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Gay & Bisex

Giorgina e la Bestia (parte 1)


di aspergo
26.09.2024    |    2.838    |    3 7.9
"Quel cazzo era la chiave per immaginare corpi massicci, pieni di forza, odori di sudore, frenesie violente ma naturali, a loro modo innocenti: sporche ma..."
Avevo 16 anni, l'età del consenso.
Anche se non sapevo bene a cosa darlo, il consenso. Ero carino. Un bel ragazzino si sarebbe detto una volta. Ora a dire "bel ragazzino" sembra già di pronunciare qualcosa di ammiccante e sconveniente. Allora erano tempi diversi, i tempi prima dell'era dei cellulari e di Internet. Non che i ragazzini non venissero desiderati anche allora, ma perdurava l'ipocrisia, nel senso comune la sessualità doveva arrivare dopo, bambini e adolescenti venivano incastonati in un limbo asessuato.
Ero magro, di corporatura media, non c'era in me niente che potesse attirare l'attenzione se non il viso, che nonostante tutti i tentativi dell'adolescenza di assumere maschere scostanti, da truce o da duro non aveva ancora perso del tutto dolcezza e innocenza.
Così finiva che quando camminavo per strada qualcuno si girava, non sempre ma abbastanza spesso. Tra le donne si giravano solo quelle di una certa età, le coetanee erano perse dietro ai veri uomini, mica ai ragazzini. Tra gli uomini se ne giravano un po' di tutte le età. Avevo pochi muscoli e poca forza. A scuola per me le lezioni di educazione fisica erano un incubo.
Ero timido, naturalmente. Del sesso non sapevo quasi niente. Il sesso del mondo reale, quello che nasce dall'incontro di corpi fatti di carne. Il sesso fantastico, l'unico che mi potessi o volessi permettere, beh, quello era un'altra cosa. Avevo fantasie e le seghe che mi tiravo abbastanza spesso erano attirate ad un paio di fantasie ricorrenti. Molto private, molto personali, fantasie che usavo soltanto quando cominciavo a carezzarmi il cazzetto perché mi coglieva uno strano languore. Per il resto del tempo quelle due fantasie mi facevano sentire un po' in imbarazzo.

Nella prima fantasia ero... un essere dai caratteri incerti, di aspetto androgino, come nella realtà, ma a differenza della realtà non me ne dovevo vergognare. Il mondo mi desiderava così, anzi, dirò di più, mi trovava enormemente desiderabile.
Era un mondo dove c'era posto per i ragazzi e le ragazze certo, ma c'era posto anche per noi che di tutti e due sessi prendevamo il meglio.
Quando ero in preda a quella fantasia spesso mi chiudevo in camera e dopo aver aperto l'anta dell'armadio che conteneva uno specchio a tutta figura mi spogliavo nudo e assumevo pose provocanti, sognavo che le mie tettine fossero succhiate, le bagnavo con la saliva e titillavo i piccoli capezzoli.
A volte capitava che dall'armadio tirassi fuori un attaccapanni di quelli con due pinzette e poi usassi quelle pinzette sui capezzoli. Mi guardavo allo specchio, non ero io che lo stavo facendo, nella fantasia ero la proprietà di un nobile signore, un sultano orientale con una barba curata, un pizzo intrigante, belle vesti e bei modi. Immaginavo che mio signore indossasse tuniche che si aprivano in maniera strategica, lasciando intravedere le sue gambe pelose, il cazzo nodoso e i coglioni pesanti.
Il mio signore mi applicava le pinzette un po' per farmi soffrire - per ricordarmi che ero cosa sua e che poteva farmi qualsiasi cosa - e un po' per allungare i due capezzoli, per svilupparli, per poterli strizzare meglio tra le sue dita forti. Immaginando che le mie mani fossero quelle di un altro tiravo l'attaccapanni, come fosse una sorta di guinzaglio e mi portavo in giro per la stanza e più i capezzoli erano tirati più io dovevo tenere la testa alta e non perdere il mio portamento composto e languido.
Mi piaceva immaginare che il mio signore ogni tanto mi ispezionasse. Offrivo le spalle allo specchio poi mi chinavo fino a che il solco tra le natiche non si apriva un po' e lasciava intravedere una zona più scura.
Immaginavo comandi che mi imponevano di aprirmi meglio, di mostrarlo bene quel culo da esaminare, le mie dita diventavano quelle del mio signore, le insalivavo e e poi piano piano le infilavo dentro. Una, poi due, poi tre, giravo e torcevo e scavavo, perché io ero una piccola puttana che ogni tanto tentava di rubare qualcosa al suo padrone.
A volte partivo di casa al mattino dopo essermi infilato in culo una pallina di gomma. Nella mia fantasia era un gioiello. Ogni tanto durante il giorno il cazzetto mi si induriva pensando a quando la sera il mio signore con le sue dita mi avrebbe esplorato fino ad estrarre quegli oggetti, farmeli leccare e poi punirmi, facendomi stare in piedi e schiaffeggiandomi forte sulle guance, prima a destra e poi a sinistra, oppure dandomi pugni sul ventre che dovevo ricevere rimanendo impassibile e ringraziando.
Se ero solo in casa potevo punirmi con una cinghia, direttamente sulle tettine e sulle natiche. Sempre ringraziando dopo ogni colpo.
Poi una volta esaurita la punizione il mio signore diventava esigente e mi faceva piegare in avanti. Un flacone di deodorante diventava il suo cazzo nodoso.
Spingevo anche se provavo dolore. Il mio padrone non poteva certo fermarsi per una cosa insignificante come il mio dolore. Il mio culo andava aperto per bene, il tappo che l'immaginaria cappella che forzava qualcosa dentro di me. Piano piano facevo sparire il flacone nel mio retto.
Quando era tutto dentro a fondo e allora io potevo cominciare a scoparmi. Da qualche mese cercavo di venire così, senza toccarmi il cazzo, ma con scarso successo, più che qualche goccina salata non riuscivo ad ottenere.
Alla fine me lo segavo mentre mi inculavo. e quando mi toglievo il flacone dal culo leccavo la punta del flacone, qualsiasi cosa ci fosse attaccato. Ormai il momento della eccitazione in cui faresti tutto era passato e io non avevo più voglia di fare porcate, ma proprio lì stava il gioco, nel costringermi a fare una cosa che non volevo, solo perché stavo immaginando che lo chiedesse il mio signore.

La seconda fantasia era abbastanza nuova ed era cominciata quando ero riuscito ad intrufolarmi in un cinema dove si proiettava un film vietato che si chiamava "La Bestia". Era una retrospettiva infrasettimanale, dedicata al classico regista polacco con un cognome imbottito di consonanti e conosciuto solo dai cinefili.
Entrare nei cinema dove si trasmettevano fil vietati era una sorta di sfida nella nostra banda di ragazzini, non chiedetemi come riuscii ad entrare, mi dissi che avevo avuto fortuna e che la maschera si era distratta per il tempo giusto e al momento giusto. Il resto del racconto mi darà torto, forse non ero affatto entrato per caso.
Ma ormai ero dentro e il film riuscì ad ipnotizzarmi completamente. L'aspetto che mi colpì di più era che a un certo punto il protagonista del film diventava una bestia, che si intuiva soltanto più che vedersi esplicitamente.
La bestia si aggirava per i boschi intorno a un castello cercando sesso. Questo era ciò che mi era rimasto infisso nel cervello. La bestia che si aggirava nel bosco, pesante, annunciandosi con uno scroscio di rami spezzati, cercando prede da possedere carnalmente.
Pochi dettagli di quella bestia si intuivano, la pelliccia, una zampa, un muso che poteva essere quello di un grosso cane o di un orso, e un qualcosa che forse era sfuggito alla censura, un paio di fotogrammi in cui si vedeva un cazzo enorme, che scoprii tempo dopo essere ispirato a quelli equini.
Da quel dettaglio rimasi colpito in maniera incredibile e ricordarlo quel cazzo, cosa che facevo spesso, mi eccitava tantissimo.
Cosa di preciso mi eccitava così tanto in quel cazzo? Molte cose, quel cazzo bestiale era la forza di una dominazione che si prendeva comunque quello che voleva, una forza a cospetto della quale io immaginavo di essere remissivo, al cospetto della quale io volevo essere remissivo. Un giocattolo, un trastullo. Una preda.
Quel cazzo mi rivelava che non mi sarebbe dispiaciuto, anzi forse che io volevo, essere usato, violato, lasciato a terra lacrimante. Mi eccitava quella forma strana di cazzo e, tempo due o tre seghe, a quella forma sproporzionata avevo aggiunto di mio un rigonfiamento alla base, come quello dei cani. Una cosa che nelle mie fantasticherie serviva perché il dolore della penetrazione ricominciasse quando ormai il peggio sembrava passato.
Un cazzo che doveva originare una penetrazione che era un viaggio doloroso perché ogni millimetro di quel cazzo doveva entrare lentamente vista la circonferenza e doveva metterci minuti ad aprirti tutto, vista la lunghezza.
Sì, quel cazzo doveva metterci molti minuti fatti di sensazioni intense, angosciose e crudeli prima di farti sentire sul culo la pelliccia che ricopriva i coglioni.
Quel cazzo era la chiave per immaginare corpi massicci, pieni di forza, odori di sudore, frenesie violente ma naturali, a loro modo innocenti: sporche ma pure.
Mi eccitavo a pensare a cosa quei corpi potessero fare guidati dal loro istinto inconsapevole ma inarrestabile.
E pensavo a un buco di culo che la coda ogni tanto lasciava offerto alla vista. Era allora che le sborrate diventavano più dense e gli schizzi più potenti.
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