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Giorgina e la Bestia (Parte 2)


di aspergo
27.09.2024    |    2.170    |    4 9.8
"E le carote me le mangiai così com'erano, dopo aver leccato con gusto il muco amarognolo di cui erano ricoperte..."
Una mattina svoltando l'angolo mentre correvo a scuola sbattei letteralmente contro la maschera del cinema.
Non voglio farla molto lunga. Ad adescarmi ci mise poco, se anche di adescamento si potesse parlare. In realtà fui io a chiedergli se si poteva vedere il cinema fuori dallo spettacolo, che ero attirato da quello spazio vuoto e silenzioso e che mi sarebbe piaciuto vedere cosa c'era dietro lo schermo.
Avrei potuto dire qualsiasi cosa, tanto la maschera era perso a guardarmi e non credeva alla sua fortuna.
Perché lo feci? Era un uomo grosso e rude, forte e un poco tonto. Era quanto di più si avvicinava ad alcuni tratti della bestia delle mie fantasie. Non era brutto a vedersi ma la gente un po' lo evitava, un po' lo prendeva in giro.
Nei paesi si fa così, quando qualcuno si allontana dalla linea della normalità, del consueto. Comunque questi sono solo discorsi, alla fine forse fu il suo odore muschiato di sudore, inteso ma non spiacevole, a farmi parlare e a farmi dire quelle cose insensate con una voglia improvvisa di trovarmi solo con lui, in uno spazio dove nessuno potesse disturbarci.
Mi disse che visitare il cinema fuori dallo spettacolo era proibito a chi non facesse parte del personale e mi disse che dietro lo schermo non c'era niente. Se ci tenevo tanto però poteva fare uno strappo alla regola, il cinema era un vecchio teatro riadattato, non c'era una galleria, c'erano alcuni palchetti che di solito non venivano usati, magari avrei potuto trovare interessante vedere quelli. Io ero confuso, un po’ mi vergognavo, un po' sentivo una eccitazione nuova, mai provata. Mentre mi parlava la maschera quasi senza accorgersene si toccava la patta e dopo un po' i suoi pantaloni si tesero in modo molto interessate.
Con aria complice mi invitò per il pomeriggio del giorno seguente. Con fare umile e a suo suadente mi disse che mi sarei divertito da morire. La mia eccitazione e la mia inesperienza mi fregarono, avrei scoperto che era meno tonto e meno innocente di quello che sembrava. Ma probabilmente una intuizione del genere, anche se la avessi avuta in tempo non sarebbe bastata a dissuadermi.
Si presentò in maniera goffa, porgendomi la sua grossa mano che però era sorprendentemente morbida. Mi disse di chiamarsi Luigi e mi chiese il mio nome. Gli dissi un nome a caso, Piergiorgio. "Bene - disse lui - e quanti anni hai Giorgina? "Sedici e mezzo" risposi. "Sembri più giovane." "Sì, lo so me lo dicono tutti, ma sempre sedici e mezzo rimangono."

L'improvviso cambio di genere del nomignolo che mi aveva affibbiato mi colpì e il cuore fece un piccolo balzo. Mi aveva chiamato "Giorgina". Arrossii e velocemente lo salutai, dicendogli che dovevo andare a scuola e rassicurandolo che certo che sì, che ci sarei venuto a vedere il cinema vuoto il giorno dopo.
Quella sera il mio signore orientale mi chiamò anche lui Giorgina, pretese che da un cassetto della mamma rubassi una sottoveste e la indossassi per lui. Una sottoveste molto corta che mi lasciava scoperto il cazzetto davanti e il culo di dietro. Non fu l'unica cosa che rubai. Rovistai nel cassetto delle verdure in frigo e mi portai in camera alcune grosse carote.
Quella sera il mio signore immaginario mi disse che voleva dilatarmi come non aveva mai fatto, e io abbassai il capo e risposi solo "Certo Re Luigi mio signore, naturalmente, tutto secondo i vostri desideri."
Il mio signore, che non era più un principe orientale ma un uomo vero di cui conoscevo l'odore muschiato, il mio signore mi prese e giocò con me a lungo con le carote e scoprii quanto era astuto e sagace quando, dopo avermi divaricato le natiche con le sue grosse e morbide mani, infilò la prima dalla parte più grossa e poi usò la punta di una seconda e di una terza come un cuneo, per forzare l'entrata. Era doloroso ma appagante. Le carote rimanevano bloccate nel mio sfintere educandolo alla dilatazione e io potevo fare passerella per il mio signore ancheggiando e facendo ondeggiare la sottovestina.
E quando il mio signore me lo chiese estrassi le carote e presentai il pià bel culo aperto che mi fosse mai riuscito di ottenere. E le carote me le mangiai così com'erano, dopo aver leccato con gusto il muco amarognolo di cui erano ricoperte.

A dispetto dell'essere un pretesto inventato lì per lì la visita al cinema vuoto aveva un suo perché.
Lo spazio completamente sgombro di persone e di dimensioni così inconsuete rispetto agli spazi normalmente frequentati, aveva un eco che intimidiva: era come come infilarsi in una caverna che poteva nascondere segreti, oppure visitare uno dei saloni di un palazzo un po' decaduto, che aveva visto giorni migliori, con i suoi sedili di velluto rosso liso e consumato e le lampada con i pendenti di vetro alle pareti.
Luigi mi fece visitare anche il bar e mi mi offrì una coca, Io la accettai di buon grado, ma coca aveva un retrogusto strano, non dissi niente per educazione, ma ne bevvi solo un paio di sorsi e poi mi liberai del resto versandola nel bagno, dove andai con una scusa. Però dopo aver bevuto quei sorsi mi sentii molto strano, languido e arrendevole.
Ho molto pensato a posteriori se la storia della coca non fosse un alibi creato da me per giustificarmi. Mi sentivo remissivo e pronto a tutto. Adesso credo solo che io volessi essere languido, arrendevole, remissivo e pronto a tutto. Che quelle sensazioni facessero parte del gioco molto eccitante che mi ero inventato. Il gioco della mia prima volta.
Dopo aver visitato la platea e il bar Luigi mi portò a vedere i palchetti. Era incredibile ma nel palchetto centrale c'era addirittura un divanetto. Luigi mi disse che dopo l'ultimo spettacolo lui doveva fare le pulizie e abitando lontano a volte preferiva fermarsi lì.
Poi Luigi mi guardò e si accorse che mi stava succedendo qualcosa e fu proprio sul divanetto che mi fece accomodare. "Giorgina, tesoro, appoggiati a me" mi disse. Mi passò il braccio intorno alle spalle e mi attirò a se, mi guardò, mi disse di lasciarlo fare, e mi baciò piano sulla bocca, prima sui lati, e poi sulle mie labbra chiuse. Alla faccia dell'essere tonto.
"Ti piace essere baciato? Sei contenta Giorgina?" Per fargli capire quanto mi era piaciuto passai senza accorgermene un piccolo confine e gli offrii la mia bocca socchiusa. Fui baciato di nuovo, a lungo. La sua lingua cercava e si intrecciava con la mia. E mentre mi baciava mi carezzava con le sue grandi mani, su tutto il corpo.
Dopo qualche piacevole minuto mi prese la mano se la passò sulle braccia e sul torace, facendomi capire che potevo ricambiare le sue carezze. Non me lo feci ripetere. Carezzavo e gemevo piano, estasiato di sentire quel corpo così ampio e solido. Poi mi prese la mano e la portò gentilmente la mia mano sul cavallo dei suoi pantaloni. "Lo senti? È un cazzo che ha bisogno di te."

Prese a svestirmi. Come sotto la mano si ritrovò le mie tettine si staccò dalla mia bocca e prese a baciarmele e a succhiarmi i piccoli capezzoli. Per me era un sogno che si avverava, in mezzo alla mia arrendevolezza sentivo montare una sensazione calda di desiderio. Mi fece alzare e mi chiese di finire di spogliarmi.
Quando fui nudo e vide il piccolo cazzetto mi sorprese perchè senza dire niente lo baciò.
Poi mi fece girare e si fermò a contemplare il mio culo. "Sei bellissimo, hai un culo da favola."
Poi si svesti anche lui, si sedette e mi fece inginocchiare fra le sue gambe. Davanti a me c'era il suo cazzo, duro e caldo, lungo e grosso. Mi invitò a baciarglielo come lui aveva fatto col mio.
Io ero come ubriaco. Lo baciai sulla punta, lui mi invitò ad accarezzargli i coglioni, grossi e pelosi e poi mi invitò ad aprire la bocca. "Apri la bocca, ti prego, fai entrare il mio cazzo, leccalo e succhialo, dai Giorgina, fammi vedere quanto ti piace."
Io ero ormai perso, quel cazzo duro per il desiderio di me mi sembrava la cosa più bella del mondo.
Baciavo la cappella, infilavo la lingua nella sua fessura, leccavo l'asta avanti e indietro succhiavo i coglioni, infilavo la faccia sotto, avrei voluto che mi offrisse un culo peloso, da assaporare, da odorare, da baciare come una seconda bocca.
Facevo qualcosa che avevo sempre sognato di fare. Ero in ginocchio e stavo servendo il mio signore, gli stavo dando piacere, con la mia pochezza di ragazzo incerto tentavo di soddisfare un uomo.
Tremavo dentro. Alla fine aprii la bocca e lo inghiottii il suo cazzo, mi lo infilai fin dove potevo farlo arrivare, scoprii che con qualche disagio poteva tenerlo fino in fondo alla gola, la punta forzava e mi veniva qualche conato. Cercai di rilassarmi. Lui mi aveva preso i lati del viso con le sue gradi mani e mi guidava, scopandomi la gola. Io era al settimo cielo. "Sei una deliziosa piccola troia Giorgina." Mi prese per la testa e cominciò a scoparmi sempre più veloce e sempre più a fondo e poi venne, furiosamente, con lunghi schizzi che mi entrarono in gola. Il suo cazzo eruttò a lungo, ma io riuscii a inghiottire tutto. Ero soddisfatta di me, ora ero legittimata a pensare a me come Giorgina e a lui come al mio signore. Mi strinsi felice a lui.
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