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Io e la Vale (1)


di Claire1980
10.09.2024    |    3.370    |    10 9.9
"L’infedeltà oggi è più comune dei selfie..."
Prologo
Il momento preciso in cui la mia vita ha subito quello che i manuali di psicologia chiamerebbero shift epistemologico – un cambiamento radicale, tanto per essere chiari, nella percezione del mondo o di te stesso, o più probabilmente di entrambi – è stato quel giorno in cui mio marito mi ha confessato quel suo desiderio perverso di vedermi con un altro uomo. Una fantasia insistente e cristallina che aveva coltivato come una pianta carnivora a cui dai da mangiare non perché ti piace ma perché ti inquieta.

Ora ditemi: quale tipo di donna non vorrebbe un compagno di vita che la ama esattamente per quello che è, con i suoi difetti, le sue bizzarrie, le sue debolezze, i suoi complessi? Che la stimi a tal punto da concederle la libertà di esprimere sé stessa come meglio crede, e con una tale assenza di barriere che potrebbe essere percepita, e qui sta il problema, non tanto come libertà quanto come un abisso infinito in cui puoi precipitare, se non sai come gestirla?

Vi siete mai chiesti cosa significhi gestire la libertà? La risposta è che non esiste una risposta semplice. La libertà, come tante altre cose nella vita (tipo i desideri perversi di tuo marito), è un concetto che tende a sgretolarsi quanto più tenti di afferrarlo.)

Io mi considero una donna fortunata. Perché oltre ad avere un marito assertivo, ho una persona con cui posso confidarmi. Permettete: oggi vi voglio parlare della mia amica Vale.

1
“Oh, Vale, hai sentito dell’ultimo pasticcio di Laura?"
"..."
"L’hanno vista con il migliore amico di suo marito.”
“Ah. Non è che mi stupisca, Chiara. L’infedeltà oggi è più comune dei selfie.”
“A me sembra che tradire il partner sia un po’ come tradire l’idea stessa di impegno.”
“Impegno? Ma dai, chi ha tempo per queste cose? In un mondo dove tutto è ‘usa e getta’, la fedeltà è solo un bel nome per una gabbia.”
“Una gabbia? Non sarebbe meglio avere qualcuno su cui puoi contare e che ti rispetta? Cambiare partner come se fossero scarpe mi sembra un po' eccessivo.”
“Se il tuo partner è più noioso di una partita a Risiko, perché non cambiare canale? È come cambiare col telecomando quando il programma fa schifo.”
“Io penso che ci debba essere qualcosa di più profondo in una relazione. Ma forse sono solo una romantica fuori tempo massimo.”
“O forse stai cercando di tenere in vita un modello che è già obsoleto. La vita è troppo corta per non divertirsi un po’, no?”
“A proposito, Vale, sai cosa mi ha confessato mio marito?”

Valentina e io siamo amiche da sempre, da quando eravamo ragazzine. Conosciamo ogni segreto l’una dell’altra, e non è mai stato un mistero che lei non avesse mai preso il matrimonio sul serio. L’idea di essere fedele le appare quasi comica, un vincolo da infrangere, un limite da oltrepassare senza remore.
Non c’è tradimento che non abbia già messo in scena. Suo marito? Un burattino inconsapevole, con la testa cinta di corna così grandi che non so come fa a passare dalle porte di casa. Lei? Sempre pronta a fare una nuova conquista, non fa altro che saltare da un’avventura all’altra, come se fosse in una continua sfida contro la noia.

C'era stata quella volta in particolare di cui voglio raccontarvi.
“Ehm Chiara, ti volevo chiedere... Domani mattina tuo marito lavora?”
“Come tutte le mattine.”
“Mi presti casa tua?”
“Ma sei fuori? E per quale motivo? Hai intenzione di fare una festa privata?”
“Esattamente. Solo che il ‘privato’ è un po’ più… intimo.”
”…”
“Solo un favore dai...”
"..."
“Tu potresti assistere!”
“Ossia? Vuoi che ti faccia da pubblico mentre il tuo ragazzone di turno ti scopa?”
“Se ti va, puoi pure prendere appunti e commentare. Ci scrivi una delle tue storie, dai!”
Avevo tentato di oppormi, ma Vale è una forza della natura, capace di piegarti al suo volere con la sola potenza della sua sfacciataggine.
E così, quella volta, non solo l'avevo lasciata usare casa mia per il suo incontro, ma, peggio ancora, mi aveva convinta a restare e a guardare.
“Dai, sarà divertente,” aveva detto, con la stessa naturalezza con cui mi avrebbe chiesto di uscire per un caffè.

Quella mattina, presto, Valentina si presentò a casa mia con la sua macchina, frizzante e allegra come sempre. Io ero ancora mezza addormentata, ma lei non perse tempo.
“Andiamo,” disse, e io mi infilai in macchina, senza neanche sapere bene cosa mi aspettasse. Ci dirigemmo verso la palestra, quel posto dove passavamo un’ora a illuderci che stessimo migliorando, che stessimo scolpendo i nostri corpi, quando in realtà non facevamo altro che sfogare la frustrazione della vita coniugale in esercizi meccanici e ripetitivi.
Lì ci aspettava Gabriele, il suo personal trainer, un ragazzo giovane, sui vent'anni, il tipo che una come Valentina avrebbe potuto divorare in un boccone senza nemmeno fare un rutto. Era bruno, in forma, con quel sorriso malizioso stampato in faccia, come se sapesse esattamente il potere che aveva sulle donne che seguiva. Non era magro, ma neanche troppo muscoloso, una via di mezzo perfetta, un corpo che suggeriva piacere senza risultare minaccioso. L’allenamento durò circa un’ora. Vale si era impegnata come mai la vedevo fare: flessioni, pesi, addominali, con una dedizione che non le avevo mai visto nemmeno quando andavamo a fare shopping con la carta di credito dei nostri mariti.

Alla fine, Gabriele ci elogiò, quasi con un tono paternalistico, come se fossimo due bambine diligenti. Ci propose una centrifuga al bar della palestra e lì, sotto il mio naso, organizzarono tutto. Non c’era stato bisogno di parole esplicite, bastavano gli sguardi, i sorrisi, i movimenti sottili che tradivano un’intesa che si era già formata senza che me ne accorgessi. Il gioco era fatto prima ancora che potessi rendermene conto.
Quando andammo in bagno, Valentina mi prese da parte.
"Tu aspetta qui, io vado a casa tua, ti mando un messaggio quando è il momento,” disse, guardandomi attraverso lo specchio, “rimani lì, e ti godi lo spettacolo dal vivo.”
Stavo per dirle che no, che non avevo intenzione di partecipare a quell’assurdità, ma lei continuò a parlare come se non avesse sentito una parola delle mie obiezioni. La frana Valentina si era già innestata, stava rotolando a valle e io non potevo fermarla.
Con un misto di disgusto e curiosità, cedetti. Le diedi le chiavi di casa, come una sciocca, e attesi al bar il messaggio che mi avrebbe invitato a tornare. Tornare a casa mia, alla mia vita, per assistere alla sua scopata...

Nemmeno trenta minuti, squillò il telefono e Valentina, con la sua solita leggerezza, mi disse che tutto era pronto, che potevo assistere allo spettacolo. Ero lì, con il cellulare ancora in mano, e in una frazione di secondo decisi di seguire questo assurdo copione. Presi un taxi e mi diressi verso casa, tra la sensazione di star facendo qualcosa di completamente sbagliato e quella di attraversare una soglia che non avevo mai immaginato di varcare.
Quando arrivai, la porta è già aperta. Non c'era bisogno di bussare, tutto era preparato per il mio ingresso furtivo. Entrai in casa con una calma apparente, dentro di me sentivo la tensione montare. Come un rituale, per entrare in questo nuovo mondo di voyeurismo assurdo e perverso, mi tolsi le scarpe da ginnastica e camminai in punta di piedi, cercando di non fare rumore, come se mi stessi addentrando in un tempio sacro.
Appena arrivai nel soggiorno, sentii gli inequivocabili gemiti. Forti, intensi, senza alcun tentativo di moderazione. Vale non si tratteneva, e nemmeno Gabriele, il personal trainer che, per la differenza d’età, avrebbe potuto benissimo essere suo figlio. Mi nascosi dietro la colonna, proprio nel punto in cui la stanza forma un angolo a “L” che mi permetteva di avere una visuale perfetta senza essere vista.
La stanza era il l'impeccabile riflesso dei miei gusti: il mio divano Roche Bobois, il mio quadro di Kathleen Goncharov, finalmente appeso alla parete, e la libreria che ospitava i miei amati postmoderni: Foster Wallace, Pynchon, Gaddis, Barth. Ma a dominare la scena, in modo colorato, erano i loro corpi nudi, che sembravano prendere il posto di ogni altro elemento d’arredo.

Gabriele era tra le gambe della Vale, sudato, concentrato, spietato. La mia amica teneva le gambe sollevate, le ginocchia piegate, la postura di chi è abituata a questo tipo di ginnastica, anche se stavolta non si trattava di esercizi di stretching o pilates. Gabriele spingeva, forte, profondamente, con una ferocia quasi animalesca, come se volesse scavare dentro di lei, come se il corpo della donna fosse una sorta di ostacolo da abbattere, una resistenza fisica da superare. E Valentina? La Vale urlava. Ma non erano semplici gemiti, non è il tipo di suono che ti aspetti in una scena di sesso normale. No, erano urla quasi isteriche, frenetiche, come se stesse rincorrendo una scarica elettrica di estasi che rischiava di far saltare il contatore, come se ogni spinta di Gabriele la frantumasse e la riassemblasse in un lampo di dolore e delirio.

Le loro figure si muovevano come in un ritmo meccanico, implacabile. Lui colpiva, lei rispondeva, e il ciclo si ripeteva all’infinito, la macchina ben oliata di due corpi nati per fare sesso, che sanno esattamente come funzionare. Ma c’era qualcosa di surreale in tutto questo, qualcosa di slegato dalla realtà, come se la scena fosse distorta, come se fossi finita in un’altra dimensione dove tutto è amplificato, dove ogni respiro, ogni gemito, ogni movimento del loro corpo nudo si trasforma in un atto di violenza coreografata. Loro lo sapevano! Avevano allestito lo spettacolo sapendo che avrebbero avuto un pubblico.

Spinta da una tensione sessuale accumulata da anni di sesso benedeucato con lo stesso uomo, persi il controllo. La mia mano iniziò a muoversi da sola, è scivolò giù, oltre il bordo dei leggings, finché non trovò quel punto di calore, quella fessura umida e invitante che sembrava supplicare un minimo di attenzione. E io, come se rispondessi a un richiamo irresistibile, iniziai a soddisfare la sua richiesta. Le dita erano delicate, esitanti all'inizio, ma non ci volle molto perché trovassero il ritmo, la sincronia con quello che stava accadendo dall’altra parte della colonna.
Le sensazioni si fecero sempre più intense, ogni fibra percorsa da un brivido, un’esplosione di variazioni da un caldo avvolgente a un freddo elettrizzante. Le labbra, morbide e bagnate, risposero con una reazione immediata, accogliendo e adattandosi ai miei movimenti con un’armonia che sembrava musicale.
La clitoride, nascosta sotto il cappuccio, si rivelò una sorgente di stimoli esplosivi, un punto focale di piacere che amplificava ogni contatto. Le sensazioni si intrecciarono e si moltiplicarono, creando un mosaico di piacere sconvolgente e irresistibile. Un fuoco che brucia lentamente, ma che ebbe il potere di incendiarmi completamente.
E poi arrivò. La prima scarica elettrica che mi attraversò il corpo come un fulmine, costringendomi a trattenere il respiro, a mordermi il labbro inferiore per non urlare, per non denunciare la mia presenza in quella scena voyeuristica, in quel teatro perverso in cui mi ero inconsapevolmente ritrovata a giocare il ruolo di spettatrice segreta. Ma quel primo orgasmo non fu l’unico. Ne seguirono altri, uno dopo l'altro. Non avevo mai provato un piacere così intenso in solitaria, mai. Non avevo bisogno di nessuno. Solo il mio sguardo su di loro, il corpo di Gabriele che colpiva la Vale con la precisione di una macchina, il modo in cui le loro figure si contorcevano e si flettevano; tutto era collegato in un unico circuito, una sinergia perfetta tra me e loro. Stavo lì, nascosta, godendo tanto quanto loro.

Seguendo un copione scritto appositamente per loro da qualche dio del sesso, cambiarono posizione. Gabriele si mosse con una fluidità atletica, passò dal classico missionario alla pecorina, e Valentina si piegò in avanti, come se fosse programmata per riceverlo in quella nuova configurazione. E quando pensavo che il ritmo non potesse intensificarsi, Vale cambiò ancora. Salì sopra di lui, cavalcandolo come una donna che sa esattamente cosa vuole e come ottenerlo, come una regina che si appropria del suo trono. Gabriele la afferrò per la vita, con la forza di un uomo deciso a imporsi, e spinse il suo strumento con precisione brutale, profondamente dentro di lei, fino al momento finale, quando il suo corpo si irrigidì, e tutto culminò in un’esplosione che sembrava più il grido per battaglia vinta che un semplice atto sessuale.

Il momento in cui Gabriele spruzzò dentro la mia amica scatenò il mio punto di rottura. Potevo quasi sentirlo, come se quella scarica mi attraversasse. La Vale tremava, piegata sopra di lui, completamente esausta, il suo corpo inzuppato, sconfitto dal piacere, il volto trasfigurato in un'espressione che oscillava tra la soddisfazione estrema e l'abbandono totale. E io, ancora nascosta, ancora silenziosa, con il cuore che martellava nel petto, sapevo di aver partecipato a tutto questo in un modo che non avrei mai immaginato, senza mai muovermi dal mio angolo ombroso.

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