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Lui & Lei

Una scopata ad ogni vittoria


di FrankSpeaker
05.12.2024    |    3    |    0 6.0
"“Per me puoi entrare quando ti pare” disse Chiara tagliando corto “fai conto di avere Lebron James al mio posto”..."
Il pub, del pub, aveva mantenuto solo il nome e forse un progetto di fondo di quando il mio vecchio amico Gavino ebbe l’idea di aprirlo. Ora era diventata una pizzeria. Buona, a prezzi ragionevoli, con una birra superiore alla media, ma solo una pizzeria. Era, però la mia coperta di Linus, sotto la quale mi rifugiavo dopo una sconfitta e le sconfitte, in quel periodo fioccavano. Sono un allenatore di pallacanestro e quando le sconfitte sono troppe, poi, squilla il telefono. E quella sera, mentre ero al pub di Gavino a consolarmi davanti ad una mascarpone e speck e ad una Leffe doppio malto, il telefono squillò: “SEI LICENZIATOOO!!!” gridò il mio presidente, anche se, tecnicamente, ero esonerato e non licenziato, perché o mi pagava secondo contratto o mi dava una buonuscita di svariate migliaia di euro.
Nell’ordine quindi: ero stato scaricato da mia moglie (“Non ne posso più di te, dei tuoi allenamenti, del tuo lavoro, del fatto che la domenica sei sempre in trasferta, anche tuo figlio…” ed iniziava con le seghe mentali sulla crescita e l’educazione del bimbo: la realtà è che non trombavamo più da tempo e le poche volte che succedeva era più per dovere che per piacere); ero stato scaricato dalla Cestistica Toros ed il perché lo sapete; stavo per essere scaricato da Gavino che doveva chiudere il pub.
Mi avviai a piedi verso casa, una mansarda di quarantacinque metri quadri, terzo piano senza ascensore che avevo preso in affitto quando mia moglie mi aveva invitato ad andarmene da quella che era casa mia. Avrei avuto del tempo a disposizione per ricostruire la mia vita. Intanto, giunto a casa, accesi il mio computer, andai su un forum che avevo scoperto nei meandri della rete ed iniziai a navigare fra le foto che i mariti facevano alle proprie mogli, alcune in topless, altre completamente nude. Mia moglie non avrebbe mai permesso che pubblicassi una sua foto con le tette al vento. Avevano nomi di fantasia e black_._flag e Monellina nude mi fecero indurire il cazzo. Stavo girando con le dita attorno alla mia cappella ed il cazzo mi si faceva sempre più duro. “Fanculo” pensai, lo tirai fuori e mi feci una gran sega, pensando a come le due simpatiche signorine avrebbero fatto per eccitare i mariti. Sognavo di bocche e culi, di seghe fatte in mezzo al mare e pompini in cabina. Mi venni sui pantaloni del vestito ufficiale della società in una copiosa sborrata. Avrei reso il vestito senza lavarlo. Così imparavano. Piegato e stirato, ma senza lavarlo.
I giorni passavano in fretta e quel sito lo frequentavo con sempre maggiore assiduità. Stavo contemplando la bellezza di Alessia, moglie di tale Michele1980, quando suonò il cellulare. La casa era un casino io avevo i pantaloni e le mutande calate (sì, non è difficile capire cosa mi stesse ispirando Alessia) e saltellando riuscii a raggiungere il telefonino da qualche parte sul letto. “Pronto? Si sono io. Come? Una squadra femminile? No, io non sono in grado di gestire un gruppo di dodici isteriche, mestruate a turno, con magari qualche lesbica androfoba”. Il basket femminile è spesso visto come l’anticamera della morte sociale. “8000 euro di qui a fine stagione? Ah, no al mese? A 300 km da casa? Domani mi organizzerò e Mercoledì sono da voi”.
In palestra incontrai le ragazze. Chiara e Donatella erano effettivamente lesbiche e si capiva anche senza che il presidente me lo dicesse, in forma privata, come prima cosa. Ci avevo preso. Carolina era la playmaker: guidava la squadra in campo ed era nota per essere una killer di allenatori. C’erano cinque ragazzine delle giovanili e Tatiana e Camila, una russa ed una americana ad arginare sotto canestro. Non una brutta squadra.
Finito l’allenamento, salutai velocemente il presidente e, senza alcuna malizia, forte dell’abitudine di non far caso a dieci marcantoni sopra il metro e novanta che fanno la doccia con i cazzi di fuori (e soprattutto nel caso di alcuni americani di colore, non farci caso e provare un bel po’ d’invidia era difficile), aprii le porte dello spogliatoio. “Dove cazzo vai???” BUM una Nike Air Flight si stampò sulla porta che feci appena in tempo a chiudere. Avevo però fatto in tempo a notare, come un’istantanea che mi era rimasta impressa nella retina: le lesbiche avevano la figa completamente rasata entrambe, Chiara un seno piccolo ma ritto con due capezzoli piccoli piccoli, forse frutto del freddo in uscita dalla doccia. Donatella due puppe un po’ cadenti. Tatiana aveva un tatuaggio di un qualcosa che non avevo capito bene che le fasciava la coscia ed arrivava fino all’inguine. Camila era atleticissima, un fisico scolpito due seni tonici ed un culo perfetto.
Carolina mi aveva tirato la scarpa.
“Se pretendi di venire qui a fare il porco con noi hai sbagliato uscio”. “Ma dai Carolina, non l’ho fatto volontariamente, è la prima volta che alleno le ragazze”. “Ci sono tre minorenni, sai se lo vengono a sapere i loro genitori che casino succede???”. “Mi scuso anche con loro, ho aperto una porta, per di più di un impianto sportivo che non conosco ancora”. “ME NE FREGOOO!!!” Trasalì Carolina. “Sentimi, sindacalista del mio cazzo, io ho già a che fare con un’ex moglie che mi urla ogni volta che digito il suo numero di telefono, avrò a che fare con dieci mestruate a turno, mi ci manchi solo te a rompere le palle”. Lei si girò e se ne andò sbattendo la porta.
Arrivai a casa, la società mi aveva trovato un bell’appartamento, piccolo ma molto curato, nel centro della città con tanto di pass per la ZTL. Non avevo ancora l’ADSL e non potei tornare sul mio forum preferito, ma l’idea che Chiara e Donatella, che ovviamente dividevano la stessa casa, in quel momento poteva darsi che si stessero titillando le fighe e le tette l’un l’altra me lo fece diventare duro improvvisamente e con poco sforzo d’immaginazione, dopo ciò che avevo visto, e così mi feci una bella sega e mi addormentai subito.
La mattina dopo il telefono squillò mezz’ora prima dell’allenamento. “Sono Carolina, facciamo finta che ieri non sia successo niente, però stasera usciamo a cena e mettiamo i puntini sulle i. Verrà anche Chiara così per lo meno saremo chiari in tre”.
Dopo l’allenamento io, Carolina e Chiara ci avviammo verso un locale che avevano scelto loro, niente a che vedere con la pizzeria pub di Gavino. Lucine fuori, musica ambient, fighe in tirissimo attorno. Ed anche le mie due atlete non erano da meno: Carolina si tolse il giaccone e mostrò sotto i suoi lunghi capelli castani e le guance rosse per l’escursione termica, un tubino stile MaxMara bianco e nero che rendeva evidente un seno che scoprivo essere perfetto (perfetto o magia del push up? Boh?), mentre Chiara col taglio dei capelli biondi rasati sul lato destro col ciuffo sul lato sinistro aveva una maglia grigia brillante che evidenziava il suo ignorare l’esistenza dell’invenzione del reggiseno.
“Per me puoi entrare quando ti pare” disse Chiara tagliando corto “fai conto di avere Lebron James al mio posto”. Volevo farle presente che anch’io avrei preferito avere LBJ al suo posto, ma fra galantuomini lasciai perdere. “Sono abituata ad aver intorno uomini che pensano a me e a Donatella come quattro tette e due fighe, pensa che il presidente c’ha provato con tutt’e due. Insieme. E noi l’abbiamo detto alla moglie”.
Carolina, invece mi fece capire che la sua reazione era stata più che altro per difendere le “bambine”, come le chiamava lei, proprio perché il presidente, beh… insomma, il presidente, diciamo che non era indenne dal fascino delle diciassettenni e loro per avere un posto in squadra l’avrebbero data via come il torrone a Natale. Capii l’atteggiamento. Carolina era il capitano, tutte la rispettavano e lei voleva svolgere il ruolo coscienziosamente. Usciti dal ristorante Donatella, che era rimasta in palestra per una seduta di fisioterapia per una forte contusione subita nell’ultima partita, ci raggiunse e dopo un rapido saluto se ne andò con Chiara.
Rimanemmo soli io e Carolina. “Occhio a quelle due” disse la capitana, “se non metti loro qualche paletto, arrivano alla partita dopo sette orgasmi, quelle si spezzano veramente”. “E te che ne sai?” “Dai non dirmi che nello spogliatoio del maschile non parlavate di sesso perché non ci credo”. Effettivamente i ragazzi del Toros erano toros di nome e di fatto e tette, culi, pompini, sesso anale e tradizionale erano all’ordine del giorno, ma non ero abituato a sentirne parlare da delle signorine. Carolina abitava con due under 19 che erano aggregate alla prima squadra in un appartamento non lontano dalla palestra e da casa mia. “Non inviti il tuo capitano a bere una birra? Scommetto che col tuo vecchio capitano nel maschile facevate tardi a parlare di basket e di equilibri dello spogliatoio”. “Mi stava sui coglioni. Il mio vecchio capitano era un quarantenne incapace di capire che era l’ora di farla finita, che pretendeva di prendere le decisioni al mio posto e mi stava sul cazzo. Il massimo che c’ho preso è stato un caffè in autogrill di ritorno da Rimini. E te sei sulla strada buona”. “Ho capito dai – fece lei – scusami”. “Quanto alla birra, credo di avere solo qualche dito di grappa lasciata in ufficio dal tuo vecchio coach”. “Vada per la grappa”.
Salimmo in casa e fortuna volle che in televisione dessero un po’ di NBA ma vuoi per la cena, vuoi per la grappa ci addormentammo sul divano. Uno spot ad un volume più alto ci fece sobbalzare sul divano. Erano le tre di notte. “A quest’ora a casa non torno davvero”. “Dormi qui”. Trovai nell’armadio un mio vecchio completo da allenamento di quando ero giocatore che tenevo come le cose più care e portavo sempre con me. “Metti questo se vuoi stare più comoda, mi prendo una coperta, vai a dormire nel letto io sto qui sul divano”. “Ti voglio dimostrare una cosa” disse lei. E sensualmente cominciò a far scendere la zip sul lato desto del tubino. Sfilò anche le autoreggenti. Salivazione a zero. Perizoma rosa e push up coordinato (del tutto inutile, le tette tonde e sode stavano su da sole sfidando ogni principio di gravità) via. “Vedi non è un problema di pudicizia. Io sono sola, single, etero e felice in questa città”. Era completamente nuda. Voglio scoparti. Cazzo, diretta la ragazza! Si avvicinò a me, nonostante giocasse a pallacanestro era qualche centimetro più bassa, mi morse l’orecchio e bottone bottone mi liberò della camicia. Con forza mi slacciò la cintura e i pantaloni. Mi spinse sul letto. “Sono porca, molto porca”. Si mise a cavalcioni del mio viso e mi gridò “leccamela” e cominciò a gemere. Sentivo la sua figa bagnata che si apriva sempre di più e lei che emetteva suoni sempre più forti. Avevo le mani libere le allargai le chiappe sode fino a massaggiarle il buco del culo. Fra un gemito e l’altro sentii un ordine “Dentro!!!” e il dito che la massaggiava l’ano si fece strada all’interno. “Carolina, prendimi il cazzo e facci qualcosa sennò scoppio” “Voglio quello, voglio che tu scoppi!” e con la mano dietro la schiena sempre tenendo la figa vicino alla mia bocca che continuava a leccare senza sosta mi fece una sega fino a farmi sborrare. Con un colpo si tolse il mio dito dal culo, si voltò e mi ripulì il cazzo e la pancia dal mio sperma con la lingua.
“Non penserai mica che sia finita qui, vero?” “Macchè, figurati” cominciai a baciarle quel seno splendido e ricominciai con le dita dove non avevo finito con la lingua. “Scopami” mi ordinò dopo aver visto che il mio cazzo era tornato in tiro. Si sedette sopra di me e scopammo ancora a lungo fino a che lei non venne gettando indietro la sua testa ed i suoi lunghi capelli castani e tirando fuori quel seno esplosivo che mi aveva fatto perdere il capo. “Ahhhhh” e si accasciò su un lato.
La mattina dopo si alzò dal letto, si fece un caffè al volo ed andò via. “Se le bambine mi chiederanno dove sono stata dirò che ero da Tatiana”. Che nessuno sappia di quel che è successo stanotte. “Ma risuccederà o finisce tutto qui?” chiesi io. “Mmmmm. Diciamo: una scopata ad ogni vittoria”.
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