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Lui & Lei

Evidenza di reato


di cam4u79
28.12.2021    |    5.558    |    1 9.0
"Le nostre performance erano diventate sempre più chiassose e il vivere in una villetta piuttosto isolata e lontana dal traffico del centro e del lungomare non..."
“Piano, piano, attenta ai denti, così fai male”.

Era così piena di entusiasmo Livia, l’entusiasmo tipico di chi è giovane e sperimenta.
Cominciò tutto alla fine di agosto, quando la mia compagna mi parlò preoccupata dell’esame di letteratura greca che doveva sostenere la figlia.
La ragazza era ansiosa di per sé, e la necessità di superare l’esame – per giunta con un voto non inferiore al 27 – per ottenere i crediti necessari per la borsa di studio l’aveva resa ancora più nervosa.
Pur laureato in lingue, Simona sapeva di potermi chiedere aiuto, in primis perché conosceva la mia predisposizione per la materia ed anche perché non sapevo dirle di no, anche di fronte a impegni apparentemente gravosi.
“Ok, ma sono anni che non leggo il greco. Dalla maturità. E se non ci capisco niente?”
“Dai, lo so che sei bravissimo. Non cercare scuse adesso, Livia è disperata e non ho tempo per cercare qualcuno di affidabile per farle ripetizioni. Vedrai che ti basterà un istante per ricordare tutto”.
La questione venne liquidata in poche parole.
Cominciammo in una delle solite caldissime mattinate agostane. Effettivamente Livia aveva davvero bisogno di aiuto. La materia era del tutto indigesta per lei e ai primi approfondimenti delle regole grammaticali il suo sguardo era di una vacuità preoccupante.
Fortunatamente sapevo di esserle simpatico – pur avendo conosciuto lei e la madre solo pochi mesi prima – e contavo di sfruttare questo ascendente per stimolare attenzione e concentrazione.
Non avrei ripreso il lavoro per la mia casa editrice fino a metà settembre, quindi non era per me un problema dedicare un po’ di tempo alla ragazza.

Galeotte furono le orazioni di Isocrate.
Stavamo controllando una traduzione su cui Livia proprio non riusciva a raccapezzarsi, quando lei si alzò lentamente e mi chiese all’orecchio “Vuoi un caffè?”. Eravamo soli in casa e chiaramente non era necessario premurarsi di tenere la voce bassa. Il calore e la sensazione del suo alito sul mio orecchio mi diedero una scossa lungo la schiena.
Fu una sensazione così piacevole che le risposi sorridendo “Puoi ripetere? Non ho sentito”. Allora lei mi ripeté la domanda, ma appoggiando le labbra sul mio orecchio.
I miei occhi che si chiusero furono evidentemente per lei un segnale di resa. Cominciò a baciarmi sulle guance per poi portarsi alle labbra. Le mie ritrosie durarono il tempo di sentire la punta della sua lingua affacciarsi. La sua lingua era una cascata calda e zuccherosa che sembrava volersi impadronire della mia bocca. Un bacio violento, dove le lingue si scontravano e roteavano fino allo stremo, in cui c’erano tutta la foga e la voglia di un desiderio represso da tempo.
Fu un attimo per lei togliersi i jeans e mettersi a cavalcioni su di me, strofinandosi contro i miei pantaloncini, in breve tempo inzuppati, che facevano chiaramente emergere il mio apprezzamento per la situazione.
“Riesci a trattenerti?” mi chiese. La domanda faceva presagire cosa stava per fare.
Feci segno di sì con il capo e pochi secondi dopo il mio uccello era sprofondato in un anfratto bollente e bagnato. Mi passò per la mente che era stata esattamente la stessa sensazione quando qualche mese prima era stata la madre a impalarsi su di me. Mi cavalcava selvaggiamente, quasi come se volesse mostrarmi anche di “saperci fare” oltre quanto era nella realtà.
Per quanto mi disse, in quei giorni provò cose che non aveva mai fatto. Mi diceva “di te mi fido”. E allora via con pompini sperimentali visti chissà su quali siti, con posizioni acrobatiche da film porno, con la prime penetrazioni anali, in cui il suo sfintere si rilassava giorno dopo giorno accogliendo con sempre maggior agio di tutto.
Era una soddisfazione vederla abbandonarsi senza ritegno al piacere, buttarsi nuda sul letto aspettando che la mia lingua, le mie mani e il mio uccello le frugassero dentro trovandola sempre infoiata.
Ormai sapeva benissimo quali erano i miei gusti, perché non mi era sembrato giusto sentire solo le sue fantasie e i suoi desideri senza renderle noti i miei.
Aveva imparato a tornare dal bagno senza esserci asciugata e a chiedermi di provvedere io con la mia lingua, a provare a succhiarmelo fino a sentirsi toccare la gola con la cappella o a strusciare i piedi contro il mio pacco a tavola, anche quando eravamo in tre.

Le nostre performance erano diventate sempre più chiassose e il vivere in una villetta piuttosto isolata e lontana dal traffico del centro e del lungomare non trattenevano il nostro entusiasmo.
Così una mattinata non mi accorsi che Simona era rientrata a casa prima. Era solita tornare dal lavoro intorno alle due, dopo aver chiuso il negozio. Ma quella volta la cartellina di documenti dimenticata sul tavolo l’aveva costretta a fare un salto a casa per recuperarla. Tante volte ci si può inventare una scusa, una giustificazione; magari chi ti scopre si beve la fandonia e tutto si aggiusta. Purtroppo i gemiti della figlia e la mia mano che la fistava mentre lei teneva le natiche aperte non potevano essere spiegate in altro modo.
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