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SMDG - Un' inculata veramente liberatoria


di LuogoCaldo
05.05.2024    |    8.579    |    13 9.5
"Il frocio si stava rifiutando di manifestarmi la devozione che gli chiedevo..."
Diedi disposizioni alla segreteria di far attendere Flavio Orsini, il dipendente che mi aveva spompinato la sera precedente, perché la vigilanza aveva segnalato con massima urgenza lo svolgimento di attività anomale potenzialmente dannose.
Guardai il filmato con interesse e, benché ritenessi che il mio intervento, per la gravità di quello che potevo constatare, non dovesse essere rimandato, decisi di non deviare dal piano che, in quel momento, rappresentava per me la priorità assoluta: distruggere Giovanni Mancini.
Avevo incontrato il figlio di puttana ormai quasi un anno fa ad una cena di beneficenza a casa di una riccona che, dopo un paio di pompini, ci teneva già tantissimo a presentarmi a tutti i suoi amici e sono certo che la conoscenza di un tale pusillanime, goliardico e tronfio di sé, mi sarebbe rimasta indifferente se, nella medesima occasione, non avessi intercettato anche la mia anima gemella che, guarda caso, era sua moglie.
Non sono il tipo che prova interesse per le donne altrui ma, in quella particolare circostanza, non so proprio cosa mi prese perché rimasi folgorato dal fascino raffinato e sensuale di quella creatura: bella come un angelo e seducente come il demonio, Anita Olivieri, di professione impiegata di banca, semplicemente mi rubò cuore e, con le sue poppe dure e il culo alto e tornito, ipotecò tutte le mie future erezioni.
L’ho corteggiata con discrezione e mi ci sono volute settimane prima che acconsentisse a concedermi un fugace appuntamento nel caffè più defilato della città, un tugurio lurido e fetente gestito da una vecchia cinese che doveva aver fatto i soldi svendendosi la figa.
Ricordo che era timida e impacciata, intimorita dalla levatura del personaggio che le stava dedicando così tante attenzioni.
“Giovanni mi aveva parlato di te come di un uomo potentissimo, uno che sul lavoro può fare il bello e il cattivo tempo, e onestamente non sapevo proprio cosa aspettarmi”. Mi aveva confessato più tardi.
Ma io me l’ero lavorata a puntino, le avevo fatto capire che, dopo tre fallimenti matrimoniali alle spalle, ero perfettamente in grado di riconoscere l’amore vero e che per nessuna delle donne con le quali ero stato avevo provato un sentimento così autentico.
“Penso di aver vissuto nell’ attesa che arrivassi tu ”. Avevo concluso.
E così, dopo molta insistenza, tante scatole di cioccolatini e fiori di ogni tipo, una sera Anita mi chiamò in lacrime, confessandomi che, in ragione del “mio modo di fare”, tutte le certezze della sua vita erano vacillate.
“Sono in difficoltà”. Mi disse. “E sospetto che quel porco di mio marito mi stia tradendo con la sua segretaria. Voglio dire: non ho nessuna prova, ma ho letto dei messaggi che mi sembravano troppo affiatati per essere riconducibili ad un semplice rapporto di colleganza e comunque mi ha appena chiamato per dirmi che farà tardi ed ormai succede praticamente ogni santo giorno … Non puoi capire come mi sento, Ale, è una vecchia, cristo santo, una troia che ha le ragnatele nella passera e che l’anno prossimo se ne va pure in pensione. Non ci posso credere e non so proprio cosa fare!”.
Ero sicuro che il puttaniere si stesse bombando la nonna per qualche mero interesse professionale, magari per persuaderla a continuare a lavorare seriamente fino all’ultimo giorno, ma colsi l’occasione per infierire sulla pochezza e inadeguatezza dell’uomo che s’era scelto al suo fianco a confronto del servitore devoto che avrebbe potuto trovare in me.
Così, dopo oltre due ore di conversazione, montai in auto nel cuore della notte, la raccolsi sotto casa sua, guidai la Mercedes fino al parcheggio poco illuminato che si trovava appena dietro al condominio in cui abitava e lì, finalmente, mentre lei piangeva devastata per l’infedeltà del marito e l’andamento vacillante dei suoi sentimenti, ne approfittai per insinuarle la mano sotto la gonna.
“Cosa fai? Dai, non ora, non posso ...”. Esclamò poco convinta senza neppure cercare di fermare le dita che risalivano il tessuto del perizoma che certamente non s’era infilato con l’intenzione di restare in casa.
Mentre la toccavo il cielo s’era ingolfato di nubi pesanti e, tra le luci dei lampi e i boati dei tuoni, iniziò a cadere una grandine selvaggia che tramutò il nostro squallido ricovero in un caldo e sicuro nido d’amore, sicché, sotto al rumore assordante dei chicchi che percuotevano l’automobile, ormai sicuro che sarei arrivato a meta, ne approfittai per reclinare il sedile del passeggero e montarle addosso, e me la scopai con tutta la passione che avevo accumulato in quelle settimane di corteggiamento.
“Hai una bestia tra le cosce”. Mugolò Anita quando le fui dentro e cominciai a spremere le poppe che avevo sognato per così tanto tempo.
“È meglio di quello di tuo marito, vero?” Le domandai.
E mentre la sbattevo con determinazione, gareggiando in prepotenza con il ghiaccio che cadeva dal cielo, la sentii godere più di una volta sotto ai colpi decisi del mio bacino fino a che, a mia volta soddisfatto, non mi svuotai i coglioni dentro la sua topa, sussurrandole che l’amavo come non avevo mai amato nessun’altra prima di lei.
Le promisi che l’avrei aiutata a distruggere il marito.
“Così posso abbandonare quello stronzo senza rischiare l’addebito della separazione. Guarda, mi fa proprio schifo, sono certa che si tromba quella vecchia, ormai col cazzo che mi faccio scopare, mi invento che ho la cistite praticamente tutte le volte che ha voglia di fottermi”. Mi disse.
Escogitai subito un piano infallibile, ma mi ci vollero del tempo e un bel po' di richieste di favori prima di poterlo attuare, fino a che, grazie al sostegno di un’influente politica alla quale non disdegnavo, ogni tanto, di sollazzare la passera, non riuscii a farmi assegnare l’incarico di vertice nell’azienda dove il figlio di puttana svolgeva la funzione di responsabile di divisione.
Nella logica di guerra del “divide et impera!”, avevo ben chiaro che, per ridurlo in rovina, avrei dovuto mettergli contro i suoi stessi collaboratori, così, col pretesto di un giro di colloqui che avrebbe coinvolto tutte le divisioni della struttura e dopo aver chiesto ad Anita di inscenare un malore e richiamare il fedifrago a casa per togliermelo dalle palle, riuscii ad intercettare il ragazzo che lavorava con Giovanni, un tal Flavio Orsini.
Il ragazzetto che mi si parò dinanzi era una nullità di rara inettitudine, a stento capace di articolare un discorso di senso compiuto sulle poche mansioni assegnategli in ufficio, uno di quei frocetti al primo impiego che si presentano in ufficio col culo strizzato nei calzoni attillati con la speranza che il capo glie lo guardi.
Non capii subito cosa farmene fino a che non mi ricordai dell’inclinazione di Giovanni ad avvicinarsi ai suoi collaboratori per guadagnarsene la fiducia, sicché, vincendo a stento la ritrosia, non decisi che era il caso di precederlo e giocare con le sue stesse armi offrendo al ragazzo, in cambio della sua fedeltà, i medesimi vantaggi che sicuramente gli avrebbe offerto lui.
“Del resto”. Mi dissi mentre me lo ritrovai in ginocchio tra le cosce che mi aspirava l’uccellone come un’ idrovora. “Questa minchia gli ha già soffiato la moglie e questa minchia gli farà pure perdere il lavoro”.
E la troia non succhiava neppure male tant’è che, concedendomi un piccolo fuori ruolo rispetto a quanto avevo previsto, mentre venivo abbandonai il lei e mi lasciai sfuggire un decisamente meno abbottonato: “Cazzo, bravo. Pulisci tutto con la lingua, si … così, bravo, bravo …”
Dunque, con i coglioni svuotati, liquidato il ragazzo con suo evidente disappunto senza neppure avergli voluto sfondare il culo, riflettei bene sulle possibilità e l’indomani mattina, come prima cosa, gli inviai una e-mail.

Buongiorno Flavio,
spero che lei saprà approfittare delle opportunità derivanti dalla promozione.
La invito a procedere secondo le indicazioni ricevute e, alle diciannove di stasera, ad intervenire in riunione nel mio ufficio, con la raccomandazione di non fare menzione dell’incontro con gli altri colleghi salvo che con il suo responsabile diretto, il dott. Giovanni Mancini.

A più tardi,
Alessandro Fiore

La verità è che mi era salita una voglia incredibile di rompere il culo a quella puttana sicché, messa da parte la segnalazione della vigilanza, autorizzai la segreteria a farlo accomodare.
“Buonasera direttore”. Mi salutò lui con una deferenza che trovai stucchevole. Indossava dei calzoni marroni di un taglio che, per la forma, gli bombava il sedere.
“Buonasera, Flavio”. Risposi facendo finta di non interrompere le mie occupazioni. “ Si avvicini alla scrivania, qui, accanto a me”.
Il ragazzo si fece accosto e, quando si fu accomodato alla mia sinistra, mentre scarabocchiavo l’agenda, gli chiesi se avesse riflettuto sull' offerta e se qualcosa degno di nota fosse accaduto quel giorno in ufficio. “Del suo responsabile”. Precisai. “Cosa pensa, in particolare? Le sembra una persona affidabile?”.
Lui mi parve in difficoltà, farfugliò qualcosa sulle doti di Giovanni, sulla sua non sostituibilità nel progetto da sottoporre agli investitori. “Meriterebbe forse di essere maggiormente coinvolto”. Aggiunse.
Lo guardai insospettito.
“Sembra proprio interessato”. Lo pungolai. “Devo forse essere geloso, Flavio?” Chiesi, mentre appoggiavo la mano sul suo sedere.
Quella troia avrebbe dovuto schierarsi dalla mia parte, non certo venire a tessere le lodi del marito della mia amante.
“Ma no certo”. Farflugliò lui mentre gli abbassavo con decisione l’elastico dei calzoni e gli infilavo le dita su per la fessura delle chiappe.
Era umida e larga, come se qualcosa ci fosse passato da poco. “Che puttana, t’hanno slabbrato”. Pensai.
“Forse non ci siamo capiti Flavio”. Proseguii alzandomi dalla sedia e disponendo il ragazzo a novanta sopra alla scrivania. “Lei non è qui per darmi consigli sul personale, ma per registrare situazioni anomale che possano minacciare il buon andamento dell’azienda e riferirmele”. Mi slacciai la cintura, abbassai la zip e ne estrassi il minchione già bello rigido.
Avevo veramente voglia di ingravidarmelo ma desideravo anche che comprendesse quali erano i rapporti di forza in quel momento, così, senza avvisarlo, mentre il silenzio intorno s’era colmato dei suoi sospiri eccitati, gli rovesciai il palmo della mano sul sedere con tutta la violenza di cui ero capace.
“Cazzo!” Esclamò.
“Ha capito bene Flavio?” Insistetti, mentre quello, urlando, cercava per riflesso di tornare eretto incontrando la resistenza del gomito che gli premevo contro la schiena nuda.
“Questo non è un gioco Flavio”. Dissi severo mentre gli infilavo la minchia di ferro su per il retto.
“È proprio così”. Pensai mentre facevo scivolare il pisellone come se lo stessi infilando dentro al burro. “Non ha fatto manco un fiato, s ’è appena fatto spaccare sto’ ricchione”.
Il ragazzo gemeva per il piacere che l’ingombro doveva provocargli.
“Ah, cazzo … quanto è grosso … cristo santo … Aaaaah”.
Ma io, mentre attivavo la pompa, cercavo di metterlo a tacere, per il timore che qualcuno potesse sentirci. “Zitto, troia … Ti sei fatto appena sfondare eh? Da chi? Dimmi chi è stato. C’entrerebbe pure un treno qua dentro, ah … che figa ...”.
Un’ombra di imbarazzo gli attraversò il viso.
Non mi rispose, ma si limitò ad appoggiare la fronte sulla scrivania e ad inarcare la schiena per godersi appieno i miei colpi di reni.
Ero contrariato. Il frocio si stava rifiutando di manifestarmi la devozione che gli chiedevo.
“Ti ho fatto una domanda”. Insistetti assestandoglielo più in profondità.
“Ah … Nessuno”. Disse lui a fatica. “È solo questo che voglio, ah … È bellissimo, non sono mai stato scopato così forte, lo sto sentendo tutto fino a dentro alla pancia … La prego non si fermi, cazzo, si … ce l’ha di ferro … mi faccia venire qui dentro ogni sera … la prego, la prego … ah … voglio essere la sua troia … si …”.
“Solo mia però”. Ordinai avvertendo i coglioni gonfiarsi per il piacere.
“Giuro” Replicò lui febbrile. “Giuro … si, si …”.
Mi eccitò così tanto che gli ghermii i fianchi come se fossero le carni di una giumenta e, con le dita strette attorno alle natiche, iniziai a spingere con maggiore decisione, facendo leva sulle grosse cosce per caricare affondi sempre più potenti.
Flavio perse il controllo e cominciò a strillare come un animale mentre io, insensibile alle sue richieste di rallentare, continuai a colpirlo di bacino, compiacendomi ad ogni rimbalzo dei coglioni sopra al culo, fino a che, sentendo che stavo per venire, non lo afferrai per i capelli e, tirandolo verso di me, non gli esplosi dentro alle viscere.
Restammo in quella posizione per qualche secondo: un ragazzino nudo tra le braccia di un uomo elegante che se lo avvicinava trattenendolo per la nuca e gli accarezzava voluttuosamente la pancia, soffiandogli dentro ad un orecchio la coda di un orgasmo.
Poi, quando le ultime scariche di elettricità si furono consumate, lo strattonai lontano da me, facendolo cadere sopra alla scrivania, e gli ordinai di rivestirsi.
“Spero le sia più chiaro quale è il suo ruolo qui dentro. In ogni caso lo capirà”. Conclusi asciutto mentre, congedandolo, sostenevo il suo sguardo interrogativo.

Prima di uscire dall'ufficio telefonai ad Anita.
“Amore”. Le dissi. “ Preparati che stasera ti porto a festeggiare la libertà”.
E dopo averle rapidamente spiegato quello che era successo visionai ancora una volta il file che l’addetto alla vigilanza mi aveva inoltrato e chiamai la segretaria per avvertirla che avrebbe dovuto trasferire su carta intestata la nota che le stavo per trasmetterle.
Iniziai dunque a scrivere.

Gentilissimo,
alla luce del comportamento rilevato dalle telecamere di sorveglianza dell’azienda le comunico che non posso più avvalermi della sua collaborazione.
Riferisco dunque di voler recedere dal rapporto di lavoro subordinato tra noi intercorrente con effetto immediato.
Il trattamento di fine rapporto e le altre competenze saranno corrisposti con la liquidazione dell’ultima retribuzione dovuta.
04.05.2024
Alessandro Fiore

Inviai.

Poi, dopo qualche riflessione, ricontattai la segretaria e le specificai che avrebbe dovuto predisporre non una ma due copie, intestandole all’attenzione di Giovanni Mancini e di Flavio Orsini.
"Recuperi i contatti dall'anagrafe aziendale". Conclusi asciutto per mettere a tacere qualsiasi domanda.

Così, dopo aver firmato le intimazioni di licenziamento, indossai il trench e, soddisfatto della rapidità con la quale avevo risolto quella pratica, m’avviai all’appuntamento con Anita.
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