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Giulia sottomessa ai colleghi


di AriannaeDioniso
01.09.2024    |    6.327    |    4 9.8
"Pierre, sulla cinquantina, ignorò la ragazza dagli assurdi vestiti informi e si chiuse dietro l'ufficio di Giulia..."
Nella puntata precedente
Giulia convince suo marito Loris a girare un film porno con un famoso regista, ma nel cast trova Tommaso, il suo viscido collega, e scopre la sua vera natura.

Oggi

Il plug infilato nel culo cominciò a vibrare, avvisando Giulia dell'arrivo di un sms. Ormai abituata, non ebbe problemi a mantenere la compostezza di fronte a Donatella, una stagista del primo anno nel dipartimento marketing, che espresse la sua ammirazione.
"Vedi, sei una donna così libera, ed è questo che mi affascina. Voglio dire, non ti curi di quello che dice la gente, vivi la tua femminilità senza riserve, senza mai arretrare. Ti vesti con abiti corti, scollature che lasciano poco all’immaginazione, e questo fa arrapare tutti, dannazione. E poi tutti quei ragazzi che entrano e escono dal tuo ufficio chiuso, ma che importa? Voglio dire, non so cosa facciano quei ragazzi quando chiudi la porta, e sinceramente non è affar mio. Ma ecco, sei una contabile, o qualcosa del genere, è normale che la gente venga qui. No, davvero, chi si lamenta e parla alle tue spalle è solo invidioso. Io ti sostengo al cento per cento, in ogni caso, e, francamente, vorrei avere il tuo coraggio."
Donatella, una feroce attivista femminista, somigliava in maniera assurda, quasi una goccia d’acqua, all’attrice Cristiana Capotondi , anche se più formosa. Considerando che le sue forme non corrispondevano bene all'ideologia che difendeva, le mimetizzava sotto abiti informi: un maglione sformato su un paio di jeans era il suo outfit abituale. Il suo ragazzo, come i suoi vestiti, rispondeva all'immagine che stava cercando di dare. Militante ambientalista no-global, barba e capelli lunghi, ovviamente sporchi, suonava anche la chitarra. Male, ma con cuore. Luca e Donatella erano una coppia che viveva nel secolo sbagliato. Ma tant'è, stavano bene assieme, e questo è quanto.

Il messaggio veniva da Pierre, diceva: “Arrivo tra 5 minuti. Fammi sapere se c'è un problema.”
Giulia decise di abbreviare il monologo di Donatella, che quando iniziava a parlare non si fermava più.
“Ascolta tesoro, non ho molto tempo adesso, ma vieni da noi stasera, se vuoi. Loris ci preparerà un piccolo aperitivo e potremo chiacchierare tra donne, ok?”
“Oh sì, è davvero carino. Mi darai lezioni di femminilità, beh femminismo, è lo stesso, lezioni sulla libertà di essere donna che, beh, sì, hai capito. Che bello, ci vediamo stasera!”
Respirò un'ultima volta lo strano e affascinante profumo dell'ufficio di Giulia, dilatando involontariamente le narici, incapace di identificare gli odori che aleggiavano nell'atmosfera.

Uscendo incrociò Pierre, che la squadrò dalla testa ai piedi, invano. Nessuna forma femminile era chiaramente rivelata. Tuttavia, i suoi sguardi non sfuggirono a Donatella che, mentre si allontanava, mormorò dentro di sé: "Brutto maiale, fottuto disgustoso brutto maiale".
Pierre, sulla cinquantina, ignorò la ragazza dagli assurdi vestiti informi e si chiuse dietro l'ufficio di Giulia.
“Mettiti in posizione, tra dieci minuti ho una riunione importante, prima devo svuotarmi le palle.”
“Si, signore.”
“Ho fretta!”
Giulia girò intorno alla scrivania e prese la solita posizione. Piegata, appoggiata a faccia in giù sul banco, si tirò su la gonna e abbassò le mutandine.

L'uomo tolse il plug con un ‘plop’ e lo diede alla donna che se lo mise tra in bocca tenendolo tra i denti.
“Faresti meglio a farmi venire velocemente, puttana.”
La afferrò per i fianchi e la scopò velocemente sena una minima delicatezza, come se si stesse masturbando.
“Ecco qua, tutto per te, stronza, prendilo su per il culo.”
“Oh si, signore. Grazie, grazie.”
Inarcò la schiena il più profondamente possibile per offrire all'uomo uno spettacolo migliore. Per accelerare l'orgasmo, come le era stato detto, ebbe l'idea di incrociare le braccia dietro la schiena, come se fossero attaccate l'una all'altra. Ciò ebbe un grande effetto su Pierre che le chiese di inginocchiarsi velocemente davanti a lui.
Poi gli afferrò i capelli, gli tolse il plug dalla bocca e finì di segarsi nella gola di Giulia, non indifferente al sapore del suo tunnel anale, che macchiava il cazzo dell'uomo. Scese fino in fondo. Solo un lucente velo beige macchiava il mento della donna, estendendosi in un sottile rivolo che danzava fino al suo petto.
“Ah cavolo, che bello! Puliscilo bene, anche le palle.”
Giulia si impegnò a lungo, tanto che pensò che Pierre avesse più tempo del previsto e desiderasse un nuovo servizio.
“Merda, adesso voglio svuotarmi nel tuo stomaco.”
Giulia, sentendolo arrivare, fece come se non avesse capito e continuò a leccarlo ovunque, anche sotto la pancia.
“Ascolta, tesoro, so che normalmente lo riservi a Tommaso, ma ti prometto che non glielo dirò.”
"Ma signore, se il signor Tommaso lo scopre, sarò punita", disse Giulia, aprendo i suoi grandi occhi supplichevoli.
“Dai, non fare la difficile, so che ti piace, apri bene la bocca, ti prometto che non dirò niente.”
Come Tommaso le aveva insegnato, si sdraiò supina sulla scrivania, con la bocca spalancata e inclinata all'indietro oltre il bordo, per assorbire quanto più possibile in una volta. Pierre si liberò dentro di lei, riempiendola fino all'orlo, lasciandole ingoiare l'enorme sorso prima di finire di schizzare e scrollare il suo cazzo nella bocca di Giulia.
Durante tutta l'operazione non aveva mai smesso di insultare Giulia, come per svuotare anche se stesso di una rabbia dalle radici profonde.

“Cosa voleva quella puttanella vestita da barbona che è uscita prima dal tuo ufficio?”, chiese Pierre riabbottonandosi.
“Donatella? Oh, beh forse è solo un'impressione, ma mi ricorda me stessa, di come ero prima... Avverto in lei un desiderio nascosto. Penso di poter... come dovrei dire... influenzarlo.”
“Influenzarlo?”
“Sì. Non per me ovviamente. Per te. Beh, per tutti voi intendo.”
“Non stai scherzando? Ascoltami attentamente, cagna. É per me che convertirai quella femminista del cazzo. La renderai la mia troia, ma mia docile troia. Dovrà diventare come te. Farai così, altrimenti dirò al tuo caro Tommaso che mi hai usato come orinatoio e poi ti divertirai…”
“Oh no signore, per favore. Ok, farò del mio meglio.”
“É meglio che tu ci riesca, altrimenti…”

Un mese prima.

Loris aveva fatto le cose bene. Aveva appoggiato sulla sedia ai piedi del letto un completo di lingerie firmato, regalato per lo scorso San Valentino, abbinato all'abito scelto da Giulia. Aveva trovato in cucina un'abbondante colazione. Un raggio di luce attraversò la caraffa di succo d'arancia spremuto e cadde su un bigliettino che diceva semplicemente "Buona giornata, tesoro mio, ti amo". Loris sapeva cosa aspettava sua moglie quella mattina e si era masturbato di nascosto per tutto il fine settimana, immaginando cosa sarebbe successo al suo rientro in ufficio. Aveva infranto le regole: se avesse voluto stare vicino ad Giulia, non avrebbe dovuto segarsi, l’unico suo diritto al godimento era di servire lei e i suoi amici come meglio credevano, e comunque non usare il suo pene se non per pisciare. Loris, addolcito dall'incontro con il regista pornografo, aveva cercato di ottenere soddisfazione sodomizzandosi con il vibratore nero, ma questo non faceva altro che aumentare la sua frustrazione.

Quindi si era fatto una sega e Giulia lo aveva sorpreso.
“Oh Loris... Mi deludi così tanto.”
Il giorno dopo io film, tornati a casa, sarebbero andati a comprare anche delle mutandine e dei reggiseni nuovi, a sue spese.
Felice, Loris si rannicchiò accanto a sua moglie e pianse di sollievo, in impaziente attesa che venisse lunedì, e sapere cosa sarebbe successo quel giorno a sua moglie.

Con sua sorpresa, Giulia trascorse una mattinata normale al lavoro. Tommaso la trattò addirittura più gentilmente del solito, senza lasciare che nulla mostrasse cosa era successo alla fine della settimana precedente. Verso le 11 ricevette un suo messaggio: “Caffè nella sala ristoro.”
Giulia capi che questo era un ordine.
Il clima sembrava normale come al solito, quando Giulia entrò nella stanza dedicata alle pause dal lavoro, che si apriva su un ampio terrazzo con vista sulla città. Tommaso stava chiacchierando con un ragazzo che non conosceva. Quando la vide sorrise e le fece cenno di unirsi a loro.
"Ti preparo un caffe?"
Tommaso non era mai stato così gentile con lei come in questo momento. Infatti, a parte il loro ultimo incontro, fino ad allora le aveva parlato solo per dettagli contabili di lavoro, a volte anche senza prendersi la minima espressione di cortesia.
“Ehm, si, grazie, con piacere.”
“OK, Daniele, ne vuoi un altro?”
“No grazie, ma lascia perdere, vado io.”
L'uomo guardò Giulia dalla testa ai piedi, sorridendo ampiamente. Evidentemente gli piaceva. Le mise discretamente una mano sulla vita mentre scendeva dallo sgabello per andare alla macchinetta del caffè.
“Stavamo parlando con Daniele del movimento Metoo, delle molestie sul lavoro e tutto il resto. Hai un'opinione?”
Giulia, che non si aspettava questa domanda, cercò di pensare velocemente a questo argomento, ma era troppo distratta dal ricordo della sua scena porno e dall'impegno di sottomissione preso con Tommaso. Non che l'argomento non le interessasse, ne parlava spesso con le amiche, ma ora si scontrava con il suo desiderio, lasciandola esterrefatta. Dopo un lungo silenzio, pronunciò pietosamente un "Uh, non lo so, penso che le donne abbiano il diritto al rispetto sul posto di lavoro, giusto?"
“Ah ah ah, è proprio quello che ti sto chiedendo.”
Daniele posò le tazze del caffè sul tavolo alto poi la mano su un fianco di Giulia mentre saliva sullo sgabello, più decisamente della prima volta, lasciandola li per qualche secondo.
“Stavo chiedendo a Giulia cosa ne pensasse di per Metoo,” disse Tommaso.
“Ah, mi interessa il parere di una donna.”
Giulia cercò una risposta mettendo insieme elementi spesso lanciati durante queste conversazioni con le sue amiche.
“Beh eh, non ci avevo proprio pensato, ma è vero che spesso le donne sono trattate come oggetti sul posto di lavoro e soggette al giudizio degli uomini, a volte non sanno più come vestirsi, non osano non esprimere la propria…”
“Scusa se ti interrompo, Giulia, vuoi sbottonarti un po' la camicetta?”
Arrossendo, la donna voltò la testa in ogni direzione, osservò gli ampi sorrisi dei due uomini seduti al suo tavolo e rimase senza parole.
"Sbrigati, troia", disse Tommaso con molta calma.
L'insulto fece scattare un interruttore nascosto proprio sotto la patina sociale di Giulia, allungò la mano verso la camicetta e ne slacciò un bottone.
"Un altro" ordinò Tommaso.
“Ma... si vedrà il mio seno…”
“Si, l'idea è questa, obbedisci subito, puttana, se non vuoi che ti chieda di toglierti la gonna.”
Quando Giulia lo fece, un grande ritaglio si aprì sul suo corpetto. Tommaso, senza preoccuparsi degli sguardi intorno a lui, allungò una mano e aprì un po' di più i due lati della camicia della donna, scoprendo più ampiamente i suoi seni delicatamente sollevati da balconcini di pizzo.
Perfetto. Scusa per l'interruzione. Per favore continua.
“Uuuuuh, a dire il vero non so più dov'ero.”
“Stavi dicendo, credo, qualcosa sui vestiti, su quanto sia difficile per una donna vestirsi per andare al lavoro…”
Giulia fece uno sforzo notevole per concentrarsi. Molti uomini stavano guardando verso il loro tavolo. Fissò la tazza di Tommaso, che aveva i baffi di un poliziotto sopra la scritta "Macho man". Daniele, per incoraggiarla, le aveva messo una mano sulla schiena ed era sceso in una lunga carezza fino alle sue natiche, prima di risalire e stringerle il collo tra le dita. Le tornarono in mente nuovi frammenti delle sue conversazioni con le sue amiche.
“Si, ehm, vediamo, io... penso che sia complicato per una donna sentirsi bella proteggendosi dallo sguardo degli uomini... ehm... beh, ad essere bella e sexy ne abbiamo il diritto eh?” disse, cercando l'approvazione dei due uomini intorno a lei. “Voglio dire, abbiamo il diritto di apparire belle senza essere considerate una prostituta.”
“No!”, disse Tommaso,
“C-cioè? C-che vuoi dire?”
“No, non lo pensi.”
Daniel giocò con il ciondolo a forma di cuore regalatole da Loris che sormontava il solco tra i suoi seni, toccando i globi che si sollevavano sempre di più man mano che il respiro della donna aumentava.
“Uh, cosa intendi con ‘Non lo pensi’?" chiese Giulia con una risatina nervosa, sistemandosi meccanicamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Fu in quel momento che notò un dettaglio che fino a quel momento le era sfuggito. A parte lei, nella stanza ristoro c'erano solo uomini. Tutte le conversazioni ormai si erano interrotte e tutti gli occhi erano puntati su di lei.
"Non lo pensi, no. Quello che pensi è che le ragazze che si vestono in modo sexy cerchino di suscitare il desiderio degli uomini e che siano o puttane se vengono pagate, o troie se rifiutano ciò che promettono i loro abiti. Oh maledetto Daniele, sono in uno stato d'animo filosofico stamattina. Le tette in mostra mi ispirano!” e alzò in alto il palmo della mano, che il suo compagno schiaffeggio forte. "Ripeti ciò che ho appena detto, dannazione!"
“Ehm... ma cosa?”
”Te lo renderemo semplice. Pensi che le ragazze che si vestono in modo sexy siano puttane e che il loro destino sia succhiare cazzi e farsi inculare.”
A quest'ultima parola, Daniel strinse la natica di Giulia.
“Uhh.”
“Maledizione Giulia, sapevo che eri stupida, ma non così stupida, non è complicato, ripeti quello che ho appena detto!”
La donna guardò gli uomini che ora formavano un cerchio. Si schiarì la gola e disse: "Penso che le ragazze che si vestono in modo sexy siano puttane il cui destino è succhiare il cazzo e farsi inculare".
Dal pubblico scoppiarono delle risate.
“Va bene. E' un bene che tu lo pensi. Ti dispiacerebbe se questi signori qui ti toccassero?”
Giulia onestamente non sapeva cosa rispondere e cercò indizi nell'espressione di Tommaso su cosa si aspettasse da lei. Quest'ultimo capì i dubbi di Giulia e annuì simpaticamente sorridendo.
“Uhm, farò quello che vuoi.”
“É importante che tu lo dica. Scendi dallo sgabello, girati verso di loro e digli che possono toccarti se vogliono, come vogliono, perché sei una puttana.”
Giulia scivolo dalla sedia, abbassò la gonna sulle cosce in un gesto automatico e dichiarò: "Potete toccarmi se volete, toccatemi, perché... Perché sono una puttana.”


La stanza diventò un groviglio di corpi in movimento, un caos orchestrato con una precisione inquietante. Gli uomini si avventarono su Giulia come un branco affamato, con una sottile sfumatura di competizione. Non c'era bisogno di parole: esisteva una gerarchia implicita. I più veloci, i più decisi, presero subito possesso delle parti migliori: una natica, un seno, la figa. Un pezzo di carne che sembrava avere un valore superiore agli altri. I ritardatari, gli esitanti, si accontentarono di ciò che restava, aspettando con una pazienza metodica che i capibranco cedessero qualcosa, anche solo per un attimo.
Altri, invece, erano più sottili, più strategici. Non cercavano di imporsi con la forza, ma con l'astuzia. Si insinuavano nelle fessure lasciate aperte, mani che scivolavano come serpenti tra la carne sudata, sfruttando ogni piccolo varco. Non avevano bisogno di dominare per ottenere ciò che volevano; sapevano esattamente come muoversi per sfiorare con le dita quei luoghi proibiti. Un dito nel culo, una mano che scivolava veloce tra le cosce. Erano consapevoli dei limiti imposti da Tommaso, ma erano altrettanto consapevoli che, nel frastuono e nell'euforia del momento, qualsiasi protesta di Giulia sarebbe stata soffocata, dimenticata, ridotta a un flebile lamento. Tutto era parte del gioco, un gioco in cui la vittoria era solo questione di chi sapeva giocare meglio.

Osvaldo, l’omuncolo della contabilità, passava inosservato per la maggior parte del tempo. Era l’uomo che nessuno avrebbe notato in un ufficio affollato, un’esistenza banale nascosta dietro un viso da donnola e un servilismo esasperante verso i superiori. Viveva ancora con la madre e probabilmente non aveva mai visto una donna nuda dal vivo. Ma in quel momento, in mezzo alla calca di corpi eccitati e sudati, Osvaldo si trasformò. Mentre gli altri si accaparravano avidamente i pezzi più succulenti, lui si fece largo con discrezione. La sua mano grinzosa si insinuò tra le gambe intrecciate. Sentì il freddo del metallo del tavolino, poi il calore umido che cercava.
Il dito medio si infilò nella fessura stretta, un gesto rapido, furtivo. Tre quarti del dito nell’ano di Giulia. Un lampo di piacere perverso gli attraversò la mente; era una vittoria minuscola, ma per Osvaldo aveva il sapore di una rivalsa personale, un trofeo ottenuto con l’astuzia.
Fu sloggiato quasi subito, rimpiazzato da un collega più robusto. Ma il sorriso che gli si disegnò sulle labbra mentre si allontanava era la soddisfazione di chi sa di aver avuto la meglio, almeno per un istante.

La stanza ristoro era un palcoscenico di brutalità silenziosa. I forti e i deboli, gli scaltri e i sempliciotti, tutti avevano la loro occasione, la loro fetta di quella carne giovane e altera. Schiacciata contro il tavolo, non poteva sfuggire alle mani che afferravano, stringevano, esploravano. Alcuni le sussurravano insulti all’orecchio, altri li gridavano appena, stando attenti a non farsi sentire troppo oltre le sottili pareti divisorie della stanza. La porta chiusa era sorvegliata da Leonardi, l'ultimo arrivato, un ragazzino appena uscito dalla scuola superiore. Tommaso gli aveva promesso qualcosa in cambio, qualcosa che faceva brillare gli occhi del giovane mentre vigilava, sicuro di sé, il rumore ovattato della carne che si sottometteva alla volontà del branco.

Giulia non aveva mai immaginato che potesse succederle qualcosa di simile. Era sempre stata distante, inaccessibile, il tipo di donna che fa abbassare gli occhi agli uomini che la desiderano, incapaci di sostenere il suo sguardo gelido. Ma ora, nella confusione disordinata di quel momento, tutto il suo mondo sembrava essersi capovolto. Non era mai stata toccata così, da così tanti uomini, e tutti insieme. Non uno alla volta, non lentamente, ma tutti e subito, senza tregua. Ogni principio che aveva tenuto saldo fino a quel giorno si sgretolò, in un istante, più rapidamente di quanto fosse successo quando si era esposta di fronte alla telecamera per quel film pornografico.
Cresciuta con l’idea che il suo corpo fosse un dono da riservare a uno solo, si ritrovava ora a offrirlo a chiunque fosse presente, senza discriminazioni, senza più quel senso di superiorità che l’aveva sempre distinta. Non si trattava solo di cedere, ma di sottomettersi completamente, abbandonando qualsiasi resistenza. Non c’era più traccia della donna altezzosa e sdegnosa che aveva rifiutato con freddezza ogni tentativo dei colleghi. Invece di difendersi dalla lussuria che la circondava, si era arresa con una facilità sconcertante. L’inaccessibile era diventata accessibile, un bersaglio che non solo accettava, ma facilitava l’assalto.
Il suo corpo, che una volta era un territorio inviolabile, ora si apriva docilmente al tocco di mani che aveva sempre disprezzato. Gambe che si allargavano senza esitazione, braccia che si alzavano come in segno di resa, la schiena che si inarcava per offrire meglio quelle parti che fino a poco prima erano state protette da un muro di orgoglio e freddezza. Era una trasformazione totale, una caduta libera senza fondo, e lei ne era consapevole, ma non provava vergogna, né paura. Solo una strana euforia, un senso di liberazione pericoloso, un abbandono al vuoto che aveva sempre temuto, ma che ora la avvolgeva come una seconda pelle.

Giulia si sentiva come una bambola, senza volontà propria, manovrata da mani avide e bocche insaziabili. Osservava quei volti rossi e sogghignanti intorno a lei, volti che conosceva bene, ma che ora apparivano trasformati, distorti dalle circostanze. Ex corteggiatori, un tempo timidi e rispettosi, si erano mutati in predatori spietati, con un’avidità che li rendeva irriconoscibili. Alcuni sembravano animali affamati, altri erano visibilmente presi dal panico, come se il loro stesso desiderio li avesse sopraffatti. Facce che Giulia aveva sempre associato a una noiosa gentilezza, a una cortesia di circostanza, ora sputavano parole volgari o restavano mute, ma ribollenti di un fervore represso.

Uno degli uomini le infilò due dita in bocca, ma Tommaso intervenne con un tono fermo, quasi annoiato: "Non così, ragazzi. Cosa si era detto? Niente bocca. Per andare oltre, dovrai pagare. Conosci il patto: il cinque per cento del tuo stipendio e potrai farlo una volta al giorno lavorativo. Fine della prova! Su, allontaniamoci dalla merce."

A malincuore, i colleghi si staccarono da lei, ma non senza una certa riluttanza. Piero, uno dei più aggressivi, le pizzicò un capezzolo con forza prima di fare un passo indietro, sibilando: "Non pensare che finisca qui, stupida puttana."
Giulia, con il seno che traboccava dal reggiseno, la gonna sollevata e le mutandine strappate, era sul punto di riaggiustarsi quando Tommaso la fermò.
“Resta così, dannazione. Mettiti a quattro zampe e avvicinati a Leonardo.”
Gli uomini si girarono verso il giovane stagista, come se solo in quel momento si fossero ricordati della sua presenza. E videro Giulia abbassarsi, camminando a quattro zampe verso di lui, come un animale addestrato, con i seni che ondeggiavano sotto lo sguardo di tutti.
“Non muoverti e lascia che ti scopi la faccia adesso.”
Leonardo, nervoso ma determinato, si sbottonò i pantaloni, tirò fuori il cazzo e afferrò la testa di Giulia, penetrandole la bocca come fosse una vagina. La donna, scossa vigorosamente, cercò di mantenere l’equilibrio sulle mani e sulle ginocchia, sforzandosi di allinearsi al ritmo che il ragazzo le imponeva. Il suo culo, aperto e alzato, quasi non tremava, mentre i suoi seni oscillavano senza controllo.

Tutto finì in meno di un minuto. Il riservato e cortese Leonardo, che Giulia aveva conosciuto al momento della firma del suo contratto, lo stesso che le aveva detto “Non voglio disturbarla, signora” e “Grazie mille, signora”, ora ruggiva tra i denti: “Bhohohohoo puttana!”
Il suo volto estasiato brillava sotto le acclamazioni discrete e invidiose degli altri uomini.
Giulia, riprendendo fiato dopo quel lungo respiro, si sentì ordinare di leccare le gocce di sperma che si erano depositate sulle scarpe da ginnastica di Leonardo. Gli uomini la guardarono, ipnotizzati, mentre si sporgeva in avanti, con il culo ancora più scoperto, e tirava fuori la lingua per raccogliere diligentemente quelle masse gelatinose dalle scarpe sporche del ragazzo.

Cinque di loro avevano già firmato il contratto che faceva di Giulia la loro puttana quotidiana, concedendo a Tommaso una piccola parte del loro stipendio in cambio di questo diritto. Altri sarebbero seguiti.

Tommaso si avvicinò a Giulia e le afferrò i capelli per tirarla su.
“Dai, raddrizzati, cagnolina, la festa è finita.”
Giulia, con gli zigomi scarlatti e le labbra lucide, si abbottonò la camicetta, abbassò la gonna e tentò di sistemarsi i capelli.

“Ricordatevi di comprare i biglietti della lotteria, ritardatari. Cinquanta euro a biglietto, l’estrazione stasera alle 20:00. Tanti biglietti, tante possibilità di essere il primo in ufficio a poter scopare Giulia. A parte me, ovviamente.”
Gli ultimi biglietti sparirono in pochi minuti, e non ce n’erano abbastanza per tutti.
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