alzavano e ricadevano pesantemente, avvolgendosi e inseguendosi. Gli occhi, aperti, si inseguivano, si sfidavano, si cercavano, si scrutavano il resto del volto. E i corpi avviluppati come le lingue, si incollavano in un unico nervo martoriato dal piacere, dalla voglia di essere dentro l'altro, di avere dentro l'altro.
Lei non aveva orgasmi, così diceva. Eppure il suo continuo godimento continuava, il piacere sembrava salire sempre di più. Ma poteva durare in eterno se la fatica non sfinisse i muscoli.
Lui si fermò.
Le si staccò e l'ammirò.
Le disse di girarsi a pancia in giù.
Lei obbedì senza obiezione.
Le pose un cuscino sotto il bacino. Lei agevolò, capendo le intenzioni. Un sorriso pieno di amore gli lanciò con la testa reclinata sul letto guardandolo sottecchi. Il lampo dei suoi occhi fu una scossa che invigorì il desiderio di lui. Fece scendere un fiotto di saliva. La saliva scendeva fluida e copiosa fra le natiche di lei e si depositò come in una vaschetta, esattamente sopra l'ano. Come fosse un'acquasantiera.
Le si mise a cavalcioni, i suoi testicoli poggiavano su lei e il tatto era piacevole. Le puntò il cazzo dritto dentro l'acquasantiera immergendolo piano, lento, ma inesorabilmente. Lei respirò profondamente. Non disse nulla. Il cazzo scese, dentro. Scivolò, lento. Avanzò dentro lei. Gli occhi si chiusero. I polmoni si gonfiarono. Lui protese le braccia per poggiarsi, ai lati della testa di lei. Lo chiamò per nome e afferò i polsi proprio sopra le mani spiaccicate sul materasso. Gliele afferrò forte, man mano che sentiva la lama scenderle dentro la pancia. Sembrava infinito, sembrava dovesse continuare fino a doverle perforare tutto. Ma non le faceva male. Era un dolce penetrare, un dolce sentirsi aprire. Ma un tremore afferrò l’ansia di lei, un attimo di paura, come se la discesa dentro il suo corpo di quella spada non potesse più arrestarsi, giungere ad un punto di non ritorno.
Gli strinse i polsi fortissimo e lo chiamò forte per nome. “Ti fa male?” lui rispose. Lei non riusciva più ad articolare parola, scosse la testa per dire di no, ma strinse ancora più forte i polsi.
Sandro avvertì nettamente la stretta ai polsi: cielo! Che bella sensazione gli regalava quella presa stretta. Affondato con il cazzo tutto dentro di lei, sentiva il suo vigore, la sua voglia irrefrenabile guidarlo. Non più padrone del suo desiderio, ma come ramo sbattuto dal vento iniziò a scoparla con foga, sentendo i gemiti improvvisi e strozzati della sua amata.
Finché lei non gridò di fermarsi che non ce la faceva più, e lui, copiosamente venì, abbattendosi su lei, baciandola con infiniti baci, sulla testa, incontinente di gratitudine. Poi fu il silenzio. L'alba era ancora lontana.
… “Dolce notte amore mio!”
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